Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-04-2012, n. 6112 Indennità di anzianità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Palermo, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di R.L., proposta nei confronti della società ENEL -di cui era stato dipendente-, avente ad oggetto la riliquidazione dell’indennità di fine rapporto con l’inclusione, nella relativa base di calcolo, della retribuzione corrisposta per il lavoro straordinario prestato con continuità e la corresponsione delle quattro mensilità aggiuntive di cui all’art. 43 del CCNL di categoria 21 febbraio 1989.

La Corte del merito poneva base del decisum, innanzitutto, il rilievo secondo il quale non essendovi, nell’atto sottoscritto in data 3 aprile 2002, alcun specifico riferimento, in relazione all’indennità di anzianità, alle singole voci retributive, su cui sarebbe intervenuto il confronto inter partes, doveva escludersi che il R., nel riconoscere che l’importo corrisposto era comprensivo di quanto dovuto a titolo di riliquidazione dell’indennità di anzianità, avesse avuto una chiara consapevolezza del proprio diritto all’inserimento nella relativa base di calcolo del compenso per lavoro straordinario.

Nè, secondo la predetta Corte, l’indicazione di un importo complessivamente determinato, in assenza di una specificazione delle singole componenti e dei criteri di calcolo, aveva consentito al lavoratore di rendersi conto se le mensilità aggiuntive erano state realmente computate, cosicchè la dichiarazione che l’importo corrisposto era comprensivo di queste costituiva una mera dichiarazione di scienza o di opinione.

Ad analoga conclusione, asseriva, poi, la Corte del merito, doveva pervenirsi in ordine alla dichiarazione di quietanza sottoscritta in data 27 maggio 2002 avente analogo contenuto.

D’altro canto, precisava la Corte territoriale,agli atti in parola non poteva attribuirsi valore di transazione non risultando da detti documenti alcuna prova della reciprocità delle concessioni.

Tali atti, concludeva sul punto la Corte di appello, non potevano, quindi, ascriversi alle fattispecie per le quali l’art. 2113 c.c., esige l’impugnazione nel termine semestrale. Neppure, secondo la Corte del merito, poteva ritenersi fondato l’assunto della società ENEL secondo il quale, difettando il requisito delle dimissioni, non spettavano le quattro mensilità aggiuntive. Infatti, per la Corte territoriale, il tenore letterale dell’atto del 3 aprile 2002, con il quale il lavoratore aveva dato atto di rassegnare, con separata dichiarazione, le proprie dimissioni, non consentiva di ritenere che le parti avessero voluto risolvere il rapporto per mutuo consenso.

Avverso questa sentenza la società ENEL ricorre in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevata la nullità della procura apposta a margine della memoria ex art. 378 c.p.c., depositata per R. L. con la quale risulta conferito mandato "nel presente grado del giudizio pendente innanzi la Suprema Corte di Cassazione" all’avv.to Stefano Ceraci in sostituzione del precedente procuratore Giovanni Pomar.

Infatti è giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio di cassazione il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c. – secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso – si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45 (4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data – quale è il presente – se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2 (vecchio testo) (V. Cass. 26 marzo 2010 n. 7241, Cass. 28 luglio 2010 n. 17604 e Cass. 2 febbraio 2012 n. 4476).

Con la prima censura la società ricorrente, deducendo violazione dell’art. 1321 c.c., art. 1325 c.c., n. 1, artt. 1362, 1367 e 2113 c.c., sostiene che l’atto del 3 aprile 2002 è convenzione alla quale non è applicabile la giurisprudenza formatasi in materia di quietanze a saldo e denuncia che la Corte del merito, nell’interpretare detto atto, ha violato la regola dell’interpretazione letterale e di quella sistematica, avendo considerato solo la proposizione abdicativa contenuta nella clausola n. 3. Nè, aggiunge la società ricorrente, risulta rispettato l’art. 1367 c.c., a mente del quale le clausole comunque debbono interpretarsi nel senso in cui possano avere un qualche effetto.

Con la seconda censura la società, allegando vizio di motivazione, assume l’inutilità del rilievo secondo il quale non è possibile riconoscere agli atti di cui trattasi natura transattiva per la mancanza di reciproche concessioni e tanto in considerazione che la rinuncia è equiparabile per legge alla transazione. Denuncia, poi, che la Corte del merito ritiene generica la dichiarazione abdicativa nonostante le poste, per cui è causa, erano specificamente indicate nel corpo dell’atto. Nè la Corte del merito, secondo la società, spiega perchè un atto bilaterale, intervenuto per disciplinare la risoluzione anticipata del rapporto, debba ricevere lo stesso trattamento di un atto giuridico in senso stretto avente natura dichiarativa.

Con il terzo motivo la società, deducendo violazione degli artt. 1321, 1372, 2118 c.c. e art. 1362 c.c., e segg., nonchè vizio di motivazione, prospetta che la Corte del merito, nel riconoscere la spettanza delle quattro mensilità aggiuntive ex art. 42, comma 9, del CCNL 21 febbraio 1989, ha erroneamente ritenuto che il rapporto di lavoro si fosse risolto per dimissioni e non per mutuo consenso limitandosi ad una interpretazione letterale dell’atto del 3 aprile 2002 non considerando che l’estinzione del rapporto consegue ad un articolato negoziato.

I motivi, che in quanto strettamente connessi dal punto di vista logico e giuridico vanno tratti unitariamente, sono infondati.

In via preliminare ritiene il Collegio di dover precisare che le critiche articolate dalla società attengono esclusivamente alìinterpretazione dell’atto del 3 aprile 2002, come confermato dalla circostanza che solo per questo documento, nel ricorso, si da atto, ex art. 369 c.p.c., n. 4, del deposito dello stesso e solo di tale documento vi è nel ricorso, in adempimento all’onere di autosufficienza, la relativa trascrizione.

E’ utile, inoltre, premettere che in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c., e segg., ed in ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (V. per tutte Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178).

Tanto premesso rileva il Collegio che l’interpretazione fornita dalla Corte di appello dell’atto in questione è conforme ai canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., ed è sorretta da coerente ed adeguata motivazione. Al riguardo è necessario prendere le mosse dalla struttura del documento in parola che risulta composto da una premessa e da una serie di clausole. La premessa contiene sei punti contrassegnati ciascuno con una lettera dell’alfabeto dove il punto a) attiene all’intenzione del lavoratore di presentare le proprie dimissioni, i punti b) e c) riguardano la presa d’atto da parte del lavoratore di essersi confrontato con la società su tutte le competenze connesse alla rapporto di lavoro ed alla sua cessazione; il punto d) è relativo al rispetto da parte della società, per quanto concerne le spettanze a vario titolo connesse la rapporto di lavoro, alle norme legali e contrattuali; il punto e) si riferisce al previsto incentivo nel caso di dimissioni ed il punto F) attiene alla circostanza dell’avvenuta presentazione da parte del lavoratore, con separata dichiarazione, delle predette dimissioni.

Le clausole sono tre: la prima è relativa all’impegno da parte della società relativamente alla corresponsione di una somma di danaro una tantum; la seconda riguarda la dichiarazione satisfattoria del lavoratore per ogni sua spettanza connessa al rapporto di lavoro ed alla sua cessazione con espresso riconoscimento che l’importo corrisposto è comprensivo di quanto dovuto a titolo,e di riliquidazione dell’indennità di anzianità al 31.05. 1992, e mensilità aggiuntive ex art. 43 CCNL; la terza attiene alla rinuncia – anche in via transattivi – da parte del lavoratore "a fronte di della corresponsione delle somme di cui al punto 1)" "ad ogni ulteriore pretesa, azione, ragione, nessuna esclusa, in relazione al pregresso rapporto lavorativo".

Orbene la Corte del merito ha ritenuto,facendo corretta in applicazione dei criteri di cui all’art. 1362 c.c., e segg., che a tale atto non può riconoscersi, ex art. 2113 c.c., valore di rinuncia in quanto, nonostante la premessa fa riferimento al confronto con la società circa l’applicazione ed interpretazione delle disposizioni legali e contrattuali relative alle competenze connesse al rapporto di lavoro, non viene formulato alcun riferimento specifico, in relazione all’indennità di anzianità, alle singole voci retributive su cui sarebbe avvenuto il confronto tra le parti e, quindi, l’accettazione, cosicchè deve escludersi che il lavoratore, nel riconoscere che l’importo corrisposto era comprensivo di quanto dovuto anche a titolo di riliquidazione dell’indennità di anzianità, aveva avuto chiara consapevolezza del proprio diritto all’inserimento nella base di calcolo della medesima del compenso per lavoro straordinario. D’altra parte, argomenta la Corte del merito, l’indicazione di un importo complessivamente determinato senza una specifica indicazione delle singole componenti e dei criteri di calcolo non consentiva al lavoratore di rendersi conto se le mensilità aggiuntive fossero state realmente computate, cosicchè il riconoscimento che l’importo corrisposto fosse realmente comprensivo di queste costituiva una mera dichiarazione di scienza o di opinione.

Quella testè riportata costituisce secondo questa Corte una interpretazione rispettosa dei canoni di cui all’art. 1362 c.c., e segg., e dell’art. 2113 c.c..

Sotto il primo profilo rivela, ai fini di cui trattasi, che la Corte del merito ha tenuto conto non solo della tenore letterale del documento, ma anche della portata complessiva dello stesso mettendo in correlazione le varie clausole dell’atto per individuare la concreta volontà ivi espressa. Le argomentazioni poste a sostegno della esegesi in esame, del resto, non sono contraddittorie ovvero inadeguate essendo le stesse concatenate da stretta e persuasiva logica. D’altra parte non è illogico affermare che, a fronte dell’indicazione di un importo complessivo corrisposto una tantum,il lavoratore non poteva avere la piena cognizione della specifica imputazione di tale somma alle varie competenze spettanti in relazione alla risoluzione del rapporto sì da poter manifestare consapevolmente una volontà abdicativa rispetto alle stesse.

Sotto il secondo profilo merita di essere annotato che la sentenza impugnata si fonda su principio di questa Corte, pienamente condiviso dal Collegio, secondo il quale la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l’onere di impugnare nel termine di cui all’art. 2113 c.c., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi;

infatti, enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sè a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell’interessato (Cass. 17 maggio 2006 n. 11536 e Cass. 1 giugno 2004 n. 10537).

Nè rileva, ai fini della controversia in esame, la tipologia dell’atto nel quale può essere contenuta una volontà abdicativa, in quanto sia esso unilaterale o bilaterale occorre, pur sempre, la piena consapevolezza da parte del rinunciante dello specifico diritto che viene dismesso.

Altrettanto corretta giuridicamente e sorretta da adeguata e coerente motivazione è la sentenza impugnata circa l’interpretazione dell’atto in esame per quanto attiene, ai fini della spettanza delle mensilità aggiuntive di cui all’art. 43, comma 9 n. 4, del CCNL 21 febbraio 1989, la modalità di risoluzione del rapporto di lavoro.

Atteso, infatti, il tenore letterale dell’atto, con il quale il lavoratore al punto f) "rassegna, con separata dichiarazione, le proprie dimissioni" ed al precedente punto a) della premessa in cui il R. manifesta la propria intenzione "di dimettersi a fronte di una considerazione agevolativa del proprio esodo", è da reputarsi immune dai denunciati vizi l’assunto della Corte di Appello secondo il quale, in base a siffatto documento, deve ritenersi che il rapporto di lavoro si è risolto per dimissioni del lavoratore.

Infatti il tenore letterale delle espressioni utilizzate nel documento sub punto f) correlato alla manifestata volontà del lavoratore di dimettersi di cui al punto a) conferma la correttezza, ex art. 1362 c.c., e segg., della esegesi fornita dalla Corte di Appello che sul punto è supportata, altresì, da idonea argomentazione.

Del resto, per sottrarsì al sindacato di legittimità, vale la pena di ribadire,non è necessario che l’interpretazione operata dal giudice sia l’unica possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (V. per tutte Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178).

Sulla base delle esposte considerazioni, che assorbono ogni ulteriore critica, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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