Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-04-2012, n. 6131 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24 gennaio 2002 L.M. R. evocava, dinanzi al Tribunale di Roma, il Comune di Roma per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 99.700,34, oltre rivalutazione ed interessi, a titolo di compenso per l’attività professionale svolta, a seguito dell’aggiudicazione del concorso comunale di progettazione architettonica " (OMISSIS)" (indetto con Delib. Giunta n. 3126 del 1996), relativamente all’area di (OMISSIS). Aggiungeva che gli onorari, inizialmente previsti in sede di contratto – disciplinare di incarico, non erano adeguati all’attività effettivamente svolta su richiesta dello stesso Comune, per cui riteneva dovuto il maggiore compenso richiesto.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune convenuto, che assumeva avere pagato alla professionista circa L. 85.000.000, compenso pattuito in base all’importo dei lavori autorizzati (determinato in poco più di un miliardo di vecchie Lire), mentre la L., quale capogruppo di un team di professionisti, aveva, di sua iniziativa, progettato interventi comportanti oneri per oltre L. due miliardi, sulla base dei quali chiedeva il maggiore compenso, il Tribunale adito, espletata istruttoria, accoglieva la domanda attorea e per l’effetto condannava il Comune alla corresponsione in favore della L. di Euro 99.700,34, oltre interessi.

In virtù di rituale appello interposto dal Comune di Roma, con il quale lamentava l’erroneità della pronuncia del giudice di prime cure stante l’inderogabilità del limite di spesa previsto dal bando di concorso, la natura del progetto realizzato il 14.10.1996 (preliminare e non esecutivo), nonchè la previsione di eventuali compensi aggiuntivi in importi superiori al 10% del compenso totale, come stabilito dall’art. 9 del contratto, oltre alla mancata autorizzazione alle varianti al progetto, la Corte di appello di Roma, nella resistenza dell’appellata, accoglieva il gravame e in riforma della sentenza del giudice di primo grado rigettava la domanda della L..

A sostegno della adottata sentenza la corte capitolina evidenziava che l’amministrazione comunale fin dalle prime difese aveva negato la natura definitiva del progetto consegnato dalla L. il 14.10.1996, in quanto la sistemazione del (OMISSIS) necessitava dell’autorizzazione dell’Università "La Sapienza", fermo restando che il limite di spesa per i lavori in loco era fissato in L. 1.076.382.290, che costituiva parametro per determinare il compenso della professionista, interamente versato alla appellata.

Aggiungeva che il progetto iniziale della L. era praticamente inutilizzabile, in quanto non teneva conto del fatto che una parte del piazzale era demaniale ed oggetto di concessione all’Università degli Studi "La Sapienza", indagine sulla fattibilità necessariamente demandata al team di architetti guidati dalla L. (v. art. 2, punto 1 del contratto) e ciò rendeva l’elaborato depositato il 14.10.1996 un progetto di massima. In quest’ottica doveva ritenersi del tutto irrilevante il superamento del termine riconosciuto all’Amministrazione Comunale per richiedere varianti per essere il progetto iniziale inutilizzabile.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione la L., che risulta articolato su tre motivi, al quale ha resistito con controricorso il Comune di Roma.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo mezzo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ex art. 360, comma 1, n. 3, con specifico riferimento agli artt. 1362, 1363 e 1371 c.c., per essere la corte di merito pervenuta ad una lettura dell’art. 10, n. 4 del Contratto e Disciplinare Tecnico, circa la spettanza del compenso ai professionisti per le variazioni richieste dall’Amministrazione decorsi 120 giorni, non conforme ai canoni ermeneutici, stante il tenore dell’art. 10 e l’unitarietà della clausola medesima. Aggiunge che la richiesta di pagamento dei maggiore compenso era corredata da parere favorevole dell’Ordine degli Architetti.

Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha più volte affermato – e come va qui nuovamente enunciato ex art. 384 c.p.c. – nel giudizio di legittimità le censure relative all’interpretazione di un contratto offerta da parte del giudice di merito possono essere prospettate solo sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dalla ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non riveste alcuna utilità ai fini dell’annullamento di quest’ultima. "Sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono, poi, una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata" (v. Cass. 22 novembre 2010 n. 23635, Cass. 12 gennaio 2009 n. 399, Cass. 10 luglio 2006 n. 15653, Cass. 12 maggio 2006 n. 11038, Cass. 13 agosto 2001 n. 11078, Cass. 10 marzo 1999 n. 2096).

Orbene, nella specie a ricorrente, pur avendo indicato una pluralità di canoni ermeneutici a suo dire inosservati dalla corte distrettuale, non specifica il modo attraverso il quale si sarebbe realizzata la violazione dei medesimi, profilo essenziale per la denuncia del vizio di violazione delle regole di ermeneutica.

In ogni caso il giudice del gravame correttamente ha interpretato il dettato dell’art. 10, comma 4 del "Contratto e Disciplinare tecnico", ritenendo che le modifiche intempestivamente sollecitate dal committente e come tali suscettibili di ulteriore compenso, dovessero attenere ad un progetto esecutivo, in tal senso da interpretarsi la definitività ed utilizzabilità dell’elaborato progettuale prevista in contratto.

Il giudice del gravame ha ulteriormente rafforzato il proprio iter argomentativo circa la natura del progetto consegnato dalla L. il 14.10.1996, che in quanto destinato alla sistemazione di (OMISSIS), non teneva conto del fatto che una parte del medesimo piazzale era demaniale ed oggetto di concessione all’Università degli Studi La Sapienza, indagine demandata al professionista, aggiudicatario del concorso, come previsto dall’art. 2, punto 1 del contratto sullo stato di fatto e sui vincoli esistenti in zona, circostanza che logicamente non si pone in contrasto con il richiamo della esecutività del progetto solo dopo l’approvazione rilasciata dall’ateneo.

Del resto l’assunzione dell’obbligazione contrattuale da parte della pubblica amministrazione era assistita da uno specifico impegno contabile, con vincolo di destinazione anche quanto alla determinazione dell’importo, non potendo l’ente pubblico essere obbligato e quindi esposto per somme maggiori rispetto a quelle approvate in delibera essendo previsto il limite di spesa dal bando di concorso, anche per la misura di eventuali compensi aggiuntivi non superiore al 10% del compenso totale (v. art. 9 del contratto).

Inoltre, si osserva che l’interpretazione delle clausole di un contratto stipulato da un ente pubblico deve effettuarsi nel senso di dare la preferenza ad un risultato favorevole e non contrario alla legittimità dell’atto stesso, e così ricostruire la volontà dell’organo in relazione al potere esercitato, prendendo atto deile esigenze dell’ente medesimo, come esplicitato in atti pubblici (v.

Cass. 4 novembre 1980 n. 5912).

E’ appena il caso di rilevare, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, che in materia di compensi professionali il giudice non è vincolato in modo alcuno dal parere di congruità espresso dai Consiglio dell’Ordine della categoria (v. Cass. 18 maggio 2005 n. 10428; Cass. 26 gennaio 2010 n. 1555).

Con il secondo mezzo viene denunciata la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, correlato alla L. n. 109 del 1994, art. 16 (c.d. legge Merloni), nonchè a capo 2^, art. 15, e segg. e art. 35, e segg., D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di Attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109 del 11.2.1999 e successive modificazioni) in ordine alla definizione tecnica di progetto esecutivo. La corte di merito erroneamente ha ritenuto potersi considerare esecutivo solo il progetto approvato dall’Università, come si evince alle pagine 4 e 5 della decisione impugnata, volendo assegnare un valore negoziale anche al concetto tecnico.

Anche detto motivo va disatteso.

Come sopra già esposto, il giudice del gravame – con ordito motivazionale complesso – ha ritenuto che il progetto depositato in data 14.10.1996 non potesse essere considerato "esecutivo", nell’accezione di immediatamente attuativo, per non avere il progetto considerato la concessione a terzi di taluni spazi demaniali, pur ricompresi nella programmazione del territorio realizzata dalla L., con finalità di parcheggio. Ciò che – stante la inutilizzabilità, per intangibilità di aree solo in concessione ad un soggetto diverso dall’amministrazione comunale – ha reso necessario un ulteriore intervento "attuativo" sul progetto, richiesto dalla stessa amministrazione committente, di concerto con la concessionaria.

Orbene seppure trattasi di passaggio motivazionale articolato, la corte distrettuale correla la mancanza di esecutività del progetto soprattutto al fatto che lo stesso fosse "praticamente inutilizzabile", e che lo stesso team di architetti avesse "scoperto" la non fattibilità del loro elaborato progettuale successivamente alla presentazione dello stesso.

Così inquadrata la fattispecie, di nessun rilievo appaiono le definizioni tecniche offerte dalla professionista di cui alla legge Merloni e relativo Regolamento di attuazione.

Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta correlazione fra l’assetto territoriale e le varianti al progetto esecutivo richieste dal committente successivamente alla scadenza del termine di cui all’art. 10, n. 4 del contratto e disciplinare tecnico, per avere, di converso, la professionista operato tutti gli accertamenti necessari, demandati e previsti dall’art. 2 del contratto e disciplinare tecnico, che non comprendevano anche la proprietà e/o disponibilità dei luoghi dell’intervento in relazione ai quali ha fatto affidamento nell’alta qualità del soggetto istituzionale ed ente territoriale committente. Del resto l’area di intervento era stata compiutamente definita dal bando di concorso redatto e promanato dallo stesso Comune. In buona sostanza seconda la ricorrente la idoneità del progetto esecutivo andrebbe valutata in relazione ai profili statici, funzionali ed estetici dell’opera da realizzarsi, mentre la verifica dell’assetto proprietario dei luoghi esulava dai compiti del progettista che fra l’altro aveva fatto "doveroso affidamento nell’alta qualità dell’ente committente".

Anche quest’ultimo motivo è privo di pregio.

Correttamente la corte distrettuale ha evidenziato che in forza di specifiche clausole contrattuali, nella specie l’art. 2 punto 1 del contratto, era demandato al progettista "ogni indagine sulla fattibilità del progetto", anche in relazione allo stato di fatto ed ai vincoli esistenti in zona. Sicchè proprio in considerazione della demanialità dello spazio e dell’incidenza parziale della concessione rilasciata all’ateneo La Sapienza, il progetto, così come presentato, non poteva definirsi "esecutivo".

Al rigetto del ricorso, consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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