Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-04-2012, n. 6262 Responsabilità professionale

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 22/7/2009 la Corte d’Appello di Palermo, in parziale accoglimento del gravame in via principale interposto dalla sig. G.M.C. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Palermo 15/2/2007, condannava la sig. B. F. al risarcimento dei danni dalla prima sofferti in conseguenza dell’espletamento da parte di quest’ultima della sua attività di avvocato, avendo erroneamente riassunto l’interrotto giudizio per il quale aveva dalla medesima ricevuto mandato "notificando il ricorso impersonalmente agli eredi nell’ultimo domicilio della parte deceduta, ancorchè fosse trascorso più di un anno dalla morte".

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la B. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 7 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la G..

Motivi della decisione

Con il 1 motivo la ricorrente prospetta questione di legittimità costituzionale dell’art. 303 c.p.c., comma 2, in riferimento all’art. 24 Cost., "nella parte in cui fa decorrere il termine per la notifica dell’atto di riassunzione entro un anno dalla morte".

Lamenta che il termine di 6 mesi per la riassunzione del processo interrotto ex artt. 299 e 300 c.p.c. decorre "non dall’interruzione, ma dalla conoscenza che le parti abbiano avuto dell’ evento", sicchè "se il termine di sei mesi per la riassunzione decorre dall’effettiva conoscenza della morte di una delle parti e quindi dalla data di dichiarazione d’interruzione del processo, anche il termine di un anno dalla morte della parte, dato al riassumente per notificare impersonalmente e collettivamente agli eredi presso l’ultimo domicilio della defunta, dovrebbe invece decorrere non dalla data effettiva della morte, ma dalla data di conoscenza della morte di una delle parti. Infatti l’avvocato può essere indotto in errore dalla ultroneità dell’attività difensiva del legale".

Il motivo è inammissibile, trattandosi di questione non rilevante nel presente giudizio.

Come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, l’eccezione di illegittimità costituzionale, se può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità (e quivi essere sollevata d’ufficio), deve essere rilevante agli effetti della decisione della causa, e deve cioè avere una portata strumentale rispetto all’accoglimento o al rigetto del ricorso (v. Cass., 6/11/1995, n. 11555).

La proponibilità dell’eccezione di illegittimità costituzionale è dunque condizionata dalla relativa strumentalità per la decisione della controversia, quale mezzo al fine di conseguire una pronuncia più favorevole di quella resa con la sentenza che della norma asseritamente costituzionalmente illegittima ha fatto applicazione (v. Cass., Sez. Un., 5/5/1980, n. 2919; Cass., 18/2/1999, n. 1358;

Cass., 14/3/2003, n. 3784; Cass., 9/4/2004, n. 6963; Cass., 14/12/2007, n. 26275).

Orbene, siffatta funzione strumentale difetta invero nella specie, stante il giudicato formatosi in ordine alla sentenza con cui è stato definito il giudizio nel quale è stata dichiarata la tardiva riassunzione del processo interrotto, sicchè quand’anche si pervenisse ad una declaratoria di illegittimità costituzionale nei termini auspicati dalla ricorrente la norma che si assume costituzionalmente illegittima non potrebbe spiegare effetti in quel processo, avendo il medesimo ad oggetto rapporti invero ormai esauriti, per avvenuta formazione – come detto – dei giudicato (cfr.

Cass., 6/4/2010, n. 10958; Cass., 20/4/2010, n. 9329; Cass., 16/3/2006, n. 5853; Cass., 27/1/2005, n. 1661; Cass., 9/1/2004, n. 113. E già Cass., 7/6/2000, n. 7704).

A tale stregua, rimane conseguentemente preclusa ogni valutazione circa la non manifesta infondatezza della questione in argomento (cfr. Cass., 6/11/1995, n. 11555).

Con il 2 motivo la ricorrente denunzia "nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Si duole che sulla somma che è stata condannata a pagare in favore della G. la corte di merito abbia liquidato gli interessi e la rivalutazione in difetto di relativa domanda.

Con il 3 motivo denunzia "nullità della sentenza per violazione dell’art. 1224 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Lamenta che "in ogni caso la G. doveva provare il maggior danno subito in conseguenza della inadempienza dell’Avv. B., e non l’ha fatto".

Con il 4 e il 5 motivo denunzia "nullità della sentenza per violazione degli artt. 1362 – 1363 e 2735 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente rigettato la sua domanda, proposta in via riconvenzionale, argomentando dall’espressione "detratti gli acconti ricevuti" contenuta nella "lettera inviata alla G…. in data 11/12/1990", e traendone che si trattasse di "confessione extragiudiziale da parte dell’Avv. B. di avere ricevuto somme a titolo di compensi professionali", laddove "tale dizione può essere, come in effetti è, una clausola ricorrente in tutti i prospetti di parcella".

Con il 6 motivo denunzia "nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 163 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4".

Si duole che nel rigettare la sua domanda proposta in via riconvenzionale la corte di merito abbia "omesso l’esame dei documenti prodotti dalla G.".

Con il 7 motivo denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 163 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Si duole che la corte di merito abbia omesso l’esame della "fattura n. (OMISSIS)".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito e la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano non osservati dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come la medesima faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all’"atto di citazione notificato il 4/2/1993", al "mandato all’avv. B. di citare in giudizio certa M.C.", alla domanda di risarcimento del danno proposta dalla G., alla comparsa di costituzione della B., alla "sentenza del 27/4/04 – 15/2/2005" del "Giudice di 1 grado", all’"atto di appello notificato in data 7/7/2005", alla comparsa di costituzione in appello, alla "domanda riconvenzionale contenuta nell’appello incidentale", alla "richiesta di ammissione prova testimoniale" depositata in cancelleria in data 24/11/1986 dall’"avvocato della sig.ra M.", alla dichiarazione "all’udienza del 5/11/87 dopo la precisazione delle conclusioni" del "decesso della… sig.ra M.", all’essere "in effetti la sig.ra M…. già morta il (OMISSIS) e quindi prima che il difensore della M. chiedesse le prove nel giudizio di 1 grado", alle "deduzioni allegate al verbale di udienza del 14 novembre 1995", all’"atto di appello", alle "deduzioni allegate al verbale di udienza del 14 novembre 1995", alla "rivalutazione delle somme… mai chiesta dall’attrice", alla "lettera inviata alla G…. in data 11/12/1990", alle "note inviate alla cliente", ai "documenti prodotti dalla G.", alla "fattura n. (OMISSIS)" limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente -per la parte d’interesse in questa sede- riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua la ricorrente non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi invero sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444;

Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Va ulteriormente osservato, con particolare riferimento al 2, al 6 e al 7 motivo, che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cass., 19/5/2011, n. 10998), l’omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quale error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307; Cass., 23/5/2001, n. 7049) (nullità della sentenza e del procedimento) (v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468), e non anche come nella specie sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e a fortiori del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701).

Deve al riguardo in particolare ribadirsi che la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si coglie nel concernere l’omesso esame ex art. 112 c.p.c. direttamente una domanda o un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello uno dei fatti costitutivi della "domanda" di appello), mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione, e, quindi su uno dei fatti cd. principali della controversia (v. Cass., 30/5/2008, n. 14468; Cass., 14/3/2006, n. 5444).

Il vizio di motivazione su un punto decisivo, denunziabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, postula dunque che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico.

Laddove allorquando l’omessa valutazione dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, esistente un fatto o un documento la cui esistenza risulti incontestabilmente esclusa (o, per converso, inesistente un fatto o un documento la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata) alla stregua degli stessi atti di causa, è viceversa configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, (v. Cass., 25/8/2006, n. 18498;

Cass., 27/5/2005, n. 15672. V. altresì Cass., 18/1/2006, n. 830;

Cass., 2/3/2006, n. 4660).

Nè ricorre d’altro canto vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748;

Cass., 23/6/1967, n. 1537).

Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non può infatti imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Va osservato, ancora, che anche in ipotesi di denunzia di violazione ex art. 112 c.p.c. il principio di autosufficienza va invero osservato, dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualitè e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con conseguente potere-dovere di procedere direttamente all’esame e alìinterpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta comunque quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed alìinterpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Orbene, nel non osservare i suindicati principi la ricorrente non pone questa Corte nella condizione di compiutamente apprezzare quale fosse l’oggetto della domanda originariamente rivolta (nel caso, dalla controparte) al giudice di prime cure, quale sia stata la relativa pronunzia, e quali fossero i limiti (oggettivi e soggettivi) del gravame avverso la medesima interposto.

Laddove va sotto altro profilo ulteriormente ribadito, con particolare riguardo al 6 motivo di ricorso, che l’omesso esame di documenti non da invero luogo ad un error in procedendo del giudice, ma si risolve in un vizio di motivazione, censurabile solo se esso concerne un punto decisivo della controversia, ossia se l’esame del documento avrebbe determinato una decisione diversa da quella adottata (v. Cass., 26/2/2003, n. 2869; Cass., 28/11/2001, n. 15113;

Cass., 25/03/1999, n. 2819).

Il vizio di motivazione, vale infine osservare (anche) a completamento di quanto già più sopra indicato, non può essere d’altro canto utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice, e non ai possibili vizi del relativo iter formativo rilevanti ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (v. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Orbene, alla stregua di tutto quanto sopra rilevato ed esposto emerge evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, si risolvono in effetti nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v.

Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 600,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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