Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 19-04-2012, n. 6105 Personale ospedaliero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- B.M. ricorreva al Tribunale di Torino, giudice del lavoro, esponendo: di essere stata dipendente dell’Università di Torino dal 16 aprile 1978 al 30 settembre 2007, in qualità di collaboratrice tecnica ostetrica, inizialmente inquadrata nella sesta qualifica funzionale, e quindi nella settima e nell’ottava, avendo sempre svolto la propria attività lavorativa presso una struttura ospedaliera convenzionata; che era stata destinataria di successivi decreti rettorali, di cui infine quello del 18 maggio 1992, di equiparazione, ai fini del trattamento economico, alla qualifica di collaboratore di 10^ livello del personale ospedaliero, equiparazione comportante – ai sensi del D.P.R. n. 761 del 1979 e del D.M. 9 novembre 1982 – l’erogazione di una "indennità di perequazione" di un determinato ammontare; di avere ottenuto in via giudiziale il pagamento delle relative differenze stipendiali, poi versate sino al 31 dicembre 1993; che, successivamente, in data 24 luglio 2001, il consiglio di amministrazione dell’Università aveva deliberato, in via transitoria e con retroattività dal 1 gennaio 1994, una nuova tabella di equiparazione tra le qualifiche del personale dell’Università e quelle dei dipendenti del S.S.N., riducendo il trattamento stipendiale (equiparato al livello ottavo ospedaliero per il periodo 1994-1997 e alla categoria DS2 ospedaliera per il periodo 1998-2001). Tanto premesso, domandava l’accertamento del proprio diritto al mantenimento, anche dopo il 31 dicembre 1993, del trattamento economico corrispondente al predetto decimo livello del personale S.S.N., con la condanna dell’Università a pagare le differenze dal 1 gennaio 1994. L’Università si costituiva e resisteva alla pretesa, eccependo altresì, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine ai periodi retributivi anteriori al luglio 1998, nonchè la prescrizione dei crediti.

2.- Con sentenza dell’11 ottobre 2009 il Tribunale accoglieva la domanda e tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Torino, che, con la sentenza qui impugnata, respingeva il gravame proposto dall’Università. In particolare, la Corte di merito rilevava che la giurisdizione del giudice ordinario conseguiva all’essere la domanda correlata alla delibera del luglio 2001, ancorchè con effetti giuridici retrodatati; l’identificazione del fatto lesivo con tale delibera comportava, altresì, che non poteva ritenersi compiuta la prescrizione, invece eccepita dall’Università, che il relativo termine era stato ripetutamente interrotto con atti successivi alla data del luglio 2001; la modifica della tabella di equiparazione, adottata in maniera unilaterale dall’Università, aveva comportato una reformatio in pejus del pregresso trattamento, che, invece, le parti collettive avevano inteso mantenere inalterato sino alla successiva contrattazione (poi effettivamente intervenuta con il c.c.n.l. 2002-2005).

3.- Di tale decisione l’Università degli Studi di Torino ha domandato la cassazione. La lavoratrice ha depositato controricorso, precisato da successiva memoria.

Motivi della decisione

1.- In via preliminare, il Collegio rileva che il controricorso, notificato il 16 marzo 2011, è stato depositato il 6 aprile 2011, oltre il termine di venti giorni prescritto dall’art. 370 c.p.c..

Ciò comporta l’improcedibilità dell’atto e la non esaminabilità della successiva memoria ancorchè difetti un’espressa previsione da parte della norma, che tale sanzione deriva dal sistema, che impone alla parte, che intende portare tempestivamente a conoscenza del giudice e del ricorrente le proprie ragioni presentando memorie prima dell’udienza di discussione, di sottostare all’onere processuale che le è imposto (cfr. Cass. n. 18091 del 2005; n. 9396 del 2006);

mentre la procura apposta sul controricorso ha consentito al difensore di partecipare all’udienza di discussione (cfr. Cass. n. 10933 del 2002; n. 11275 del 2005).

2.- Il ricorso si articola in tre motivi.

2.1 – Col primo motivo l’Università deduce la violazione dell’art. 37 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la lesione dedotta derivi dalla delibera del 2001, anzichè dal comportamento antecedente dell’amministrazione. Ne deriverebbe il difetto di giurisdizione del giudice ordinario quanto alle pretese relative alle retribuzioni dovute per i periodi antecedenti il 1 luglio 1998. 2.2.- Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 2934 e 2935 cod. civ., nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso la prescrizione dei crediti azionati: poichè il diritto alle retribuzioni pretese maturava giorno per giorno, o comunque mensilmente, è a tale stregua che andava valutata la deduzione di prescrizione quinquennale dei singoli importi mensili.

2.3.- Col terzo motivo si deduce la violazione dell’accordo relativo al personale del S.S.N. emanato con D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384 e del C.C.N.L. del comparto Università 13 maggio 2003.

L’Università sostiene che la delibera del Rettore del 1992 avrebbe costituito applicazione contrattuale, in particolare, del D.P.R. n. 384 del 1990 relativo al comparto sanità, del quale avrebbe pertanto ripetuto la limitazione temporale di efficacia; e la transitorietà sarebbe stata legata all’attesa dell’approvazione di nuovi criteri di definizione delle figure apicali del personale tecnico-scientifico delle Università, con conseguente superamento della tabella di corrispondenza di cui al D.I. 9 novembre 1982. D’altronde non sarebbe stato ipotizzarle, secondo l’Università, una parametrazione delle qualifiche universitario all’evoluzione avvenuta nell’ambito del comparto sanitario per alcune figure, quali quelle appartenenti al nono livello, transitate nella dirigenza del personale sanitario non medico.

Da qui la necessità, oltre che l’opportunità, della elaborazione da parte dell’Università di una propria tabella di equiparazione in attesa che il C.C.N.L. ne prevedesse una propria del comparto, come avvenuto col C.C.N.L. comparto Università del 13 maggio 2003, nella cui dichiarazione congiunta si era del resto precisato che "le collocazioni professionali e le corrispondenze di cui all’art. 51, comma 4, del C.C.N.L. 9 agosto 2000, si intendono quelle effettuate sulla base di provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza di cui al comma 2" dello stesso art. 51". 3. Il ricorso non è fondato.

3.1.- Con riguardo alla questione di giurisdizione, queste Sezioni unite hanno ribadito in analoghe controversie, anche recentemente (Cass., sez. un., n. 9446 e n. 28808 del 2011), che, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo in relazione ai rapporti di lavoro dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni, per individuare il giudice destinato a conoscere della causa nel caso che la lesione del diritto azionato sia stata prodotta da un provvedimento o da un atto negoziale del datore di lavoro, occorre fare riferimento alla data di quest’ultimo, anche se gli effetti della rimozione dell’atto incidano su diritti sorti anteriormente alla data del 1 luglio 1998.

In applicazione di tale principio, la decisione qui impugnata ha individuato nel provvedimento del 24 luglio 2001 – di rideterminazione retroattiva dell’indennità di perequazione – l’atto da cui è sorta per l’interessata la necessità di agire in giudizio onde ottenere l’indennità nella misura precedentemente stabilita anche per il periodo successivo al 31 dicembre 1993, sì che correttamente è stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario.

3.2.- L’identificazione del fatto lesivo con il predetto provvedimento del Rettore, in data luglio 2001, comporta altresì la esattezza della affermazione della Corte territoriale secondo cui il momento di decorrenza della prescrizione non poteva che coincidere con la data di emanazione dell’atto censurato, sì che il termine ne era risultato più volte interrotto mediante specifici atti provenienti dalla lavoratrice; e infatti, anteriormente a tale data, il diritto alla equiparazione al personale del S.S.N. era derivato da un esplicito riconoscimento formale da parte dell’Università, cui era conseguito anche il pagamento delle differenze stipendiali in esito ad azioni giudiziali intraprese dalla lavoratrice.

3.3.- Nel merito della questione, le censure della ricorrente si rivelano in buona parte generiche e non pertinenti rispetto al contenuto della decisione impugnata, sostanzialmente fondata, in maniera assorbente, sull’analisi delle disposizioni dei C.C.N.L. del comparto universitario relativi ai quadrienni 1994-1997 e 1998-2001.

Occorre, in proposito, partire dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1 (riproducente precedenti norme di legge), secondo cui le disposizioni degli accordi sindacali recepiti in D.P.R. in base alla L. n. 93 del 1983 e le norme generali e speciali del pubblico impiego vigenti alla data del 13 gennaio 1994 "sono inapplicabili – a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1991- 1997, in relazione ai, soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001".

Sulla base di tale presupposto, e tenuto altresì conto di quanto disposto dall’art. 71, comma 1, del decreto legislativo citato (secondo cui "ai sensi dell’art. 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, cessano di produrre effetti per ciascun ambito di riferimento le norme di cui agli all. A e B al presente decreto, con le decorrenze ivi previste, in quanto contenenti, le disposizioni espressamente disapplicate dagli stessi contratti collettivi"), la Corte d’appello di Torino ha proceduto in primo luogo all’esame del C.C.N.L. di comparto relativo al primo dei quadrienni indicati.

In tale sede, la Corte ha rilevato che l’art. 53 del contratto stabilisce al comma 1 che "Fino alla ridefinizione dell’ordinamento come previsto dall’art. 50, al personale che presta servizio presso le Aziende policlinico, i policlinici a gestione diretta, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni, e, con le Usl, ovvero al personale incluso nominativamente nelle convenzioni ira le università, e le regioni e, le Aziende policlinico, i policlinici e le cliniche convenzionate e, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, continua ad applicarsi il D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31".

Il comma 2 dell’articolo in esame aggiunge che "Al personale che presta, servizio presso le strutture di assistenza, ancorchè non ricompreso fra quello previsto al comma 1, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al D.P.R. 3 agosto 1990, n. 319, art. 22, comma 7, con riferimento al C.C.N.L. nel tempo vigente per il comparto sanità".

All’art. 53 del C.C.N.L. così riprodotto ò stato successivamente aggiunto il 25 marzo 1997, previa autorizzazione del Presidente del consiglio dei ministri 8 novembre 1996 (vedi G.U. 14 aprile 1997 n. 86, S.O.), un terzo comma del seguente tenore:

"Le parti si impegnano alla ridefinizione, entro tre mesi dalla stipulazione del presente contratto, delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale di cui al comma 1 e quello del personale del S.S.N., al fine di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio nazionale e l’inserimento delle nuove figure professionali. Le parti si danno atto che, nelle more, vengano conservate le indennità di cui al D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 31, con riferimento alle collocazioni professionali alla data 31 dicembre 1995 e, alle corrispondenti figure, del S.S.N., anche per coloro che alla data della stipulazione, del presente contratto svolgono funzioni assistenziali mediche e odontoiatriche ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 6, comma 5, e successive modificazioni".

Infine nella dichiarazione congiunta n. 1, "Le parti, concordano sulla necessità di un progressivo adeguamento, in concomitanza e in linea con l’evoluzione del servizio sanitario nazionale, dell’ordina mento professionale e del sistema retributivo attualmente in essere presso le aziende universitarie policlinico, i policlinici universitari e le strutture convenzionate di ricovero e cura. Ciò nel senso di addivenire ad una ricollocazione professionale di tutto il personale ivi impiegato, che nel salvaguardare le specificità del comparto, consenta anche di recuperare l’attuale sistema retributivo fondato su indennità con funzione perequotiva.

Le parti si danno reciprocamente atto che, nelle more, non possono che essere conservate le collocazioni in essere e le connesse indennità, riferite ai trattamenti del comparto sanità".

Dunque, per effetto delle disposizioni contrattuali citate, non solo continuava ad applicarsi transitoriamente il D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 31, ma nelle more dell’approvazione di una tabella nazionale per la ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale addetto a strutture sanitarie convenzionate e quello del personale del S.S.N., venivano conservate le indennità di perequazione in godimento secondo le collocazioni in essere.

Mette conto rilevare che, all’epoca, le equiparazioni dovevano essere ampiamente differenziate fra le diverse Università, dato il carattere non cogente – e comunque senza sanzioni per il caso di inosservanza – del D.I. 9 novembre 1982 (peraltro non esplicitamente indicato negli all. A e B al D.Lgs. n. 165) e considerata la ricaduta dell’onere economico dell’indennità di perequazione sulle regioni e sulle ASL, con le quali l’Università avrebbe dovuto stipulare in proposito apposite convenzioni.

La norma dell’art. 53 del C.C.N.L. citato aveva pertanto lo scopo di congelare provvisoriamente i criteri di equiparazione in atto utili per la determinazione dell’ammontare delle indennità di perequazione nelle varie realtà geografiche, in attesa di stabilire in proposito tabelle di equiparazione uniformi a livello nazionale, che tenessero altresì conto dell’evoluzione delle professionalità e delle relative classificazioni nei comparti considerati.

Siffatto assetto viene ribadito dall’art. 51 del C.C.N.L. 1998-2001 del comparto sanità, secondo il quale 2 – Ai fini di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio nazionale e di tenere conto delle evoluzioni delle professioni sanitarie, sarà definita entro 12 mesi" (termine poi prorogato dall’art. 21 del C.C.N.L. relativo al biennio economico 2000-2001 fino all’approvazione del C.C.N.L. relativo al quadriennio 2002-2005) "una tabella nazionale delle corrispondenze tra le figure professionali previste, dal presente contratto e quelle previste dal C.C.N.L. del comparto sanità…

Dalla data di definizione della tabella di cui al comma 1 verrà corrisposta l’indennità di equiparazione di cui al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, calcolata con riferimento alle corrispondenze professionali definite dalla suddetta tabella.

4 – Fino alla definizione della tabella di cui al comma 2, al predetto personale di cui al comma 1, in servizio alla data di stipula del presente C.C.N.L., continuano ad essere corrisposte le indennità di cui al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, con riferimento alle collocazioni professionali in essere e alle corrispondenze in essere con le figure del personale del servizio sanitario nazionale e con riferimento al trattamento economico previsto dai contratti collettivi nazionali nel tempo vigenti del comparto sanità".

Infine, il C.C.N.L. del quadriennio 2002-2005, nello stabilire, all’art. 28, la tabella di equiparazione annunciata dai contratti precedenti, fece peraltro esplicitamente salve, al comma 6, "le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del, personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente C.C.N.L." e dispose, al comma 2, che le A.O.U. (Aziende ospedaliere universitarie) provvedessero alla collocazione del personale nelle fasce di equivalenza stabilite, "dopo l’applicazione del successivo comma 6…, con riferimento al trattamento economico in godimento".

Alla luce della complessa lettura della disciplina di legge e contrattuale collettiva, così riferita, appaiono pertanto corrette le conclusioni cui è giunta la sentenza impugnata, secondo le quali l’Università di Torino non era autorizzata ad operare nel 2001 le variazioni di tabella di equiparazione incidenti sulla posizione retributiva della lavoratrice, che la contrattazione collettiva di comparto, in assenza di diverse convenzioni tra Università e Regione o ASL fino alla data del 31 dicembre 1995 (art. 53 del C.C.N.L. del quadriennio 1994-1997), aveva, quanto alla componente relativa alle indennità di perequazione in godimento, conservato secondo le "equiparazioni in essere".

Nè, in proposito, assume rilievo pertinente la dichiarazione congiunta annessa al C.C.N.L. di comparto relativo al biennio economico 2000-2001, secondo cui le parti stipulanti "convengono di precisare che le collocazioni professionali e le corrispondenze di cui all’art. 51, comma 4" del C.C.N.L. 9 agosto 2000′ (quadriennio 1998-2001) "si intendono quelle effettuate sulla base di provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione, della tabella di corrispondenza di cui al comma 2 dello stesso art. 51".

Trattasi infatti di provvedimenti di ordine generale assunti quantomeno prima della stipulazione del C.C.N.L. relativo al quadriennio 1998-2001 (contenente la norma di salvaguardia dei livelli di equiparazione raggiunti, anche in maniera diversificata rispetto agli schemi approvati col D.I. 9 novembre 1982) e con riferimento al futuro trattamento perequativo, che l’Università di Torino non ha mai adottato, pretendendo, viceversa, di disporre un nuovo sistema di equiparazione, in regime contrattuale collettivo di salvaguardia di quello acquisito, e addirittura con effetti sul passato.

4.- In conclusione, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario e va respinto il ricorso. L’Università ricorrente va condannata, secondo soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore dei difensori antistatari ai sensi dell’art. 93 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro duecento per esborsi e in Euro duemila per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore degli avvocati Roberto Longhin, Mario Contaldi e Gianluca Contaldi, difensori antistatari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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