Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-10-2011) 27-10-2011, n. 38937 Sequestro conservativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 7 marzo 2011, il Tribunale di Imperia ha annullato il provvedimento di sequestro conservativo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sanremo il 4 febbraio 2011, avente ad oggetto la struttura alberghiera (OMISSIS). Ha rilevato il Tribunale che nella specie il danno asseritamente subito dalle parti civili in riferimento al contratto di cessione di azienda e della locazione dell’immobile non poteva comunque essere quantificato nella misura indicata, parte della quale per di più corrisposta in nero e dunque senza prova, posto che tanto il corrispettivo che i canoni potevano formare oggetto di una obbligazione restitutoria, estranea all’oggetto della richiesta di parte civile, e non risarcitoria (limitata, quest’ultima, ai danni connessi ai lavori di ripristino degli interni dell’immobile, pari ad Euro 181.000, oltre che ai danni non patrimoniali). Per altro verso, il reato di truffa contrattuale presuppone l’attivazione di una domanda di annullamento del contratto, in quanto il titolo dello spostamento patrimoniale, ancorchè invalido, è comunque efficace: il che è controverso possa essere demandato al giudice penale. Infine, nella specie risulterebbero fondate le censure svolte in sede di impugnazione, secondo le quali non sussiste in concreto il periculum in mora, attesta la posizione patrimoniale di C.G. e di C. M. a carico dei quali il sequestro è stato operato.

Propone ricorso per cassazione il difensore della parte civile il quale lamenta violazione di legge deducendo, in particolare, la portata da annettere alla previsione dettata dall’art. 185 c.p., in riferimento alla ipotesi di truffa contestata nella specie, con la conseguenza che la tutela cautelare deve essere volta ad assicurare l’adempimento delle obbligazioni civili nascenti da reato, sia sotto il profilo risarcitorio che sotto quello restitutorio. Nella specie, la restituzione della somma di 663.000 Euro corrisposta dalle parti civili trova dunque base nelle obbligazioni che scaturiscono dal reato, rendendo dunque in parte qua illegittima la decisione del Tribunale, perchè in contrasto con l’art. 185 c.p., e la correlativa richiesta avanzata dalle parti civili a norma dell’art. 316 c.p.p.. A proposito, poi, dei rilievi secondo i quali occorrerebbe una pronuncia di annullamento del contratto, si sottolinea come il contratto contrario a norme penali, in quanto norme imperative, è sempre nullo a norma dell’art. 1418 c.c.. Aspetti, questi, che peraltro non interferiscono con le esigenze di tutela poste a fondamento con la misura di cautela reale, tese ad assicurare l’adempimento delle obbligazioni civili e la cui quantificazione non può che corrispondere con un ammontare non inferiore ai 600.000 Euro, dovendo riguardare il danno emergente ed il lucro cessante, oltre i danni non patrimoniali. Si lamenta, poi, violazione di legge anche in riferimento alla ritenuta insussistenza del periculum in mora, evocandosi a tal proposito gli atti di indagine difensiva dai quali risulta il concreto rischio di dispersione del patrimonio dei C., peraltro neppure correttamente valutato in rapporto all’ammontare dei danni patiti dalle parti civili.

In prossimità della udienza, il difensore di C.G. B., oltre a produrre una ordinanza dibattimentale nella quale sarebbe stata disposta la estromissione parziale delle parti civili, ha svolto deduzioni a sostegno della fondatezza della decisione impugnata, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o di rigetto del ricorso proposto.

Anche a voler prescindere dalla documentazione da ultimo prodotta con la memoria cui si è fatto testè riferimento – alla quale, paraltro, non può annettersi portata dirimente in particolare alla luce della non perspicua enunciazione di quali fra le parti civili e nei confronti di quali imputati sarebbe stata pronunciata la estromissione, risultando per di più oscura la puntualizzazione di quali fossero i soggetti (persone fisiche o giuridiche) e nei confronti di chi fosse stata in origine ammessa la costituzione di parte civile – è assorbente rilevare che i rilievi svolti nella ordinanza impugnata in ordine alla individuazione degli ipotetici danni e della totale assenza di elementi dai quali dedurre la esistenza effettiva di un periculum in mora risultano del tutto corretti e solo labilmente contestati dal ricorrente. Deve infatti rammentarsi che la giurisprudenza civile di questa Corte ha avuto modo di sottolineare che il contratto concluso per effetto di truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell’altro non può affatto ritenersi radicalmente nullo – a norma dell’art. 1418 c.c., in correlazione all’art. 540 c.p. – ma deve ritenersi annullabile a norma dell’art. 1439 c.c., considerato che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, neanche sotto il profilo della intensità, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall’agente e diretti ad indurre in errore l’altra parte e così a viziarne il consenso. Pertanto – si è osservato – con riguardo alla vendita, il soggetto attivo che riceve la cosa col consenso sia pur viziato dell’avente diritto, ne diviene effettivo proprietario, con il connesso potere di trasferirne il dominio al terzo e con la conseguenza che, a sua volta, quest’ultimo, ove acquisti in buona fede e a titolo oneroso, resta al riparo degli effetti dell’azione di annullamento, da parte del deceptus, ai sensi e nei limiti di cui all’art. 1445, in relazione all’art. 2652 c.c., n. 6, art. 2690 c.c., n. 3, (Cass. civ., Sez. 2^, n. 7468 del 31 marzo 2011; Cass., civ., Sez. 2^, n. 13566 del 26 maggio 2008; Cass., civ., Sez. 2^, n. 7322 del 10 dicembre 1986).

Nè può venire in discorso, in senso contrario, l’assunto – peraltro isolato – secondo il quale il giudice penale nel condannare l’imputato alla restituzione in favore della parte civile del bene immobile il cui trasferimento ha costituito l’oggetto dela condotta criminosa, può dichiarare la nullità del contratto di compravendita che lo riguarda, salvo che tale declaratoria comprometta anche gli interessi di terzi rimasti estranei al processo (Cass., Sez. IV, 23 aprile 2008, n. 27412, L’Avena), trattandosi di fattispecie affatto diversa, altro essendo la declaratoria di nullità, altro la annullabilità del contratto.

Parimenti corretti sono i rilievi del giudice a quo in punto di carenza di elementi atti ad asseverare la sussistenza, nella specie, del presupposto del periculum in mora. Questa Corte, infatti, non ha mancato di sottolineare come l’adozione – ed ovviamente il mantenimento – del sequestro preventivo presupponga il rischio che la disponibilità del bene in capo al debitore, e dunque la garanzia che esso presenta per il creditore, possa annullarsi per effetto di condotte di impoverimento; condotte – si è puntualizzato – la cui incidenza può risultare amplificata dalla modestia della consistenza patrimoniale del debitore (Cass., Sez. 5^, n. 13284 del 2 febbraio 2011, p.c. in proc. Frustaci). All’inverso, dunque, ove, come nella specie, la consistenza patrimoniale dei debitori non possa affatto ritenersi modesta ma, anzi, di ragguardevole tenore, gli elementi di fatto alla stregua dei quali arguire il pericolo di dispersione dei beni che rappresentano la garanzia generica delle obbligazioni civili nascenti dal reato, devono assumere carattere di specificità, restando altrimenti la cautela affidata ad apprezzamenti di natura meramente congetturale ed ipotetica.

Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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