Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-04-2012, n. 6109

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata – riformando la sentenza del Tribunale di Chieti n. 776 del 13 settembre 2007 rigetta la domanda proposta da C.S. volta ad ottenere la condanna in solido dell’INPS, del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale e della IAC-Industria Adriatica Confezioni s.p.a. al risarcimento del danno patrimoniale e biologico subito per effetto dell’erroneo inserimento nella lista della mobilità lunga, a seguito del licenziamento collettivo operato dalla IAC, all’epoca sua datrice di lavoro.

La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:

a) non vi è nessuna differenza tra lavoratori che fruiscono della mobilità lunga e quelli che fruiscono della mobilità corta ai fini dell’impiego nei progetti di LSU;

b) comunque, l’erroneo inserimento della C. nella lista della mobilità lunga non è stato la fonte del danno denunciato dalla lavoratrice, perchè il non immediato reimpiego nei progetti di LSU non è stato causato da tale errore, ma piuttosto dalla volontà della lavoratrice di conservare la propria qualifica professionale (di tagliatrice), che ha di gran lunga delimitato la possibilità di altre occasioni di lavoro, tanto che quando l’interessata ha dichiarato di essere disponibile a svolgere anche attività di manovale comune immediatamente è stata avviata ad un progetto di LSU con mansioni di pulizia di plessi scolastici;

c) infine, non è affatto sicuro nè dimostrato che se la lavoratrice fosse stata inserita ab origine nelle liste della mobilità corta avrebbe potuto lavorare per il tempo necessario al raggiungimento del trattamento pensionistico, in quanto tale possibilità dipende dalle richieste provenienti dall’Ufficio circoscrizionale per l’impiego, effettuate sulla base di graduatorie degli interessati.

2.- Il ricorso di C.S. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resistono, con controricorso, l’INPS, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, nonchè la IAC-Industria Adriatica Confezioni s.p.a.

Quest’ultima propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato per quattro motivi, cui replica, con controricorso, C. S..

La ricorrente principale deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi devono essere riuniti perchè proposti contro la medesima sentenza.

1 – Sintesi dei motivi del ricorso principale.

1. Con il primo motivo del ricorso principale, illustrato da quesiti di diritto, si denunciano: a) violazione e/o erronea e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 7, commi 1 e 7, nonchè del D.Lgs. n. 468 del 1997, artt. 6 e 7; b) omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa l’assunto secondo cui "non vi è alcuna differenza tra lavoratori che fruiscono della mobilità lunga e quelli che fruiscono della mobilità corta, giacchè entrambi sono reimpiegabili nei progetti LSU".

Si osserva che la Corte d’appello, sulla base del suindicato assunto, ritiene che l’erroneo inserimento nella lista della mobilità lunga pacificamente riconosciuto dai convenuti – non avrebbe avuto alcuna influenza sulla posizione della C..

Ad avviso della ricorrente, le suddette statuizioni sono destituite di fondamento perchè la differenza tra la mobilità corta o ordinaria (di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 1) e la mobilità lunga (di cui alla L. n. 223 del 1991, medesimo art. 7, comma 7) è netta e sostanziale.

In particolare, in base alla legislazione vigente all’epoca dei fatti di causa, la mobilità corta era prevista specificamente per quei lavoratori i quali proprio perchè – diversamente dai fruitori della mobilità lunga – non possedevano i requisiti per essere traghettati fino alla maturazione del diritto al pensionamento di anzianità, allo scadere del prescritto triennio avrebbero potuto beneficiare, in via preferenziale rispetto ad altre categorie di lavoratori, di un reinserimento nel mondo lavorativo e, in particolare, avrebbero potuto fruire di un reimpiego nell’ambito di progetti di LSU, sulla base della L. n. 608 del 1996 e L. n. 468 del 1997.

Nella specie, è pacifico che l’erronea trasmissione alle Sezioni circoscrizionali per l’impiego della posizione della C. ha fatto sì che la lavoratrice risultasse presso gli Uffici di collocamento come percettrice della mobilità lunga dalla data del licenziamento collettivo (29 settembre 1994) fino ai primi dell’anno 2000 (quando l’interessata è finalmente venuta a conoscenza dell’errore), mentre ella non aveva, al momento del licenziamento, ancora maturato – per pochi mesi i 28 anni di contribuzione presso l’a.g.o. e pertanto non aveva conseguito i requisiti contributivi minimi per accedere alla lista della mobilità lunga, ai sensi della L. n. 223 del 1991 cit., art. 7, presupposto necessario al fine di percepire l’indennità relativa fino alla maturazione del diritto alla pensione di anzianità.

Per effetto del suddetto errore la C., non risultando inserita nelle liste della mobilità corta, non ha potuto essere tempestivamente reimpiegata – a differenza di sue ex colleghe che si trovavano in identica posizione ed erano state correttamente inserite nelle liste della mobilità corta, pur avendo una minore anzianità contributiva – in progetti di LSU e non ha quindi potuto maturare il diritto a pensione.

1- Con il secondo motivo del ricorso principale, illustrato da quesiti di diritto, si denunciano: a) insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa l’individuazione nella qualifica di iscrizione della C. della causa di mancata inclusione in progetti LSU; b) violazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, artt. 6 e 7 e della L. n. 223 del 1991, art. 7.

Nella descritta situazione – continua la ricorrente – appare del tutto irrilevante l’elemento, considerato invece nella sentenza impugnata come determinante, rappresentato dall’avvenuta indicazione da parte della ricorrente per l’iscrizione nelle liste di mobilità della propria qualifica professionale (di tagliatrice) oltre al profilo funzionale di operaia di 3^ livello. infatti, nessuna norma preclude di effettuare tale duplice indicazione e, d’altra parte, non risulta essere stato provato che il mancato inserimento della C. nei progetti di LSU sia dipeso da tale duplice indicazione.

Si contesta, altresì, l’affermazione della Corte aquilana secondo cui non sarebbe stato provato che, anche se la lavoratrice fosse stata inserita ab origine nelle liste della mobilità corta, avrebbe potuto lavorare per il tempo necessario al raggiungimento del trattamento pensionistico, dipendendo tale evenienza dalle richieste provenienti dall’Ufficio circoscrizionale per l’impiego, effettuate sulla base di graduatorie degli interessati.

2 – Sintesi dei motivi del ricorso incidentale condizionato.

3- Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, illustrato da quesito di diritto, si denuncia violazione e/o erronea e/o falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., art. 118 disp. att. cod. proc. civ., art. 112 cod. proc. civ., artt. 2043 e 2055 cod. civ., art. 442 cod. proc. civ. "e di ogni concorrente norma per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Si precisa che nell’atto di appello la società IAC ha riproposto la questione – dichiarata assorbita dalla Corte d’appello – riguardante l’eccezione di incompetenza funzionale del giudice del lavoro nella presente controversia.

Il Tribunale ha respinto l’eccezione richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo la quale rientrano nella competenza del giudice del lavoro le controversie relative al risarcimento di danno cagionato al lavoratore da errate comunicazioni circa la misura della contribuzione.

Si sostiene che il presente giudizio non sarebbe assimilabile alle suindicate controversie dovrebbe essere devoluto alla competenza del giudice ordinario, visto che esso ha ad oggetto richiesta di risarcimento del danno per errata comunicazione sulla modulistica in materia di inserimento nelle liste di mobilità, richiesta che nei confronti della IAC nasce da un titolo di responsabilità extracontrattuale, autonomo rispetto all’intercorso rapporto di lavoro.

4.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato, illustrato da quesito di diritto, si denuncia violazione e/o erronea e/o falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., art. 118 disp. att. cod. proc. civ., nonchè artt. 112, 81 e 102 "e di ogni concorrente norma per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Si precisa che nell’atto di appello la società IAC ha riproposto la questione – dichiarata assorbita dalla Corte d’appello – riguardante il proprio difetto di legittimazione passiva, considerata invece sussistente dal Tribunale, in base alla ritenuta violazione del preciso obbligo di diligenza e corretta informazione incombente sulla società, nella qualità di datrice di lavoro.

Si sostiene che, invece, la datrice di lavoro, dovrebbe essere considerata come un soggetto estraneo al presente giudizio, essendo le domande avanzate in via principale dalla C. incentrate sulla reintegrazione nei progetti lavorativi per LSU ovvero sul riconoscimento del beneficio previdenziale della pensione di anzianità e, quindi, su situazioni riferibili esclusivamente all’INPS oppure alla Direzione provinciale del lavoro di Chieti o agli altri Enti chiamati in giudizio.

5.- Con il terzo motivo del ricorso incidentale condizionato, illustrato da quesito di diritto, si denuncia violazione e/o erronea e/o falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e art. 118 disp. att. cod. proc. civ., nonchè art. 112 cod. proc. civ. e artt. 1292 e ss. cod. civ. "e di ogni concorrente norma per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Si precisa che nell’atto di appello la società IAC ha riproposto la questione – dichiarata assorbita dalla Corte d’appello – riguardante l’inapplicabilità, nei propri confronti, della solidarietà passiva, ritenuta sussistente dal Tribunale sul rilievo che, nel caso in cui un medesimo evento dannoso sia determinato da più cause concorrenti e sia impossibile stabilire la diversa incidenza di ciascuna causa, le singole colpe dei diversi responsabili del fatto si presumono uguali.

Con argomentazione simile a quella del precedente motivo si sostiene che, invece, la datrice di lavoro, non dovrebbe essere considerata come obbligata solidale, essendo le domande avanzate in via principale dalla C. incentrate sulla reintegrazione nei progetti lavorativi per LSU ovvero sul riconoscimento del beneficio previdenziale della pensione di anzianità e, quindi, su situazioni riferibili esclusivamente all’INPS oppure alla Direzione provinciale del lavoro di Chieti o agli altri Enti chiamati in giudizio.

6- Con il quarto motivo del ricorso incidentale condizionato, illustrato da quesito di diritto, si denuncia violazione e/o erronea e/o falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., art. 118 disp. att. cod. proc. civ., nonchè art. 112 cod. proc. civ. e artt. 2935 e 2947 cod. civ. "e di ogni concorrente norma per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Si precisa che nell’atto di appello la società IAC ha riproposto la questione – dichiarata assorbita dalla Corte d’appello – riguardante l’eccezione di prescrizione quinquennale dell’azione di risarcimento dei danni in oggetto, respinta dal Tribunale sul rilievo secondo cui il termine prescrizionale in argomento comincia a decorrere non dal momento in cui viene posto in essere l’atto lesivo, ma dal momento in cui si manifesta la percezione del danno.

Tale affermazione viene contestata e si ribadisce che, nella specie, il preteso fatto illecito imputato alla IAC si sarebbe verificato in concomitanza con il licenziamento (in data 29 settembre 1994), mentre il ricorso introduttivo del giudizio è stato notificato in data 17 ottobre 2001, cioè quando il diritto vantato dalla C. era già estinto da ben 25 mesi, visto che, secondo la IAC, il termine prescrizionale quinquennale in oggetto decorre dal momento in cui è posto in essere l’atto idoneo a produrre conseguenze lesive.

3 – Esame del ricorso principale 7.- I motivi del ricorso principale – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono da accogliere, per le ragioni e nei termini di seguito precisati.

7.1.- Com’è noto e come è stato autorevolmente affermato anche dalla Corte costituzionale (vedi, per tutte: sent. cost. n. 413 del 1995 e n. 402 del 1996), la L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7 – come modificato dal D.L. 20 maggio 1993, n. 148, art. 6, convertito con modificazioni dalla L. 19 luglio 1993, n. 236 – nel dettare le misure e la durata dell’iscrizione nelle liste di mobilità e della percezione della relativa indennità, introduce una fondamentale distinzione enunciando dapprima la regola generale di cui al comma 1, con la specifica deroga di cui al comma successivo, e prevedendo poi nei commi 6 e 7 una fattispecie a carattere eccezionale, comunemente definita "mobilità lunga", in contrapposizione alla prima ipotesi, che perciò viene denominata "mobilità corta".

Mentre per quest’ultima la legge non opera alcuna saldatura tra il rapporto di lavoro ed il trattamento pensionistico (che non può dunque essere assunto quale momento conclusivo della complessa vicenda procedi mentale descritta dal legislatore), viceversa ciò non accade per la "mobilità lunga", che è un istituto del tutto disomogeneo rispetto al precedente (vedi, in tal senso, fra l’altro, le osservazioni effettuate dall’INPS nel proprio atto di costituzione, nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale conclusosi con la citata sentenza n. 402 del 1996).

Infatti, la "mobilità lunga" – la cui normativa nel tempo viene ulteriormente implementata, a partire dal D.L. 19 maggio 1997, n. 129, art. 3, convertito con modificazioni dalla L. 18 luglio 1997, n. 220 – nasce dalla utilizzazione – per determinate aree geografiche e per alcune specifiche circostanze – dell’istituto della mobilità per la diversa finalità di "consentire ai lavoratori, in possesso dei requisiti di anzianità e di contribuzione dettati dalla norma, di percepire l’indennità sino alla maturazione dei trattamenti di vecchiaia ed anche di anzianità" (vedi: Corte cost. sentenze n. 402 del 1996 cit., n. 335 del 2000; Cass. 14 agosto 2004, n. 15905; Cass. 24 agosto 2004, n. 16644; Cass. 5 ottobre 2004, n. 19908; Cass. 20 gennaio 2003, n. 771; Cass. 2 marzo 1999, n. 1760).

In considerazione della suddetta diversità iniziale, nel corso del tempo, le normative rispettivamente previste per i due istituti si sono andate diversificando ulteriormente.

7.2.- D’altra parte, è altrettanto noto che l’inserimento in progetti di lavori socialmente utili, strumento originariamente previsto per fare fronte all’emergenza occupazionale, da tempo remoto è stato applicato anche nei confronti dei lavoratori in cassa integrazione o in mobilità (vedi Corte cost. sentenza n. 25 del 1996 e ordinanza n. 40 del 2000).

Dal punto di vista normativo, per quel che interessa la presente controversia, in materia di lavori socialmente utili vengono principalmente in considerazione le seguenti disposizioni:

a) D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 14, convertito con modificazioni dalla L. 19 luglio 1994, n. 451 (art. abrogato, con decorrenza 23 gennaio 1998, dal D.Lgs. 1 dicembre 1997, n. 468, art. 13, ma che, nella versione risultante dalle modifiche inserite dalla legge di conversione, è entrato in vigore il 20 luglio 1994);

b) D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 28 novembre 1996, n. 608 (anch’esso abrogato, con la suddetta decorrenza, dal D.Lgs. n. 468 del 1997 cit., art. 13, ma che, nella versione originaria è entrato in vigore il 3 ottobre 1996, mentre nel testo successivo alla sostituzione disposta in sede di conversione, è entrato in vigore il 1 dicembre 1996);

c) il D.Lgs. 1 dicembre 1997, n. 468, entrato in vigore il 23 gennaio 1998.

Quest’ultimo decreto ha riformato la disciplina dei lavori socialmente utili, regolando organicamente tutta la materia e abrogando tutte le disposizioni in contrasto con quelle in esso contenute, con particolare riguardo a quelle di cui al D.L. n. 299 del 1994, suindicato art. 14 e D.L. n. 510 del 1996, art. 1, come si è detto.

Da tali disposizioni si desume che, nel corso del tempo, la disciplina dei lavori socialmente utili ha subito notevoli mutamenti, ma è sempre stata caratterizzata, sia pure con differenti modalità, dallo scopo di fare fronte all’emergenza occupazionale e, quindi, dall’essere principalmente rivolta a soggetti privi dei requisiti per un trattamento di pensione diretta (di vecchiaia o di anzianità) presso l’a.g.o..

Per quanto interessa il presente giudizio, ciò si riscontra, in vario modo, in tutte le suindicate disposizioni (vedi: Corte cost. sentenza n. 25 del 1996, con riferimento al D.L. n. 299 del 1994, art. 14, nonchè ordinanza n. 40 del 2003 cit.).

In particolare, con il primo testo legislativo organico in materia, rappresentato come si è detto dal D.Lgs. n. 468 del 1997 cit., il legislatore, il linea generale ha disciplinato i lavori socialmente utili "nell’ottica di promuovere i percorsi formativi assistiti, quali strumenti attivi del mercato del lavoro" (art. 1, comma 2), però, nello stesso D.Lgs. n. 468 cit., nell’art. 12, è stata dettata una disciplina transitoria applicabile ai lavoratori che avessero maturato al 31 dicembre 1997 dodici mesi di attività nei lavori socialmente utili, garantendo loro "una serie di misure eterogenee, quali il mantenimento dell’iscrizione nelle liste di mobilità, ovvero la concessione di un contributo a fondo perduto per raggiungere il pensionamento". La situazione è poi ulteriormente cambiata quando, in seguito al trasferimento alle Regioni di gran parte delle funzioni amministrative e della potestà legislativa in materia, a partire dal D.Lgs. 28 febbraio 2000, n. 81, si è proceduto ad un adeguamento della disciplina dei lavori socialmente utili, "finalizzandoli altresì alla creazione di una stabile occupazione, nel più ampio quadro della riforma degli incentivi all’occupazione e degli ammortizzatori sociali prevista dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 1" (vedi: ord. cost. n. 40 del 2003 cit.).

Ne consegue che, nel corso del tempo, l’istituto dell’inserimento nei progetti di lavori socialmente utili si è sempre di più caratterizzato come strumento di creazione di stabili opportunità occupazionali, prioritariamente diretto a soggetti privi dei requisiti per un trattamento di pensione diretta (di vecchiaia o di anzianità) presso l’a.g.o., tanto che è stata espressamente prevista l’incompatibilità tra l’assegno per LSU e la riscossione di tale ultimo trattamento ( D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 5).

7.2,1.- Ciò, peraltro, non ne mai impedito l’applicabilità in favore dei titolari di indennità di mobilità, sia pure sulla base di un’apposita disciplina (rispettivamente contenuta, per il periodo che interessa la presente controversia, nel D.L. n. 299 del 1994 cit., art. 14, comma 3; nel D.L. n. 510 del 1996 cit., art. 1, commi 5-10 e 13; nel D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 4, comma 1, lett. b e c, art. 6, comma 3, artt. 7, 8 e 12).

Va, però, osservato che se il D.L. n. 299 del 1994, art. 14 (vigente dal 20 luglio 1994) non contiene alcuna specifica distinzione tra soggetti titolari di trattamento di "mobilità corta" e soggetti titolari di trattamento di "mobilità lunga", viceversa il D.L. n. 510 del 1996, art. 1 (vigente nella versione originaria dal 3 ottobre 1996 e nel testo successivo alla sostituzione disposta in sede di conversione, dal 1 dicembre 1996), al comma 13 prevede una disciplina particolare per i titolari del trattamento di "mobilità lunga", secondo cui: "i nominativi dei lavoratori che sono titolari di indennità di mobilità fino alla maturazione del diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia vengono comunicati all’Istituto nazionale della previdenza sociale ai sindaci dei comuni di residenza dei predetti lavoratori perchè essi provvedano ad impiegare direttamente questi ultimi in attività socialmente utili ai sensi ed agli effetti della disciplina di cui al presente art. e alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 9, comma 1, lett. c)".

Il suindicato art. 9, comma 1, stabilisce che:

"1. Il lavoratore è cancellato della lista di mobilità e decade dai trattamenti e dalle indennità di cui all’art. 7, art. 11, comma 2 e art. 16 quando:

a) rifiuti di essere avviato ad un corso di formazione professionale autorizzato dalla Regione o non lo frequenti regolarmente;

b) non accetti l’offerta di un lavoro che sia professionalmente equivalente ovvero, in mancanza di questo, che presenti omogenità anche intercategoriale e che avendo riguardo ai contratti collettivi nazionali di lavoro, sia inquadrato in un livello retributivo non inferiore del dieci per cento rispetto a quello delle mansioni di provenienza;

c) non accetti, in mancanza di un lavoro avente le caratteristiche di cui alla lett. b), di essere impiegato in opere o servizi di pubblicità utilità ai sensi dell’art. 6, comma 4;

d) non abbia provveduto a dare comunicazione entro cinque giorni dall’assunzione alla competente sede dell’INPS del lavoro prestato ai sensi dell’art. 8, comma 6;

d-bis) non risponda, senza motivo giustificato, alla convocazione da parte degli uffici circoscrizionali o della agenzia per l’impiego ai fini degli adempimenti di cui alle lettere che precedono nonchè di quelli previsti dal D.L. 20 maggio 1993, n. 148, art. 6, comma 5-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 236".

Dal combinato disposto del D.L. n. 510 del 1996, art. 1, suindicato comma 13 e della L. n. 223 del 1991, art. 9, comma 1, lett. c), risulta che, con riguardo ai soggetti titolari di "mobilità lunga", la platea degli enti promotori di progetti di lavori socialmente utili nei quali tali lavoratori possano essere inseriti è limitata ai comuni di residenza degli stessi, previa comunicazione dei relativi nominativi ai sindaci da parte dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e salve; restando la sanzione della cancellazione dàlia lista di mobilità nel caso di mancata accettazione di un impiego in opere o servizi di pubblicità utilità.

Una uguale disposizione non si rinviene nel D.Lgs. n. 468 del 1997 (entrato in vigore il 23 gennaio 1998), il quale però, come si è detto, prevede, in compenso, una disciplina transitoria di favore da applicare ai lavoratori impegnati, entro il 31 dicembre 1997, per almeno 12 mesi, in progetti di LSU approvati ai sensi del D.L. n. 510 del 1996 cit., art. 1, comma 1.

Conclusivamente, dall’esame della suindicata normativa si desume che:

1) in tutti i testi normativi che possono interessare la presente vicenda la titolarità o meno di un trattamento di mobilità – "corta" o "lunga" – da parte di un soggetto interessato ad essere inserito in un progetto di LSU è un elemento che viene considerato a parte e prima degli altri che concorrono alla conclusiva scelta del soggetto cui attribuire il beneficio;

2) il D.L. n. 510 del 1996, art. 1, al comma 13 prevede una disciplina specifica per i titolari del trattamento di "mobilità lunga", che restringe l’area degli enti di riferimento per i progetti di LSU al solo comune di residenza degli interessati;

3) il D.Lgs. n. 468 del 1997 prevede, fra l’altro, una disciplina transitoria di favore da applicare ai lavoratori impegnati, entro il 31 dicembre 1997, per almeno 12 mesi, in progetti di LSU. 7.2.2.- Per quel che riguarda il rilievo da attribuire alla qualifica professionale del lavoratore interessato all’inserimento in un progetto di LSU – che la Corte d’appello aquilana ritiene determinante, nella specie – va osservato che:

a) tale elemento, con riguardo ai titolari di trattamento di mobilità in genere, viene in considerazione soltanto dopo l’inquadramento della relativa situazione nell’ambito della normativa in materia di LSU via via applicabile;

b) peraltro, nè l’art. 14, D.L. n. 299 del 1994, nè l’art. 1, D.L. n. 510 del 1996 fanno riferimento al concetto di "qualifica professionale", visto che in entrambi si stabilisce soltanto che "per l’assegnazione dei lavoratori si tiene conto della corrispondenza tra la capacità dei lavoratori e i requisiti richiesti per l’attuazione dei progetti" di LSU (vedi D.L. n. 299 del 1994 cit., art. 14, comma 9, lett. f, nonchè D.L. n. 510 del 1996, art. 1, comma 2);

c) inoltre, in entrambe le suddette disposizioni, si stabilisce che i criteri di scelta medesimi debbano consentire che, "per i progetti formulati con riferimento a crisi aziendali, di settore o di area, l’assegnazione avvenga limitatamente a gruppi di lavoratori espressamente individuati nel progetto medesimo";

d) soltanto nel D.Lgs. n. 468 del 1997 si fa riferimento al concetto di "qualifica professionale" e si stabilisce, al comma 1, art. 6, che: "per tutti i soggetti da assegnare alle attività socialmente utili si tiene conto, preliminarmente, della corrispondenza tra la qualifica posseduta dai lavoratori e i requisiti professionali richiesti per l’attuazione del progetto e del principio delle pari opportunità".

Probabilmente la Corte aquilana ha fatto precipuo riferimento a tale ultima disposizione per giungere a ritenere che il non immediato reimpiego della C. nei progetti di LSU non è stato causato dall’erroneo inserimento nella lista della "mobilità lunga", ma piuttosto dalla volontà della lavoratrice di conservare la propria qualifica professionale (di tagliatrice), che avrebbe di gran lunga delimitato la possibilità di altre occasioni di lavoro.

Tale assunto non è affatto condivisibile perchè è il frutto non solo di una lettura parziale e superficiale della suddetta disposizione ma anche della mancata considerazione di tutto il complessivo quadro di riferimento, fin qui esposto.

8.- Va, infatti, osservato che la suddetta disposizione va letta nell’ambito di tutta la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 468 del 1997 – la quale, peraltro, è in vigore solo dal 23 gennaio 1998 e, quindi, da un momento molto posteriore al licenziamento collettivo di cui si tratta (del 29 settembre 1994) – e, da tale lettura complessiva, si ricava che:

1) l’art. 6, comma 1, cit., facendo parte della disciplina generale, deve essere armonizzato con la normativa specificamente diretta ai titolari di trattamento di indennità di mobilità (contenuta nel D.Lgs. n. 468 del 1997, successivo art. 7);

2) peraltro, anche solo dal riferimento al rispetto del "principio delle pari opportunità" contenuto nello stesso art. 6, comma 1, si desume agevolmente che la disposizione in argomento è dettata a favore del soggetto interessato, nell’intento cioè di rispettarne il più possibile la professionalità acquisita in particolare con riguardo alla manodopera femminile;

3) di ciò si trova ulteriore conferma nel successivo comma 4, stesso art. 6, ove si stabilisce che: "per i progetti formulati con riferimento a crisi aziendali, di settore o di area, l’assegnazione avviene limitatamente a gruppi di lavoratori espressamente individuati nel progetto medesimo, fatte salve le qualifiche professionali altamente specializzate o dirigenziali, nella misura del 10 per cento";

4) anche nella disciplina speciale, dettata dal successivo art. 7 anche per i titolari di trattamento di mobilità, si fa riferimento alla qualifica posseduta dall’interessato, ma unitamente alla durata del trattamento e all’indicazione della data di cessazione dello stesso, peraltro prevedendosi che tali dati debbano essere forniti ai centri per l’impiego dalle sedi INPS territorialmente competenti.

Comunque, ciò che più conta è che, in linea generale, non è richiesto dall’indicata normativa che l’interessato "dia la propria disponibilità" ad esercitare lavori di livello inferiore alla propria qualifica, essendo invece prevista la sanzione della cancellazione dalla lista di mobilità nel caso in cui il lavoratore rifiuti la "offerta" di tale tipo di attività lavorativa. Peraltro, nella specie, non può essere attribuita alla normativa del D.Lgs. n. 468 del 1997 il ruolo centrale che le ha assegnato la Corte aquilana, per le ragioni cronologiche di cui si è già detto.

Ne consegue che un ruolo centrale deve essere, invece, attribuito alla precedente normativa in materia di LSU che faceva esclusivo riferimento alla corrispondenza tra la "capacità dei lavoratori" (concetto più ampio e svincolato dalla specifica individuazione di una qualifica) e i requisiti professionali richiesti per l’attuazione del progetto di LSU, sempre subordinatamente alla considerazione della titolarità di un trattamento di mobilità (anche, in particolare, "lunga", ai sensi del D.L. n. 510 del 1996, art. 1, comma 13) e sempre salvaguardando la possibilità di assegnazione del progetto ad individuati gruppi di lavoratori, fra l’altro, nell’ipotesi di crisi aziendale, che può dare luogo, appunto, ad un licenziamento collettivo, come quello di cui si tratta.

9.- Dalle precedenti osservazioni si desume che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte aquilana, il fatto generatore del danno lamentato dalla C. deve essere individuato – nei termini in cui correttamente ha fatto il Giudice di primo grado – nell’erroneo inserimento nelle liste della "mobilità lunga" in assenza dei prescritti requisiti, originariamente effettuato dal datore di lavoro, ma al quale non si è posto rimedio da parte degli organi competenti, pure in presenza di un vero e proprio diritto della C. ad essere inserita nella lista della "mobilità corta" per la quale invece possedeva tutti i requisiti (per un caso analogo vedi: Cass. 24 agosto 2004, n. 16644).

Infatti, in considerazione sia del differente rilievo normativamente attribuito, ai fini dell’inserimento in progetti di LSU, alla mobilità in genere nonchè rispettivamente alla "mobilità corta" e alla "mobilità lunga", sia del regime di favore previsto in tema di LSU per i progetti formulati con riferimento a crisi aziendali delle quali la lavoratrice non ha potuto approfittare, il suddetto corretto inserimento le avrebbe potuto consentire una maggiore probabilità di reimpiego per il tempo sufficiente a maturare il diritto alla pensione di anzianità, a prescindere dalla qualifica professionale posseduta e/o dichiarata.

10.- La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere – in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità – l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (vedi, per tutte: Cass. 13 luglio 2011, n. 15385; Cass. 11 maggio 2010, n. 11353; Cass. 12 febbraio 2009, n. 4052).

Nella specie l’interessata al fine di ottenere l’accoglimento della domanda di condanna dei soggetti convenuti al risarcimento del danno da perdita di chance ha dato dimostrazione – anche se, inevitabilmente, soltanto in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità – del nesso causale tra il comportamento del datore di lavoro (che per primo ha erroneamente inserito il nominativo della ricorrente nella lista della "mobilità lunga") e degli altri soggetti tenuti all’inserimento del suo nominativo nella lista della mobilità corta e l’evento dannoso.

La C. ha, infatti, allegato e provato elementi di fatto idonei a far ritenere che in assenza dei comportamenti suddetti la lavoratrice avrebbe avuto (in considerazione della posizione lavorativa e della situazione anagrafica e familiare) una concreta, effettiva, e non ipotetica, probabilità di beneficiare, in via preferenziale rispetto ad altri lavoratori, di un reinserimento nel mondo lavorativo e, in particolare, avrebbe potuto essere più agevolmente impiegata in progetti di LSU, onde poter maturare il diritto a pensione, al pari delle sue ex colleghe in identica situazione, le quali hanno conseguito la pensione, pur avendo una anzianità contributiva di partenza inferiore a quella della ricorrente, perchè hanno avuto congrue occasioni di reinserimento nel mondo del lavoro, in considerazione della loro corretta iscrizione nelle liste della "mobilità corta" (arg. ex Cass. 3 marzo 2010, n. 5119; Cass. 23 gennaio 2009, n. 1715; Cass. 20 giugno 2008, n. 16877; Cass. 6 giugno 2006, n. 13241; Cass. 1 dicembre 2004, n. 22424; Cass. 18 gennaio 2001, n. 682; Cass. 19 novembre 1997, n. 11522).

In particolare, per quanto riguarda la ricostruzione dei fatti, risulta pacifico che la lavoratrice – la quale non era a conoscenza del contenuto dell’elenco nominativo dei lavoratori posti in mobilità compilato dalla azienda datrice di lavoro e sottoposto all’attenzione dell’INPS, dell’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione (oggi: Direzione regionale del lavoro) e alla approvazione finale della Commissione regionale per l’impiego – è stata inserita in un progetto di LSU soltanto il 26 settembre 1997 (cioè in prossimità della scadenza del trattamento di mobilità, fissato per il 22 ottobre 1997) ed ha provato di essere venuta a conoscenza dell’erroneo inserimento nella lista della "mobilità lunga" soltanto il 9 febbraio 2000, dopo reiterate richieste di chiarimenti rimaste senza risposta, come risulta dalla sentenza di primo grado (esaminabile, nella specie, in considerazione del tipo di censure prospettate, anche nel ricorso incidentale) implicitamente confermata, sul punto, dalla Corte d’appello (che ha esaminato nel merito i motivi di appello e non si è, invece, pronunciata sulla eccezione di prescrizione avanzata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale).

Risulta, inoltre, che anche i testimoni escussi in primo grado – tra i quali alcuni funzionari della Direzione provinciale del lavoro e dell’Ufficio di collocamento competenti – hanno confermato che il motivo fondamentale della mancata tempestiva ricollocazione della ricorrente è stato rappresentato dall’erroneo inserimento nella lista della "mobilità lunga". E tali risultanze probatorie non risultano smentite nè dalla sentenza di appello, nè dagli atti difensivi degli attuali contro ricorrenti.

Le suesposte considerazioni portano all’accoglimento del ricorso principale.

4 – Esame del ricorso incidentale condizionato.

11.- Il ricorso incidentale condizionato deve, invece, essere dichiarato inammissibile, per molteplici, concorrenti ragioni.

11.1.- Dal punto di vista dell’impostazione generale, va osservato che in tutti i motivi sono contemporaneamente prospettate due censure – per violazione di legge e per vizio motivazionale – ma relativa illustrazione si conclude con la formulazione di due quesiti di contenuto sostanzialmente identico, ove non viene individuata la specifica consistenza di ciascuna censura.

Va, infatti, ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (vedi, per tutte:

Cass. SU 5 maggio 2006, n. 10313; Cass. 22 luglio 2007, n. 4178).

Conseguentemente, da questo punto di vista, il ricorso incidentale in oggetto non è conforme alla disciplina dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis.

11.2.- Va, altresì, considerato che i motivi, anche a prescindere dai suddetti rilievi, non sono conformi al consolidato principio secondo cui nel ricorso per cassazione il requisito della esposizione dei motivi di impugnazione – nella quale la specificazione dei motivi e l’indicazione espressa e precisa delle norme di diritto non costituiscono requisiti autonomi, avendo la seconda la funzione di chiarire il contenuto dei motivi – mira ad assicurare che il ricorso consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, cosicchè devono ritenersi inammissibili quei motivi che non precisino adeguatamente in che cosa consista la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitino ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (vedi, per tutte: Cass. 6 luglio 2007, n. 15263).

Infatti, nelle intestazioni di tutti i motivi non solo si fa riferimento generico alla violazione di "ogni concorrente norma" in aggiunta a quella delle disposizioni specificamente indicate, ma si prospetta la suddetta violazione "per" vizio di motivazione e ciò non rende chiare le ragioni per le quali, in relazione ai motivi come espressamente indicati nelle rispettive rubriche, si chiede la cassazione della sentenza (Cass. 19 agosto 2009, n. 18421).

11.3.- A ciò va aggiunto, quanto al primo motivo, che esso risulta proposto senza tenere conto del principio secondo cui l’interpretazione della domanda giudiziale è operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua e adeguata, avendo pertanto riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione testuale nonchè del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire (Cass. 2 novembre 2005, n. 21208; Cass. 27 luglio 2010, n. 17547).

Comunque, in sede di legittimità, occorre tenere distinta l’ipotesi in cui venga lamentato l’omesso esame, di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione data alla domanda stessa, ritenendosi in essa compresi, o esclusi, alcuni aspetti della controversia in base ad una considerazione non condivisa dalla parte:

mentre nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e la Corte di cassazione ha il potere- dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale, nell’altro caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione della sua ampiezza e del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, alla Corte è devoluto soltanto il compito di effettuare il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 26 aprile 2001, n. 6066; Cass. 9 giugno 2003, n. 9202; Cass. 20 agosto 2003, n. 12255; Cass. 22 gennaio 2004, n. 1079).

Nella specie, in assenza di una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. come sopra individuata, si contesta in ammissibilmente la qualificazione della domanda giudiziale e del conseguente rito di trattazione della controversia, che risultano motivate da parte del Tribunale di Chieti in modo congruo, adeguato e conforme alla giurisprudenza di legittimità nonchè tacitamente confermate dalla Corte d’appello.

4 – Conclusioni.

11.- Per le suesposte ragioni, il ricorso principale deve essere accolto e quello incidentale deve essere dichiarato inammissibile.

La sentenza impugnata va cassata, in relazione al ricorso accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bologna, la quale a seguito del riconoscimento del diritto della C. ad essere inserita nella lista della "mobilità corta", dovrà esaminare e decidere le restanti questioni di cui all’intero thema decidendum.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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