Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-10-2011) 27-10-2011, n. 38844 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di G.F. propone ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano del 6 aprile 2011 con la quale è stata respinta l’istanza di riesame proposta nei confronti dell’ordinanza di custodia cautelare emessa per i reati di cui all’art. 416 bis e 629 c.p..

Si contesta con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in riferimento agli art. 273 e 274 c.p.p..

Si assume che non siano stati correttamente indicati i gravi indizi e le esigenze cautelari a carico dell’interessato; in particolare, quanto ai gravi indizi, si rileva che erano state valorizzate solo intercettazioni che riguardavano, più che l’odierno ricorrente, lo zio R.G., con il quale il primo ha rapporti proprio in virtù del vincolo di parentela; in ogni caso si espone che con questi egli ha lavorato solo a far tempo dall’anno 2009, data in cui è stato autorizzato a svolgere attività lavorativa in Lombardia, alle dipendenze della società facente capo ai suoi parenti.

Tale circostanza di fatto stride con la prospettata partecipazione all’associazione la cui nascita risale, secondo la contestazione, all’anno 2005; si osserva inoltre che le conversazioni valorizzate nel provvedimento cautelare, si giustificano per gli interessi lavorativi, sicchè il suo attivismo era funzionale alla tutela degli interessi della società per la quale lavorava.

Si lamenta inoltre che il giudice del riesame non abbia valutato favorevolmente le dichiarazioni rese da tale S.R., pur messe a disposizione del giudice, che si allega al ricorso.

Si assume quindi l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per entrambi i capi d’imputazione.

2. Si lamenta una totale omissione della verifica sull’attualità e proporzionalità delle esigenze cautelari, assumendo la presenza di una nullità insanabile del provvedimento, posto che il giudizio non può essere meramente ipotetico, ma rigidamente ancorato ai fatti concreti, che nel caso di specie riguardano una persona di giovane età, che ha svolto sempre attività lavorativa, situazione di fatto che rende non adeguato il richiamo espresso nel provvedimento solo alla valorizzazione della pretesa gravita del fatto.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, proponendo censure in fatto non consentite in questa sede, al di fuori del rigido parametro di valutazione di coerenza interna del provvedimento previsto dall’art. 606 c.p.p., lett. e).

In particolare il provvedimento introduttivo, nell’ignorare i riferimenti di fatto operati nell’ordinanza impugnata alla specifica attività che risulta svolta da G. grazie all’attività di intercettazione e di osservazione degli agenti di p.g., prospetta chiavi di lettura alternative in relazione a circostanze non dirimenti, quale la sicura assenza di G. dalla scena dell’attività associata fin dall’epoca della costituzione, il che non esclude, all’evidenza, il suo inserimento nell’attività illecita appena giunto in Lombardia, situazione che risulta realizzata proprio sulla base dell’emergenza indiziaria richiamata nell’ordinanza.

Analogamente generico è il riferimento all’attribuzione di valenza indiziaria al suo legame di parentela con lo zio R., posto che nel provvedimento impugnato si analizzano specificamente le condotte attribuite all’odierno ricorrente rispetto alle quali il preteso eccessivo significato attributo al legame di parentela risulta smentito dal richiamo a specifici interventi realizzati dal ricorrente, in sinergia con gli altri concorrenti del reato.

Il provvedimento impugnato individua in maniera chiara ed esauriente gli elementi di accusa a carico dell’indagato emergenti dalle conversazioni telefoniche e dalle intercettazioni ambientali, che hanno consentito di monitorare l’attività illecita nel corso del suo svolgimento e rispetto a tale esauriente esposizione il mancato esame del significato delle dichiarazioni citate nel ricorso non è idoneo a far desumere incompletezza della motivazione in quanto tale dichiarazione, lungi dall’escludere il coinvolgimento di G., consente di individuare il responsabile dell’azione nello zio di questi, senza che il tenore delle affermazioni consenta, per le modalità nelle quali la persona informata sui fatti si è espressa, la sicura individuazione di un unico agente dell’azione punitiva, il che, all’evidenza, non demolendo i fondamentali risultati interpretativi richiamati, non imponeva la specifica confutazione dell’argomento, confutazione doverosa solo per allegazioni di natura decisiva, idonei a scardinare l’impianto indiziario.

2. Analogamente inammissibili sono le contestazioni relative alla valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari, poichè nel provvedimento impugnato sono analiticamente richiamati sia la gravita dei fatti e la particolare natura degli stessi, per i collegamenti tra associati tipici dell’imputazione contestata, che la gravita dei precedenti per reati dello stesso tipo risultanti a carico dell’odierno ricorrente, che in sede di applicazione della misura cautelare stava scontando una pena definitiva del reato associativo, sia da ultimo specificamente richiamata la natura obbligatoria valutazione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per reati di associazione per delinquere di stampo mafioso contestata l’interessato, rispetto al quali quindi l’onere di motivazione risulta ampiamente assolto nè lo stesso deducente allega di aver esposto elementi che, ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, avrebbero consentito di pervenire all’accertamento di assenza delle esigenze cautelari.

Ne consegue che debba valutarsi l’inammissibilità, per genericità, dell’istanza proposta, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma in favore della cassa delle ammende, determinata in misura che si ritiene equa, indicata in dispositivo, in applicazione dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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