T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, Sent., 29-11-2011, n. 1471 Ordinamento comunale e provinciale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il presente gravame la ricorrente impugna la deliberazione consiliare del Comune di Pizzo Calabro n. 16 in data 14 aprile 2006.

Nel ricorso si espone che: a) con il provvedimento impugnato il Consiglio Comunale ha conferito al controinteressato, che ha riportato otto voti, l’incarico di Presidente del Collegio dei revisori dei conti; b) la ricorrente si è classificata seconda con due voti.

Con unico e articolato motivo di gravame la ricorrente lamenta "violazione dell’art. 236 d.lgs. n. 267/2000, dei principi di revisione internazionale e delle Direttive UE 84/253/EEC, 78/660 e 83/349, nonché eccesso di potere per manifesta illogicità e irrazionalità in relazione ai canoni di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione ( art. 97 Cost.)".

In particolare la ricorrente osserva che: a) il citato art. 236, secondo comma, d.lgs. n. 267/2000 dispone che l’incarico di revisione economicofinanziaria non possa essere esercitato dai componenti degli organi dell’ente locale e da coloro che abbiano ricoperto tale incarico nel biennio precedente la nomina"; b) il controinteressato, nel biennio precedente la nomina, ha ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione della N. s.r.l., una società mista a maggioranza pubblica (partecipata al 51% dal Comune di Pizzo Calabro), costituita con deliberazione del Consiglio Comunale n. 16 del 7 giugno 2001; c) atteso che la società mista costituisce una forma di gestione diretta del servizio pubblico e che la società stessa diviene organo indiretto dell’ente deputato allo svolgimento del servizio (sul punto, cfr. Tar Milano, III, n. 2917/2001), il controinteressato non può ricoprire l’incarico di Presidente del Collegio dei revisori dei conti; d) deve aggiungersi che la società di cui si tratta è stata posta in liquidazione per mancanza di attivo, con notevoli ripercussioni pregiudizievoli sulla gestione del Comune, con la conseguenza che il controinteressato finirebbe con lo svolgere le funzioni di controllore di sé stesso; e) ai sensi dell’art. 239, primo comma, lett. c, d.lgs. n. 267/2000, il Collegio dei revisori dei conti svolge una funzione di vigilanza sull’intera gestione diretta e indiretta dell’ente, ivi comprese le partecipazioni finanziarie (in qualsiasi forma esse si manifestino); f) secondo i principi di revisione internazionale, l’indipendenza del revisore contabile viene meno qualora tra questi e l’ente sussistano relazioni d’affari e di lavoro "dalle quali un terzo informato, obiettivo e ragionevole trarrebbe la conclusione che l’indipendenza del revisore risulti compromessa".

Il controinteressato, costituitosi in giudizio, eccepisce l’inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e sollecita, in subordine, il suo rigetto nel merito sulla base delle seguenti argomentazioni: a) il procedimento di cui si tratta non ha natura concorsuale e l’atto impugnato non ha natura provvedimentale; b) la società N. non è un organo del Comune, atteso che gli organi del Comune sono quelli di cui all’art. 36 d.lgs. n. 267/2000 (Consiglio, Giunta, Sindaco); c) in tal senso si è ripetutamente espressa la giurisprudenza civile e amministrativa; d) la situazione di incompatibilità denunciata dal ricorrente è, invece, disciplina dall’art. 236, terzo comma, d.lgs. n. 267/2000, il quale, però, si limita a prevedere che "i componenti degli organi di revisione contabile non possano assumere incarichi o consulenze presso l’ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso" (sancendo, quindi, il solo divieto del contemporaneo cumulo di incarichi); e) l’eventuale insorgenza di specifici conflitti di interesse può essere, comunque, risolta mediante l’istituto dell’astensione; f) il controinteressato ha cooperato alla redazione dell’ultimo bilancio sociale della N. s.r.l. (riferito all’esercizio 2004 e già sottoposto alle dovute valutazioni e verifiche da parte del precedente Collegio dei Revisori del Comune di Pizzo Calabro), mentre il bilancio relativo all’esercizio sociale 2005, oggetto di verifica da parte del nuovo organo di revisione, è stato redatto dai soggetti incaricati della liquidazione.

Con apposita memoria la ricorrente replica alle difese del controinteressato, osservando quanto segue: a) il conferimento dell’incarico costituisce espressione di una potestà amministrativa e radica, quindi, la giurisdizione del giudice amministrativo; b) l’art. 236, secondo comma, d.lgs. n. 267/2000 si riferisce agli organi dell’ente e non agli organi di governo (a differenza dell’art. 36); c) la "ratio" della norma, con cui si intende garantire l’indipendenza e l’imparzialità del revisore, impone la sua applicazione anche nel caso di specie; d) i riferimenti giurisprudenziali addotti dal controinteressato sono inconferenti; e) la disposizione di cui all’art. 236, terzo comma, d.lgs. n. 267/2000 presuppone che il revisore sia già stato investito dell’ufficio; f) in sede di redazione del bilancio previsionale 2006 il controinteressato ha espresso valutazioni in merito alla passata gestione della N. s.r.l.;:g) il bilancio redatto dai liquidatori si basa, comunque, sulle risultanze della gestione posta in essere dal controinteressato.

Il Comune, costituitosi in giudizio, chiede il rigetto del ricorso, osservando che: a) ai sensi dell’art. 36 d.lgs. n. 267/2000, gli organi del Comune sono il Consiglio, la Giunta e il Sindaco; b) come affermato dalla giurisprudenza (Cons. St., V, n. 4774/2001), l’elenco delle cause di incompatibilità è tassativo; c) la società mista è un soggetto di diritto privato, che gode di autonomia giuridica e funzionale e opera attraverso propri organi statutari; la strumentalità della società mista attiene al fine perseguito e non intacca la sua natura giuridica di soggetto del tutto distinto dall’ente partecipante.

Nella pubblica udienza del 24 novembre 2011 il difensore della ricorrente rappresenta al Collegio che la propria assistita non ha più interesse a conseguire una decisione di merito.

Sentiti i difensori delle parti, come indicato in verbale, la causa viene trattenuta in decisione.

L’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune resistente è infondata, in quanto il procedimento per il conferimento dell’incarico di Presidente del Collegio dei revisori dei conti comporta l’esercizio di poteri di natura pubblicistica rispetto ai quali le sussistono posizioni di semplice interesse legittimo.

Ciò è dimostrato non solo dalla competenza in materia del Consiglio Comunale, ma dalla circostanza che il procedimento è finalizzato all’instaurazione di un rapporto di servizio (e non di pubblico impiego, come sembra ritenere parte ricorrente) di carattere fiduciario, che, proprio in quanto tale, è svincolato dalla logica esclusivamente meritocratica delle procedure concorsuali e costituisce espressione di un apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione, il quale, tra l’altro, salvi i noti limiti in materia di eccesso di potere, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrazione.

Ciò premesso, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse in ragione di quanto affermato all’odierna udienza dal difensore della ricorrente.

Per quanto attiene le spese di giudizio, deve farsi applicazione del principio della soccombenza virtuale e ciò impone di stabilire se il ricorso, sebbene improcedibile, fosse o meno fondato.

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

L’art. 236, secondo comma, d.lgs. n. 267/2999 si riferisce agli organi dell’ente locale e non agli organi delle società partecipate, le quali hanno distinta soggettività e personalità giuridica rispetto al Comune, di talché non può ragionevolmente affermarsi che gli organi delle seconde siano al contempo organi – sebbene indiretti – del primo..

Va, inoltre, precisata la ricorrente (e incontestabile) affermazione secondo cui le società partecipate che siano incaricate dell’espletamento di un pubblico servizio (o, comunque, i soggetti incaricati dello svolgimento di tale servizio in forza di un rapporto di natura concessoria) sono organi indiretti dell’Amministrazione nel’interesse della quale il servizio è svolto.

Con tale affermazione, invero, si vuole evidenziare la circostanza che la società partecipata o il soggetto comunque incaricato dell’espletamento del servizio sostituisce l’Amministrazione, esercita i poteri autoritativi che spetterebbero a questa e si ingerisce nella gestione di denaro pubblico, imputando all’Amministrazione i risultati della gestione, di talché, ad esempio, va ritenuta la giurisdizione della Corte dei Conti per l’ipotesi di danno erariale cagionato dai suoi amministratori (sul punto, cfr., fra le tante Cass. Civ., Sez. Un. m. 23599/2010).

Ciò, tuttavia, non significa che gli organi della società incaricata del pubblico servizio siano organi "indiretti" dell’ente, in quanto essi imputano la propria attività alla società partecipata (non all’Amministrazione) ed è solo la società partecipata nel suo insieme che, nei termini che si sono appena precisati, si configura come organo "indiretto" dell’Amministrazione.

D’altronde, la società partecipata (o il soggetto incaricato di un pubblico servizio) dispone di appositi organi di vigilanza sull’attività dei propri rappresentanti ed amministratori (come il collegio sindacale, previsto, a certe condizioni, anche per le società a responsabilità limitata), mentre gli organi di controllo dell’Amministrazione (in primo luogo il Collegio dei revisori di conti) ricevono, non l’incarico di vigilare sull’azione degli amministratori della società partecipata, ma quello di sindacare sotto il profilo finanziario e contabile il modo in cui gli organi dell’ente gestiscono e hanno gestito, tra l’altro, la partecipazione finanziaria del Comune nella società.

La gestione della partecipazione finanziaria nella società, a dire il vero, implica anche l’esercizio di particolari poteri di vigilanza sull’attività della partecipata (variamente configurati in relazione alla concreta disciplina che regola lo specifico rapporto fra l’ente e la società), ma, ancora una volta, il sindacato del Collegio dei revisori dei conti si limita a verificare il modo in cui tale vigilanza è stata effettuata da parte degli organi dell’Amministrazione e non estende il proprio controllo sulla concreta attività posta in essere dagli organi della società.

Le ragioni appena indicate inducono, pertanto, a privilegiare un’interpretazione squisitamente letterale dell’art. 236, secondo comma, d.lgs. n. 267/2000, non solo e non tanto perché un’interpretazione estensiva o analogica della disposizione non risulta appropriata in materia di incompatibilità (le quali comportano pur sempre una limitazione della capacità giuridica dell’individuo), ma anche in ragione della complessiva "ratio" della disciplina e della necessaria distinzione ontologica, prima che giuridica, che intercorre fra gli organi della società partecipata e gli organi dell’ente partecipante (ribadendosi quanto già sopra indicato in ordine al particolare significato da attribuirsi alla formula che individua nel soggetto incaricato di un pubblico servizio un organo indiretto dell’Amministrazione titolare del servizio).

In definitiva, il citato art. 236, secondo comma, d.lgs. n. 267/2000 intende scongiurare il rischio che gli effetti dell’attività posta in essere da un organo dell’Amministrazione siano sindacati da quello stesso soggetto che ha posto in essere (o ha contribuito a porre in essere) l’attività, ma non estende la sua portata all’ipotesi di attività posta in essere dall’organo di un soggetto che, in forza della particolare natura del rapporto intercorrente fra lo stesso e l’ente locale, sia stato vigilato o abbia subito una qualsiasi forma di controllo da parte dell’Amministrazione.

Se così fosse, d’altronde, le ipotesi di incompatibilità contemplate dalla norma in questione risulterebbero irragionevolmente estese, in quanto esse dovrebbero riguardare tutti coloro che abbiano ricoperto nel biennio precedente o ricoprano allo stato la funzione di organo di un soggetto in qualsiasi modo sottoposto a vigilanza o controllo da parte degli organi del Comune (non solo i sui organi di governo, di cui all’art. 36 d.lgs. n. 267/2000, ma anche i suoi molteplici organi di amministrazione attiva), con la conseguenza di un’innaturale estensione della portata normativa del citato art. 236, secondo comma, il quale riceverebbe un’applicazione in plateale contrasto con la sua formulazione letterale.

Il Collegio non ignora, peraltro, la concreta possibilità di un’eventuale interferenza fra la posizione assunta in passato dal controinteressato presso la società partecipata e quella di Presidente del Collegio dei revisori dei conti, essendo astrattamente possibile che il sindacato espletato in tale seconda qualità, rivolgendosi al modo in cui la partecipazione finanziaria e la funzione di vigilanza del Comune è stata od è gestita, possa involgere indirettamente il merito dell’attività posta in essere in passato dagli organi della società partecipata.

Tale possibilità, tuttavia, secondo una precisa scelta legislativa che si è cercato di illustrare con le argomentazioni che precedono e che non appare irragionevole (né in contrasto con il principio comunitario secondo cui l’indipendenza del revisore contabile viene meno qualora tra questi e l’ente sussistano relazioni d’affari e di lavoro "dalle quali un terzo informato, obiettivo e ragionevole trarrebbe la conclusione che l’indipendenza del revisore risulta compromessa"), non è sufficiente per ritenere l’assoluta incompatibilità del controinteressato per la posizione della quale è stato incaricato, soccorrendo all’uopo il più duttile e meno radicale istituto dell’astensione in relazione al singolo affare trattato.

Le conclusioni raggiunte sono pienamente confermate dal disposto dell’art. 236, terzo comma, d.lgs. n. 267/2000, secondo cui "i componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere incarichi o consulenze presso l’ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso", essendo chiaro che il legislatore non avrebbe avuto alcuna necessità di formulare tale norma (con cui si sancisce il solo divieto del contemporaneo cumulo di incarichi) se il precedente secondo comma avesse dovuto interpretarsi nel senso prospettato da parte ricorrente.

Per le considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato improcedibile, mentre la ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, in favore dell’Amministrazione e del controinteressato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: 1) dichiara improcedibile il ricorso in epigrafe; 2) condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Amministrazione e del controinteressato, liquidate in complessivi Euro 1.750,00 per ciascuna parte, oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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