Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-10-2011) 27-10-2011, n. 38903 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Napoli, con ordinanza resa all’udienza camerale del giorno 19.11.2009 rigettava l’istanza di riparazione presentata da B.G. per ingiusta detenzione in regime di custodia in carcere 6.10.2006 al 7 febbraio 2007 perchè sospettato del reato di detenzione al fine di spaccio di sostanza stupefacente, reato da cui era stato assolto con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere divenuta irrevocabile nei suoi confronti il 3.07.2007.

B.G., a mezzo del suo difensore, proponeva quindi ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza della Corte di appello di Napoli e concludeva chiedendo di volerla annullare con rinvio.

Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per violazione ed erronea applicazione degli artt. 314 e 315 c.p.p. e per carenza della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in particolare nella parte in cui la Corte di appello rimproverava in termini di colpa grave condotte insuscettibili di essere riguardate alla stregua di macroscopica negligenza e trascuratezza. Pertanto, ad avviso del ricorrente, non sussisterebbe la colpa grave, impeditiva del riconoscimento del diritto all’equa riparazione.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler dichiarare inammissibile il proposto ricorso ovvero di rigettarlo.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione per l’ingiusta detenzione, regolato dall’art. 314 c.p.p., e ss., trova fondamento nella condizione soggettiva della persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro sistematico di riferimento è un quadro di diritto civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è piuttosto quello della riparazione legata ad eventi che producono il sorgere, quali conseguenze di principi di solidarietà e di giustizia distributiva, di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo, in materia, l’assetto delle regole generalissime che disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, la custodia cautelare subita e la successiva assoluzione (Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630 02/04/2004 – 20/05/2004). della quale è talora ritenuta irrilevante la formula (Cass. Sez 4, 12/4/2000 n. 2365) e talora rilevante, nel senso che indefettibile presupposto del sorgere del diritto sarebbe solo il proscioglimento con una delle formule di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1.

Peraltro il sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di una condotta del richiedente che al tempo del processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare causa a quella ingiusta detenzione.

L’operazione intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare solo l’eventuale efficienza causale delle condotte dell’imputato che possano aver indotto, anche nel concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione ragionevole e non congetturale il giudice a stabilire la misura della detenzione (Cass. SS.UU. 13/12/95 n. 43, Sez 4, 10/3/2000 n. 1705).

Il giudice, pertanto, deve fondare la sua decisione su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent. n.17552 del 2009).

Tanto premesso si osserva che, nella fattispecie che ci occupa, il giudice della riparazione ha ravvisato la colpa grave dell’odierno ricorrente nel fatto di essere stato lo stesso sorpreso dalle Forze dell’Ordine a bordo di un autovettura guidata da tale C., sotto il cui sedile (quindi quello lato guida) venivano rinvenuti tre involucri contenenti sostanza stupefacente. La Corte territoriale riteneva che sussistesse la colpa grave in quanto il B. si trovava a centinaia di chilometri dalla sua abitazione, era tossicodipendente e recidivo specifico e reiterato.

Tanto premesso rileva questa Corte che il percorso motivazionale seguito dall’ordinanza impugnata si risolve in una rivalutazione dello stesso compendio probatorio stimato insufficiente dal giudice del processo principale che ha fondato il proprio verdetto assolutorio sulle dichiarazioni confessorie rese dal coimputato già nell’immediatezza dei fatti e sulla conseguente mancanza di una prova certa ed univoca della corresponsabilità dell’odierno ricorrente nella detenzione della droga rinvenuta, peraltro, sotto il sedile del C., guidatore dell’autovettura. Quand’anche poi volesse ritenersi sussistente una ipotesi di connivenza, occorrerebbe spiegare in concreto i motivi per cui la stessa sarebbe una condotta ostativa al riconoscimento della riparazione alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sent. n.2659/2009)che l’ha riconosciuta sostanzialmente: a) nell’ipotesi in cui l’atteggiamento di connivenza sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone e alle cose (cfr. Cass., Sent. n.8993/03, Rv.223688); b) nel caso in cui si concreti non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione di un reato, ma nel tollerare che tale reato sia consumato, semprechè l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia (cfr. Cass., Sent. n.16369/03, Rv.224773; c) nell’ipotesi in cui la connivenza passiva risulti avere oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intenda perseguire questo effetto. In particolare, in tale ipotesi è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente medesimo (cfr. Cass., Sent. n.42039/06, Rv.235397).

Alla stregua di tali principi la motivazione della Corte territoriale appare non sufficientemente specifica e sostanzialmente assertiva.

Il percorso motivazionale dell’impugnato provvedimento appare quindi obiettivamente insufficiente, non risultando delineato con la dovuta chiarezza il contributo colposo dell’imputato.

L’ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli cui demanda il regolamento delle spese fra le parti per questo giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli cui demanda anche il regolamento delle spese fra le parti per questo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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