Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-10-2011) 27-10-2011, n. 39128

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1.6.2010 il Tribunale di Reggio Emilia, in composizione monocratica, applicava su richiesta delle parti, nei confronti di M.H.B.F. e di M. A., la pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ciascuno per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, per essersi i medesimi trattenuti nel territorio italiano, senza giustificato motivo, in violazione dell’ordine impartito loro dal Questore di Reggio Emilia rispettivamente in data 6.3.2010 a B. F. e il 7.5.2010 ad A. di lasciare il nostro territorio, entro cinque giorni dalla notifica del provvedimento di espulsione, così come era stato accertato in Reggio Emilia il 19.5.2010. 2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione entrambi gli imputati, per dedurre vizio di omessa motivazione quanto all’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen..

Motivi della decisione

La fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5- ter, che punisce la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, ancorchè posta in essere prima della scadenza dei termini per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, deve considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28.4.2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità di detta norma incriminatrice con la predetta normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla "abolitio criminis": con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretativa estensiva – alla previsione dell’art. 673 cod. proc. pen. (cft. Sez. 1, 28.4.2011, n. 22105 e 29.4.2011, n. 20130).

Il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni in L. 2 agosto 2011, n. 129 – recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione alla direttiva suindicata sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi irregolari – ha quindi novato la fattispecie (sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitici criminis). La nuova formulazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, introdotta con l’intervento normativo suindicato, non realizza infatti una continuità normativa con la precedente disposizione, non soltanto per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta necessari ad integrare l’illecito delineato. Sul punto basterà ricordare che oggi alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (CIE). Il D.L. citato ha istituito dunque una nuova incriminazione, applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’intervenuta abolitio criminis, impone quindi di risolvere il problema che si profila nella presente fattispecie, connotata dalla particolarità della inammissibilità del ricorso (avendosi riguardo a sentenza di applicazione della pena richiesta dalla stesso imputato, con motivazione che, ancorchè succinta, è adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni anche in punto insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen.), nel senso che l’incompatibilità è destinata a prevalere anche sulla causa di inammissibilità del ricorso, in quanto alla impossibilità di rilevare cause di non punibilità in costanza di ricorso inammissibile, resistono le ipotesi di successione di leggi, riconducibili all’art. 2 cod. pen.. La nozione di condanna, ricavabile da tale norma in combinato con l’art. 673 cod. proc. pen., non può essere difatti che ricondotta al giudicato formale e ciò comporta che, fin tanto che esso non si è formato, spetta al giudice della cognizione prendere atto, in particolare, della intervenuta abolitio criminis e annullare la condanna per fatto divenuto privo di rilievo penale.

La sentenza deve quindi essere annullata senza rinvio. Entrambi gli imputati risultano scarcerati fin dal 3.9.2010.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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