Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-04-2012, n. 6269 Concorrenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1083/2009, depositata il 12 dicembre 2009, la Corte di appello di Salerno ha condannato la s.p.a. Sara Assicurazioni a pagare a C.V. la somma di Euro 111,76, oltre rivalutazione monetaria e interessi, in risarcimento dei danni subiti dall’assicurato ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, per violazione da parte della compagnia assicuratrice delle norme a tutela della concorrenza, come accertato dall’AGCM il 28.7.2000, con provvedimento n. 8546.

Con atto notificato il 27 luglio 2010 Sara Ass.ni propone due motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria. L’intimato non ha depositato difese.

Motivi della decisione

1.- La Corte di appello di Salerno ha desunto la sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale dal citato provvedimento dell’AGCM n. 8546/2000, il quale ha inflitto sanzione ad un largo numero di società assicuratrici, fra cui l’odierna ricorrente, per avere posto in essere un’intesa orizzontale, nella forma di una pratica concordata, consistente nello scambio sistematico di informazioni commerciali sensibili tra imprese concorrenti, con riferimento alle polizze di RCA. L’Autorità garante ha altresì rilevato che detta pratica ha comportato un notevole incremento dei premi, nel periodo interessato dal comportamento illecito (anni 1994 -2000), con riferimento sia al livello in vigore in Italia fino al 1994, anteriormente alla liberalizzazione delle tariffe; sia alla media dei premi sul mercato Europeo, che è risultata inferiore di circa il 20% rispetto ai premi praticati in Italia.

La sentenza impugnata ha quantificato il danno subito dal C. in misura corrispondente alla suddetta percentuale del 20%, calcolata sul premio pagato dallo stesso per una polizza RCA, nel periodo nel periodo 28.2.1997 – 23.2.1998, affermando che la compagnia assicuratrice, a suo tempo partecipe dell’illecita intesa, non ha fornito alcuna prova idonea ad escludere il nesso causale fra l’illecito antìconcorrenziale e il suddetto incremento dei premi.

2. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 12 preleggi, in relazione all’art. 2043 c.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, sul rilievo che la Corte di appello, nel qualificare la fattispecie come illecito aquiliano, ha interpretato l’art. 2043 c.c. trascurando le norme in tema di interpretazione della legge, che impongono di tenere conto della formulazione letterale e dei principi generali dell’ordinamento. Ha ritenuto infatti che l’attore abbia assolto all’onere della prova del nesso causale fra l’illecito e il danno mediante la semplice allegazione della polizza assicurativa, stravolgendo anche i principi di diritto enunciata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 2305/2007, la quale ha escluso che il danno possa essere ravvisato in re ipsa ed ha ribadito che esso deve essere puntualmente allegato e provato.

La Corte di appello, per contro, non ha tenuto conto delle allegazioni e delle prove da essa dedotte, fra cui in particolare i dati risultanti da una relazione dell’ISVAP del 1999 e quelli di un’indagine conoscitiva del Parlamento, dalle quali risulta che l’incremento dei premi è stato provocato da fattori diversi dallo scambio di informazioni fra le compagnie (lievitazione dei costi del settore anche a causa dell’incremento delle riserve sinistri, delle ipervalutazioni del danno biologico, della sinistrosità e delle truffe in danno delle compagnie, ecc), fattori tutti che hanno fatto sì che il settore delle assicurazioni RCA registrasse ingenti perdite, alle quali si è dovuto reagire con l’incremento dei premi.

La Corte di merito neppure ha tenuto conto del fatto che la L. 12 dicembre 2002, n. 273, nell’incidere su alcune delle cause che hanno comportato l’aumento dei prezzi assicurativi, non vi ha incluso lo scambio di informazioni tra le compagnie, così come di tale scambio non ha tenuto conto il provvedimento n. 11891/2003 dell’AGCM, nel proporre una serie di soluzioni per affrontare i problemi del mercato assicurativo.

Palesemente ingiustificato è pertanto l’addebito della Corte di appello ad essa ricorrente di non avere formulato specifiche istanze istruttorie dirette a dimostrare l’esclusione del nesso causale fra lo scambio di informazioni e il danno lamentato dall’attore, considerato anche che quest’ultimo non ha confutato le allegazioni di essa ricorrente.

3.- Il motivo è inammissibile, prima ancora che non fondato, sotto più di un aspetto.

3.1.- In primo luogo il giudizio sulla sussistenza del nesso causale fra l’illecito e il danno richiede accertamenti e valutazioni in fatto, che sono rimesse alla discrezionalità dei giudici di merito e che non sono suscettibili di riesame in sede di legittimità, se non sotto il profilo dei vizi di motivazione.

Fra tali vizi non rientrano le ragioni di dissenso della parte dal merito della decisione assunta dal giudice, in cui essenzialmente si concretizzano le censure proposte in questa sede, ma solo l’eventuale insufficienza, illogicità o contraddittorieta interne alle argomentazioni mediante le quali la Corte di merito è pervenuta alla sua decisione, ove esse siano tali da rendere la motivazione inidonea a giustificare la decisione (cfr. fra le tante, Cass. civ. 26 maggio 2005 n. 11197; 11 luglio 2007 n. 15489; 2 luglio 2008 n. 18119).

Le censure della ricorrente – benchè prospettate anche come violazioni di legge ( art. 2043 c.c.) – investono in realtà il merito della decisione impugnata, senza peraltro poter dimostrare alcuna illogicità od incongruenza della motivazione.

Esse configurano nella sostanza solo un addebito di insufficienza della motivazione stessa, per non avere la Corte di appello attribuito rilievo probatorio ai documenti prodotti dalla convenuta al fine di dimostrare l’assenza di consequenzialità e di collegamento causale fra il comportamento sanzionato dall’AGCM e l’incremento dei premi di assicurazione RCA. L’addebito non è fondato ed è comunque inammissibile, sia perchè la Corte di appello ha implicitamente, ma inequivocabilmente, motivato sul punto, nella parte in cui ha ritenuto che la compagnia assicuratrice non abbia fornito la prova specifica dell’interruzione del nesso causale; sia ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., poichè la questione controversa è stata risolta in modo conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, ed in particolare ai principi enunciati dalla sentenza 2 febbraio 2007 n. 2305, che erroneamente la ricorrente lamenta essere stati disattesi.

La sentenza n. 2305 – premesso che "L’azione risarcitoria, proposta dall’assicurato – ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 2 (norme per la tutela della concorrenza e del mercato) – nei confronti dell’assicuratore che sia stato sottoposto a sanzione dall’Autorità garante per aver partecipato ad un’intesa anticoncorrenziale tende alla tutela dell’interesse giuridicamente protetto (dalla normativa comunitaria, dalla Costituzione e dalla legislazione nazionale) a godere dei benefici della libera competizione commerciale (interesse che può essere direttamente leso da comportamenti anticompetitivi posti in essere a monte dalle imprese), nonchè alla riparazione del danno ingiusto, consistente nell’aver pagato un premio di polizza superiore a quello che l’assicurato stesso avrebbe pagato in condizioni di libero mercato – ha soggiunto con specifico riferimento al problema dell’onere della prova:

"….In siffatta azione l’assicurato ha l’onere di allegare la polizza assicurativa contratta (quale condotta finale del preteso danneggiante) e l’accertamento, in sede amministrativa, dell’intesa anticoncorrenziale (quale condotta preparatoria) e il giudice potrà desumere l’esistenza del nesso causale tra quest’ultima ed il danno lamentato anche attraverso criteri di alta probabilità logica o per il tramite di presunzioni, senza però omettere di valutare gli elementi di prova offerti dall’assicuratore che tenda a provare contro le presunzioni o a dimostrare l’intervento di fattori causali diversi, che siano stati da soli idonei a produrre il danno, o che abbiano, comunque, concorso a produrlo". Nella specie:

3.2.- a) per quanto concerne le prove a carico dell’attore, la sentenza impugnata ha dato atto della produzione in giudizio della polizza assicurativa e del testo del Provvedimento sanzionatorio dell’AGCM, dal quale si traggono molteplici dati di fatto idonei a fondare la presunzione di un diretto collegamento fra lo scambio di informazioni fra le compagnie su dati sensibili ed il notevole aumento della media dei premi assicurativi in vigore sul mercato italiano. E’ chiaro che in tanto si è ritenuto legittimo trarre dal Provvedimento dell’AGCM elementi presuntivi di convincimento circa l’esistenza del danno e del nesso causale fra l’illecito e il danno, in quanto tale Provvedimento contiene molteplici dati ed accertamenti in tal senso, che peraltro la giurisprudenza di questa Corte ha più volte richiamato: "Se è vero che l’AGCM ha inflitto condanna solo ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, ravvisando un’intesa idonea a falsare il gioco della concorrenza e non anche un accordo di cartello sul livello dei premi, è indubbio che la rilevazione dell’abnorme incremento dei premi relativi alle polizze di RCA, nel periodo interessato dall’intesa, ha costituito da un lato un presupposto del giudizio di illiceità del comportamento: dall’altro lato un indubbio accertamento del suo effetto, in danno degli utenti dei servizi assicurativi.

L’AGCM ha motivato il giudizio di illiceità con il fatto che lo scambio di informazioni è andato ben oltre le finalità – lecite e fisiologiche per le imprese del settore – di comunicarsi i dati rilevanti per la determinazione del cd. premio puro (cioè di quella parte del premio che è commisurata alla natura e all’entità dei rischi), e si è esteso a comprendere i cd. dati sensibili, che concorrono a determinare l’importo del premio commerciale, che è quello concretamente convenuto in polizza e che include, oltre al premio puro, le imposte, i caricamenti corrispondenti ai costi ed alle spese generali e soprattutto l’utile di impresa (cfr. pp. 239- 251, p. 257 del Provvedimento n. 8546/2000). Ciò ha consentito alle imprese partecipanti di "coordinarsi rapidamente…..su di un equilibrio di mercato collusivo, anche in assenza di accordi espliciti sui prezzi" e di "adeguare le proprie strategie alla realizzazione di equilibri di prezzo a cui sia associato il massimo profitto congiunto per l’industria nel suo complesso, con grave danno per il corretto funzionamento del mercato e per i consumatori" (p. 251; p. 254 ss.)"……. "lo scambio di informazioni ha anche permesso di incrementare la frequenza degli aumenti di tariffa, passati dall’unica variazione annuale, nel primo anno di liberalizzazione, alle oltre quattro variazioni del 1999 (il danno lamentato dal Cementano si riferisce al 1997-98). Ogni impresa era infatti in grado di verificare che i concorrenti, si conformassero alle proprie iniziative incrementative, il che consentiva, dopo un periodo di riallineamento, di assumere un’ulteriore, analoga iniziativa (pp. 71, 244, 258)".

"Ne consegue che il provvedimento sanzionatorio non ha accertato solo il carattere potenzialmente lesivo dei benefici della concorrenza e degli interessi economici dei consumatori – come prospettato dalla ricorrente – ma anche il fatto che tale comportamento ha prodotto un’ingente e ingiustificata lievitazione dei premi sul mercato italiano delle polizze RCA" (su tutti questi principi cfr., fra le tante, Cass. civ. Sez. 3, 10 maggio 2011 n. 102011 e n. 10212; Cass. civ. Sez. 3, 20 giugno 2011 n. 13486; Cass. civ. Sez. 3, 20 dicembre 2011 n. 27554).

3.3.- b) Per quanto concerne la prova contraria a carico della compagnia assicuratrice, diretta a dimostrare l’interruzione del nesso causale fra l’illecito concorrenziale ed il danno, questa Corte ha parimenti affermato che tale prova si dovrebbe articolare sugli aspetti che il Provvedimento dell’AGCM ha lasciato incerti e che attengono alla concreta e specifica misura in cui ognuna delle singole imprese sanzionate ha contribuito, con il suo comportamento e nei rapporti con i suoi assicurati, all’indebita lievitazione dei premi.

Ed invero gli accertamenti dell’AGCM hanno fatto riferimento ai livelli medi dei premi Europei ed al livello medio degli aumenti in Italia, ma poco o nulla hanno specificato (nè potevano specificare) circa la misura in cui ogni singola impresa abbia effettivamente tradotto le informazioni acquisite tramite il comportamento collusivo nell’incremento dei premi praticati alla propria clientela.

Donde il rilievo che "….la già riconosciuta facoltà della compagnia assicuratrice convenuta in risarcimento del danno, di fornire la prova contraria alla suddetta presunzione di responsabilità in ordine alla sussistenza del nesso causale fra l’illecito concorrenziale e il danno ed all’entità del danno medesimo, non può avere ad oggetto circostanze attinenti alla situazione generale del mercato assicurativo, quanto agli elementi che influiscono sulla formazione dei premi, ma deve riguardare situazioni e comportamenti che siano specifici dell’impresa interessata: che attengano, cioè, alla singola impresa assicuratrice, al singolo assicurato od alla singola polizza; che siano comunque tali da dimostrare che – nel caso oggetto di esame – il livello del premio non è stato determinato dalla partecipazione all’intesa illecita, ma da altri fattori" (quali il fatto che la compagnia ebbe a discostarsi dal trend degli aumenti accertato dall’AGCM, o che versava in difficoltà economiche che le hanno imposto determinate scelte di prezzo; o che il contratto copriva particolari rischi, normalmente non inclusi nella polizza, o si riferiva ad assicurati il cui comportamento era caratterizzato da abnorme sinistrosità; e così via (cfr. fra le altre Cass. civ. Sez. 3, 10 maggio 2011 n. 10211 e n. 10212; 20 giugno 2011 n. 13486, 20 dicembre 2011 n. 27554; come già Cass. civ. n. 5941 e 5942/2011). Si può aggiungere che altre circostanze specifiche – e non difficili da dimostrare – avrebbero potuto essere dedotte al fine di infirmare l’attendibilità della presunzione di esistenza del danno: per esempio il confronto fra i premi applicati all’attore dalla compagnia convenuta e quelli – in ipotesi non inferiori – praticati nel medesimo periodo da altra impresa, non partecipante all’intesa illecita.

3.4.- La motivazione della sentenza impugnata, pertanto, non è suscettibile di censura, nella parte in cui ha ritenuto inammissibili perchè generiche ed ininfluenti le prove offerte dalla ricorrente.

Tanto più quando si consideri che l’AGCM ha tenuto conto dei dati di costo esposti dalle imprese e riassunti nei pareri ISVAP o nelle difese analoghe, che dimostrerebbero che il settore RCA opera in perdita, ma li ha ritenuti irrilevanti, sul rilievo che – pur se il settore economico è in perdita – il comportamento collusivo impedisce che le imprese siano motivate ad operare in modo da ridurre i loro costi per potere ridurre i prezzi (ciò che rientra tra i benefici effetti di un libero mercato concorrenziale: cfr. pp. 77, 78, 240, 259 ss., 263 del provvedimento dell’AGCM, confermato sul punto dal Consiglio di Stato)" (cfr. Cass. civ. Sez. 3, n. 102011/2011, n. 27554/2011, cit., fra le altre).

Anche tali argomentazioni autorizzano la presunzione che il comportamento collusivo abbia comportato un sicuro danno per gli utenti dei servizi assicurativi, presunzione che dovrebbe essere smentita in termini ben più concreti e pregnanti che non riproponendo le medesime argomentazioni già fatte valere nel corso dell’istruttoria che ha preceduto la sanzione dell’Autorità della concorrenza.

Correttamente pertanto, e in applicazione della giurisprudenza sopra richiamata – che il motivo di ricorso non offre argomenti per disattendere – la Corte di appello ha ritenuto non assolto dalla ricorrente l’onere della prova dell’interruzione del nesso causale fra l’illecito concorrenziale ed il danno.

4.- Con il secondo motivo, denunciando violazione degli art. 116 e 277 c.p.c., ed ancora dell’art. 12 preleggi in relazione all’art. 2043 c.c., artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia omesso di attribuire il dovuto rilievo al fatto che il giudizio amministrativo svoltosi in sede di impugnazione del Provvedimento n. 8645 dell’AGCM, si è concluso con sentenza 27 febbraio 2002 del Consiglio di Stato che ha annullato la sanzione inflitta alla Sara con il punto c) del provvedimento impugnato "ritenuta la non gravità dell’infrazione relativa all’accertata intesa concorrenziale consistente nello scambio di informazioni tramite i soli osservatori RCA e ARD…". Assume che tale disposizione ha posto la Sara in posizione diversa rispetto alle altre compagnie – nei confronti delle quali la sanzione è stata confermata – anche quanto alla prova del danno, rendendo inapplicabile la presunzione dell’esistenza del danno medesimo.

4.1.- Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, quanto alle denunciate violazioni di legge, e perchè attiene ad accertamenti in fatto correttamente motivati, quanto alle censure di vizio di motivazione.

La Corte di appello ha preso in esame il parziale annullamento della condanna a carico di Sara, ma ha ritenuto la circostanza irrilevante per il fatto che il Consiglio di Stato "non ha affatto escluso la partecipazione della società all’intesa anticoncorrenziale, tant’è che ha mantenuto fermi….i capi…dichiarativi dell’ intesa illecita e condannatori anche a suo carico rispetto alla cessazione dell’attuazione ed alla continuazione dell’infrazione nonchè inibitori rispetto ad analogo comportamento".

Ne ha dedotto che il danno deve darsi per esistente, quanto ai premi pagati nel periodo corrispondente.

In relazioni a tali affermazioni le censure proposte dalla ricorrente non sono specifiche: non precisano cioè in che senso, in quale misura ed a quali effetti l’accertamento che l’infrazione della Sara fosse non grave (ma purtuttavia esistente), per il fatto che essa ebbe a partecipare solo a due degli osservatori tramite i quali è stato attuato lo scambio di informazioni ritenuto illecito, avrebbe dovuto e potuto incidere sulla valutazione del danno e del nesso causale.

Le censure della ricorrente sul punto sono generiche ed astratte; nè essa ha dedotto e dimostrato di averne meglio specificato il tenore, in sede di merito, sì da sollecitare più specifica ed approfondita motivazione sul punto.

5.- Il ricorso non può che essere rigettato.

6.- Non essendosi costituito l’intimato non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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