Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-04-2012, n. 6136 Errore

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 7 agosto 1997, i sigg. D.V. G.R. e M.S. convenivano in giudizio, dinanzi al Pretore di Lecce – sez. dist. di Tricase, i coniugi C. M. e R.M.C. per sentir dichiarare l’annullamento del contratto di compravendita, per notar Positano, del 22 dicembre 1987 relativo alla proprietà dell’immobile denominato (OMISSIS), siccome affetto da vizio del consenso riconducibile ad errore sull’identità dell’oggetto contrattuale determinato da dolo dell’acquirente C.M., con conseguente restituzione, da parte dei venditori, del prezzo della compravendita e, da parte degli acquirenti, del bene immobile. Nella costituzione dei convenuti (che proponevano, a loro volta, domanda riconvenzionale), il Tribunale di Lecce – sez. dist. di Tricase (che era subentrato alla soppressa Pretura ai sensi del D.Lgs. n. 51 del 1998), all’esito dell’esperita istruzione probatoria, con sentenza n. 70 del 2005, accoglieva la domanda principale e, per l’effetto, annullava, per errore dei venditori sull’identità dell’oggetto, il contratto di compravendita dedotto in giudizio, disponendo la restituzione del bene dagli acquirenti ai venditori, previo rimborso del prezzo della compravendita stessa e regolava le spese del giudizio in base al principio della soccombenza.

Interposto appello (riferito a sei motivi) da parte di C. M. e R.M.C., cui resistevano gli appellati, la Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 466 del 2008, rigettava il gravame e condannava gli appellanti alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale rilevava, innanzitutto, l’insussistenza della supposta novità della domanda relativa all’annullamento del contratto per errore, poichè tale vizio era stato adeguatamente prospettato con l’atto introduttivo iniziale, in tal senso, perciò, rimanendo escluso anche il prospettato vizio di ultrapetizione. Con riferimento al merito della controversia, la Corte leccese riteneva sufficientemente raggiunta la prova in ordine alla configurazione del vizio della volontà dedotto in giudizio, avuto riguardo anche alle condizioni dell’essenzialità e della riconoscibilità dell’errore circa l’identificazione esatta dell’oggetto della compravendita.

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado i coniugi C. – R. hanno proposto ricorso per cassazione, basato su sei motivi, in ordine al quale si è costituito in questa fase con controricorso l’intimato. I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1428, 1429, 1439 c.c., nonchè l’errata qualificazione giuridica dell’azione proposta dagli attori in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

In particolare, con la proposta doglianza i ricorrenti hanno inteso denunciare le richiamate violazioni sul presupposto che gli attori originari, a fronte di una domanda introduttiva riferita alla richiesta di annullamento del contratto di cui in narrativa per dolo dei convenuti, avevano mutato la loro impostazione solo in sede di comparsa conclusionale del giudizio di primo grado riconducendo il titolo della domanda al vizio dell’errore, senza che la Corte di appello leccese avesse condiviso questa censura, ritenendo, invece, che non vi era stato alcun mutamento della domanda originariamente formulata.

A corredo di tale doglianza risulta formulato – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. ("ratione temporis" applicabile nella fattispecie, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 14 luglio 2008 e, quindi, nel vigore di detta norma) – il seguente quesito di diritto:

"dica la Corte di Cassazione se, in ipotesi (quale quella di cui al presente giudizio) in cui il venditore chieda l’annullamento del contratto di compravendita perchè viziato da errore sull’identità dell’oggetto determinato da dolo dell’acquirente, è ammissibile che il venditore stesso solo con la comparsa conclusionale di primo grado concluda per ottenere, ed ottenga, sentenza di annullamento del contratto di compravendita perchè il vizio del consenso è inficiato da errore ex art. 1428 c.c., quale causa autonoma di annullamento contrattuale". 2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. (nel testo anteriore alla riforma del 2005) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo alla "mutatio libelli" intervenuta nel corso del giudizio di primo grado per le stesse ragioni poste a fondamento del primo motivo, deducendo, peraltro, che, ove non si fosse voluta qualificare come domanda propriamente nuova quella riferita all’annullamento del contratto per errore rispetto a quella originariamente fondata sul dolo, gli attori originari avrebbero dovuto precisare la domanda al massimo entro l’udienza prevista dall’art. 183 c.p.c. (nel testo antecedente alla novella processuale del 2005).

In proposito i ricorrenti hanno prospettato il seguente quesito di diritto: "dica la Corte di cassazione se, in ipotesi quale quella del presente giudizio, costituisce mutamento della causa petendi, e conseguente formulazione di domanda nuova, la domanda di annullamento di un contratto di compravendita immobiliare formulata dall’attore in sede di comparsa conclusionale dopo che lo stesso con l’atto di citazione introduttivo del giudizio aveva chiesto l’annullamento dei contratto stesso perchè viziato da errore sull’identità dell’oggetto determinato da dolo dell’altro contraente". 3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dello stesso art. 183 c.p.c. (nel testo anteriore alla riforma del 2005), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anche in caso di "emendatio libelli". A sostegno di detta doglianza i ricorrenti hanno dedotto il seguente quesito di diritto: "dica la Corte di Cassazione se è ammissibile che, in ipotesi quale quella del presente giudizio, l’attore che domandi l’annullamento di un contratto di compravendita immobiliare perchè viziato da errore sull’identità dell’oggetto determinato da dolo dell’altro contraente, in sede di comparsa conclusionale di primo grado precisi o modifichi la domanda chiedendo l’annullamento dello stesso contratto perchè viziato da errore quale causa autonoma di annullamento contrattuale". 3.1. Questi primi tre motivi (corredati di idonei quesiti di diritto e, perciò, ammissibili) possono essere esaminati congiuntamente essendo all’evidenza tra loro connessi. Essi sono infondati e vanno, pertanto rigettati.

Occorre premettere che, in via generale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. n. 14751 del 2007 e Cass. n. 22893 del 2008), l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione letterale nonchè del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla parte stessa. Peraltro gli orientamenti prevalenti di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 4754 del 2004 e Cass. n. 24495 del 2006) sono schierati nel senso che, ai fini della interpretazione della domanda giudiziale, non sono utilizzabili i criteri di interpretazione del contratto dettati dall’art. 1362 c.c., e segg.", in quanto non esiste una comune intenzione delle parti da individuare, e può darsi rilevo alla soggettiva intenzione della parte attrice solo nei limiti in cui essa sia stata esplicitata in modo tale da consentire al convenuto di cogliere l’effettivo contenuto della domanda formulata nei suoi confronti, per poter svolgere una effettiva difesa, precisandosi, altresì, che l’interpretazione della domanda si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione e non per violazione di legge.

Ciò posto, osserva il collegio che, in effetti, con la prima doglianza formulata (la cui intitolazione, invero, pone riferimento a mere violazioni di legge), i ricorrenti hanno inteso assumere anche l’illogicità e l’inidoneità del percorso motivazionale della sentenza impugnata (v., in particolare, le pagg. 12 e 13 del ricorso nella parte relativa allo svolgimento del primo motivo) con riguardo alla ricostruzione del contenuto della domanda introduttiva degli originari attori M. e D.V., mentre, sul presupposto dell’asserito illegittimo mutamento sopravvenuto nel corso del giudizio della stessa domanda iniziale, hanno inteso dedurre le violazioni processuali richiamate nel secondo e terzo motivo.

Le tre censure non sono, tuttavia, meritevoli di pregio perchè la Corte territoriale, con motivazione logica ed adeguata, ha ricostruito l’effettiva portata dell’azione originariamente dedotta in giudizio dagli attori sulla scorta di una congrua valorizzazione del tenore letterale dell’atto introduttivo e del contenuto sostanziale della domanda ivi contenuta, desumibile, peraltro, dalla natura della situazione fatta valere in giudizio e dallo scopo pratico che gli attori si erano prefissi di perseguire con l’esperimento della tutela giudiziaria, qualificando l’azione formulata come azione di annullamento dell’atto per notar Positano del 22 dicembre 1987 per vizio del consenso riconducibile all’errore degli stessi venditori sull’identità dell’oggetto.

A tal proposito la Corte di merito ha congruamente interpretato la richiesta contenuta nell’atto di citazione iniziale in cui l’annullamento del contratto era stato richiesto perchè "viziato da errore sull’identità dell’oggetto, determinato da dolo dell’acquirente C.M." riconducendo il titolo della domanda di annullamento propriamente alla deduzione del vizio dell’errore. A tal riguardo il giudice di appello ha compiutamente dato atto del congruo percorso logico argomentativo adottato, evidenziando, innanzitutto, come il riferimento al concetto di errore era stato ripetutamente ribadito nell’ambito del contenuto complessivo dell’atto di citazione, precisando che proprio la sussistenza di quel vizio legittimava gli attori a richiedere, ai sensi dell’art. 1441 c.c., l’annullamento del contratto di compravendita dedotto in causa.

Del resto, la Corte distrettuale ha corroborato la ricostruzione di tale volontà degli originari attori (già trasparente in modo sostanzialmente univoco dal contenuto letterale dell’atto introduttivo del giudizio) anche in base ad altri elementi (esterni all’atto di vendita) costituiti dalle circostanze che gli attori, se avessero voluto dedurre a fondamento della loro azione il vizio del dolo, avrebbero posto riferimento ai necessari artifizi e raggiri mediante i quali si sarebbe manifestata la condotta dolosa delle controparti (deducendo, altresì, gli idonei mezzi di prova al fine di riscontrarla in sede processuale), le quali, oltretutto, fin dalla costituzione in giudizio attraverso il deposito della comparsa di risposta del 29 ottobre 1997, avevano esse stesse dimostrato di comprendere che la domanda era stata basata sulla deduzione dell’errore, di cui avevano, per l’appunto, contestato la sussistenza, prospettando anche, ad ogni modo, l’inesistenza dei requisiti della essenzialità e della riconoscibilità (che, come è noto, ai sensi degli artt. 1429 e 1431 c.c., si attagliano solo al vizio del consenso costituito proprio dall’errore). Inoltre, la Corte territoriale ha correttamente svilito sul piano logico, tenendo conto di tutte le contrarie emergenze valorizzagli sotto il profilo ermeneutico (come appena sottolineate), il richiamo all’ultroneo riferimento risultante dall’atto di citazione all’"errore chiaramente determinato da dolo del C. ( art. 1427 c.c., e segg.)", non essendo tale da incidere sul contesto complessivo del "petitum" dedotto in relazione all’effettiva "causa petendi" fatta valere in ordine ai quali gli attori avevano avuto cura di porre in risalto che era l’errore che comunque li legittimava a richiedere, ciascuno per i propri diritti, ai sensi del citato art. 1441 c.c., l’annullamento del contratto, laddove l’utilizzo dell’avverbio "comunque" serviva proprio a sminuire il riferimento al dolo del C., così rimarcando ulteriormente che l’azione di annullamento era stata fondata proprio sull’errore (potendosi, peraltro, intendere tale riferimento rivolto alla persona del C. come un "quid pluris" finalizzato unicamente a supportare l’onere probatorio relativo alla dimostrazione della riconoscibilità dell’errore).

Alla stregua delle puntuali, plurime, logiche, esaustive e convergenti argomentazioni evidenziate in modo più che adeguato dalla Corte leccese le prime tre doglianze sono da dichiararsi infondate perchè la domanda introduttiva degli attori originari era univocamente riferibile, quale titolo dell’azione di annullamento contrattuale, all’errore da parte degli stessi venditori, con la conseguenza che: – per un verso, la puntualizzazione operata dagli stessi attori in comparsa conclusionale (oltretutto, com’è noto avente funzione meramente illustrativa delle difese tecniche relative alle precedenti fasi processuali) circa la natura dell’azione proposta non aveva comportato (nè era idonea ad implicarla) alcuna sostanziale modifica dell’originaria "causa petendi"; – per altro verso, sulla base di detto presupposto, ne discende logicamente che non si era venuta a configurare alcuna "mutatio libelli" della domanda iniziale nè si sarebbero potuti ritenere sussistenti i presupposti per la configurabilità di una inammissibile "emendatio libelli". 4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Al riguardo risulta proposto il seguente quesito di diritto: "dica la Corte di cassazione se, in ipotesi quale quella del presente giudizio, quando sia chiesto l’annullamento di un contratto di compravendita immobiliare perchè viziato da errore sull’identità dell’oggetto determinato da dolo dell’altro contraente, il giudice del merito può annullare il contratto medesimo perchè viziato da errore quale causa autonoma di annullamento contrattuale". 4.1. Anche tale censura è destituita di fondamento.

Per effetto della ritenuta ricostruzione logica e corretta compiuta dalla Corte di appello in ordine all’interpretazione del contenuto della domanda originaria introduttiva del giudizio, appare evidente e consequenziale che non ricorre il dedotto vizio di ultra od extrapetizione poichè il giudice adito – come ha rilevato esattamente la Corte territoriale – si era legittimamente pronunciato proprio sulla domanda di annullamento per vizio riconducibile ad errore, da ritenersi, per l’appunto, effettivamente dedotta in giudizio. Non sussiste, dunque, la prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c. (oltretutto inidoneamente ricollegata al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè al n. 4 della stessa norma: cfr.

Cass. n. 12952 del 2007 e Cass. n. 26598 del 2009) perchè il giudice adito non si era pronunciato oltre i limiti della pretesa attorea ovvero su questione estranea all’oggetto del giudizio, riconoscendo, invece, agli attori la tutela del diritto che gli stessi avevano fatto in concreto effettivamente valere.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1428 e 1429 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo all’assunta illegittimità della pronuncia della Corte territoriale circa la ritenuta sussistenza dei requisiti della riconoscibilità e dell’essenzialità dell’errore.

A corredo di tale motivo i ricorrenti hanno formulato (adempiendo alla condizione di ammissibilità imposta dal citato art. 366 bis c.p.c.) il seguente quesito di diritto: "dica la Corte di cassazione se, in ipotesi quale quella del presente giudizio, è ammissibile l’annullamento, per errore essenziale invocato dal venditore, di un atto pubblico di compravendita immobiliare in cui il bene immobile oggetto del contratto è stato bene identificato con l’esatta indicazione sia degli estremi catastali e dei confini, sia della denuncia di successione attraverso cui il bene è pervenuto al venditore stesso, sia del successivo atto di divisione notarile con cui gli eredi del de cuius (dante causa del venditore) hanno tra loro diviso i beni caduti in successione, sia del certificato di destinazione urbanistica di cui il notaio ha dato lettura alle parti". 5.1. Anche questo motivo è privo di pregio e deve, quindi, essere respinto. Deve, innanzitutto, evidenziarsi che, alla stregua della univoca giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 3892 del 1985;

Cass. n. 16679 del 2004 e, da ultimo, Cass. n. 21074 del 2009), l’errore, quale vizio della volontà, assume rilevanza quando incida sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà, a causa della quale la parte si sia indotta a manifestare la propria volontà, con la conseguenza che l’effetto invalidante dell’errore è subordinato, prima ancora che alla sua essenzialità o riconoscibilità, alla circostanza (della cui prova è onerata la parte che deduce il vizio del consenso) che la volontà sia stata manifestata in presenza di tale falsa rappresentazione, spontanea o provocata. Deve, inoltre, precisarsi che l’accertamento relativo alla suddette condizioni rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (cfr, anche, Cass. n. 3065 del 1988).

Ciò posto, anche a questo riguardo, la Corte di appello è pervenuta – in virtù dell’adozione di una motivazione congrua e logica (e, perciò, insindacabile in questa sede) – all’affermazione della sussistenza dell’errore come dedotto dagli attori con l’azione esperita "ab origine". In particolare, la Corte territoriale è pervenuta alla ritenuta conclusione ricostruendo l’emergenza della essenzialità e della riconoscibilità dell’errore non solo in relazione al tenore dell’atto pubblico di compravendita ma valorizzando – e considerandole analiticamente – le trattative antecedenti alla stipula del rogito, per poi riscontrarne le risultanze con il comportamento successivo adottato dagli acquirenti nella fase di esecuzione del contratto senza trascurare di evidenziare anche la rilevanza della condizione morfologica del terreno oggetto di compravendita e il danno considerevole di cui gli attori avrebbero (illogicamente siccome inaccettabile) risentito ove l’oggetto del contratto fosse risultato coincidente con quello apparentemente inserito nell’atto di alienazione.

Nel dettaglio la Corte leccese ha acutamente evidenziato che fin dalla trattative precontrattuali le parti avevano inteso riferirsi ad un pezzo di terreno posto in posizione più alta e confinante con la litoranea per (OMISSIS), nel settore dove vi erano due alberi di olivo (coincidente con la "sola parte residua del primo gradone" e non riferibile all’intera particella 468, poi indicata nel rogito), e che gli acquirenti furono immessi nel possesso soltanto di tale residua parte (rimanendo i venditori nel possesso dell’altra parte insistente sulla predetta particella, nella convinzione – rafforzata anche dagli esiti della prova orale – che essa non avesse formato oggetto della vendita), mentre, solo circa otto anni dopo, il C. aveva cominciato ad avanzare delle pretese sulla restante porzione della (intera) particella per come riportata nell’atto di compravendita, ricevendo l’immediata reazione contraria del M. e della D.V., a conferma del preesistente e persistente convincimento che quella zona non avesse costituito oggetto dell’intervenuta alienazione intercorsa tra le parti. Del resto, la Corte territoriale ha anche posto in risalto che la particolare e distinta conformazione dell’intera particella era scaturita anche dalle risultanze dell’espletata c.t.u., in virtù della quale era pure emerso che se l’oggetto della compravendita fosse stato coincidente con la menzionata particella nella sua interezza, i venditori non avrebbero potuto più accedere alla loro limitrofa proprietà, che sarebbe stata, perciò, inaccessibile. La Corte pugliese, quindi, anche sotto il profilo della prova logica, ha idoneamente desunto che la dichiarazione negoziale dei venditori non poteva corrispondere alla loro effettiva volontà e che, inoltre, l’errore nella individuazione dell’area effettivamente venduta, essendo caduto sull’identità dell’oggetto della loro prestazione ed assumendo per gli stessi venditori un’importanza determinante secondo una valutazione oggettiva, si connotava certamente come "essenziale", alla stregua della qualificazione prevista dall’art. 1429 c.c., che, pertanto, non risulta certamente violato nella fattispecie.

Altrettanto adeguatamente la Corte territoriale ha desunto la riconoscibilità dell’errore (oltretutto nemmeno posta in discussione dai ricorrenti) alla stregua degli stessi elementi, ovvero avuto riguardo all’andamento delle trattative precontrattuali (come già richiamate), alla incerta individuazione della consistenza della particella 468, alla particolare configurazione dello stato dei luoghi e alla evidenziata condotta postuma adottata dal C..

6. Con il sesto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che la Corte territoriale ha adottato, alla luce della specificità ed autonomia dei vizi negoziali, da cui scaturiscono autonome azioni di impugnative negoziali (al punto che costituisce nuova "causa petendi" la formulazione della domanda di annullamento sulla base di un vizio del consenso quando inizialmente sia stato dedotto un vizio diverso), una motivazione del tutto lacunosa e, comunque, inidonea a giustificare la sua decisione, non avendo dato contezza delle argomentazioni giuridiche utilizzate per ritenere dedotto il vizio errore, invece del vizio dolo, nonostante la domanda fosse stata formulata con espresso riferimento a quest’ultimo elemento, con la conseguenza che la diversa qualificazione giuridica dell’azione sarebbe stata decisiva del giudizio in quanto avrebbe condotto ad una integrale riforma della sentenza di primo grado ed al rigetto delle domande formulate dagli attori.

6.1. Quest’ultimo motivo si prospetta inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., perchè, essendo riferito ad un vizio motivazionale, difetta, nella specie, la chiara evidenziazione, in apposito ed autonomo quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione era stata carente ed anche la prospettazione delle ragioni, in termini necessariamente specifici, per le quali la supposta insufficienza e contraddittorietà motivazionale non si sarebbe potuta ritenere idonea a confortare l’adottata decisione sul dedotto fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo alla supposta inammissibilità della domanda nuova di annullamento del contratto per errore (nel mentre la domanda originariamente proposta dagli attori si sarebbe dovuta ritenere riferita all’annullamento per dolo).

In ogni caso la doglianza si profila manifestamente infondata perchè con essa si mira a rimettere in discussione il percorso motivazionale adottato dalla Corte territoriale sull’interpretazione e qualificazione dell’atto di citazione originario che, come si è già sottolineato nell’esame dei primi tre motivi del ricorso, è da ritenersi del tutto logico e adeguatamente sviluppato con riferimento alla rilevata volontà esternata dagli attori in primo grado diretta all’instaurazione di un’azione di annullamento contrattuale fondata sul vizio dell’errore.

7. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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