Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-04-2012, n. 6255 Accertamento Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’agenzia delle entrate notificò un avviso di accertamento alla Bingo RE s.r.l. relativamente all’anno d’imposta 2003, contestando l’indebita deduzione di costi non documentati e/o non di competenza e, ai fini dell’Iva, l’indetraibilità dell’imposta assolta sui c.d. costi promiscui, imputati cioè alle due attività svolte nell’ambito della stessa impresa (esercizio del gioco del bingo e attività di ristorazione e di parcheggio).

La società propose impugnazione dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Roma, che confermò l’atto impositivo quanto al recupero delle imposte dirette, annullandolo, invece, quanto al recupero dell’Iva.

Ritenne a questo riguardo che il criterio di ripartizione dei costi, utilizzato dalla contribuente al fine di computare l’Iva in detrazione – criterio basato sul costo del personale -, fosse maggiormente rappresentativo in rapporto al volume d’affari, essendo il personale una variabile più adeguata rispetto alle spese per affitto di locali, per arredi, per vigilanza e simili.

Questa decisione è stata confermata dalla commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, con sentenza n. 189/7/2009, ha respinto gli appelli principale dell’agenzia delle entrate e incidentale della società.

Ricorre per cassazione l’agenzia delle entrate proponendo due motivi.

La società ha replicato con controricorso contenente un motivo di ricorso incidentale condizionato e tre motivi di ricorso incidentale non condizionato.

La società ha infine depositato una memoria.

Motivi della decisione

1. – I ricorsi principale e incidentale vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. – Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 36, 19 e 19 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene l’agenzia delle entrate che l’opzione per l’applicazione separata dell’imposta, di cui all’art. 36, comma 3, suppone doversi far riferimento al criterio normativamente incentrato sul bene o servizio promiscuo, essendo richiesta l’individuazione della parte di utilizzo di tale bene imputabile a ciascuna delle attività separate.

Cosicchè, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, l’imputazione di un costo promiscuo deve essere effettuata in base alla misura della sua concreta utilizzazione al servizio delle attività separate. Ascrive dunque alla sentenza di aver omesso di verificare la sussistenza o meno di un criterio di imputazione siffatto e di aver affermato la ripartibilità dei costi in ragione di un criterio alternativo (l’incidenza del costo del personale) non previsto dalla legge.

Il secondo (subordinato) motivo denunzia insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul medesimo profilo.

3. – Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

A mente del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 36, comma 3, i soggetti che esercitano (per quanto qui rileva) più attività nell’ambito della stessa impresa "hanno facoltà di optare per l’applicazione separata dell’imposta relativamente ad alcuna delle attività esercitate". In tal caso "la detrazione di cui all’art. 19 spetta a condizione che l’attività sia gestita con contabilità separata ed è esclusa (..) per l’imposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente". I soggetti esercenti più attività nell’ambito della stessa impresa, optanti per la contabilità separata ai fini dell’Iva, hanno quindi diritto alla detrazione solo se si verificano due condizioni: che l’attività per cui si ha diritto sia gestita effettivamente con contabilità separata; e che l’imposta, di cui si chiede la detrazione, non riguardi "beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente", ossia destinati indistintamente alle diverse attività esercitate (v. al riguardo Cass. n. 23177/2010).

Ancora, a mente del successivo comma 5, del medesimo art. 36, "in tutti i casi in cui l’imposta è applicata separatamente per una determinata attività la detrazione di cui all’art. 19 (..) è ammessa per l’imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, nei limiti della parte imputabile all’esercizio dell’attività stessa".

Ora, per quel che si apprende dalla sentenza, la società, avendo optato per l’applicazione separata di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 36, comma 3, e considerato che i costi per beni e servizi promiscui imponibili erano (come evincesi dalla non contraddetta esposizione di cui al ricorso principale) pari a Euro 2.773.654,00, ha ripartito tra le due attività i detti costi in base all’incidenza del costo del personale su ciascuna di queste, così imputando all’attività di Bingo un’ imposta di Euro 330.484,00 (indetraibile stante l’esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 6) e alla restante attività di ristorazione la rimanente imposta (di Euro 223.565,00) poi detratta in sede di dichiarazione annuale.

Nell’avviso di accertamento la detrazione suddetta è stata disconosciuta.

Consegue che l’oggetto del contendere riguardava, in questa causa, la sussistenza o meno delle condizioni di detraibilità dell’Iva assolta sugli acquisti di beni e servizi utilizzati promiscuamente.

In proposito l’onere probatorio incombeva al contribuente con specifico riferimento alla contestata imputazione dei beni e/o dei servizi detti, atteso il criterio normativo che vuole codesta imputazione misurata in base alla quota di utilizzo dei medesimi beni e servizi nell’ambito delle diverse attività.

La commissione regionale, avallando un criterio di astratta ripartizione proporzionale avente come base la rilevanza dell’assorbimento della forza lavoro nelle due riferite attività, ha completamente disatteso il dato normativo. Giacchè questo – come detto – postula la ripartizione in base alla concreta quota di utilizzo dei beni e servizi acquistati. E in nessun modo risulta dalla sentenza spiegato quale sia il nesso logico che sarebbe da porre al fondo dell’associazione tra il parametro prescelto (la rilevanza della spesa per il personale) e il dato unicamente rilevante ai fini specifici (la parte dei beni e/o dei servizi, imputabile all’esercizio delle due attività, cui si riferiscono i costi sostenuti).

Consegue che la statuizione non resiste alla censura, donde va cassata con rinvio alla medesima commissione regionale, diversa sezione, per nuovo esame.

Rimane assorbito il secondo motivo.

4. – Il ricorso incidentale consta di quattro motivi, il primo dei quali formulato in termini condizionati.

5. – Il primo motivo, in via subordinata all’accoglimento del ricorso principale, sostiene la deducibilità dell’Iva indetraibile ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 64.

In sostanza la contribuente, all’uopo richiamando quanto dedotto nel ricorso avverso l’atto impositivo, rivendica – per il caso della ritenuta indetraibilità – il diritto a vedersi riconosciuto, in sede di rettifica della dichiarazione mod. unico 2004, "un costo deducibile di pari importo", in diminuzione dell’Irpeg e dell’Irap. Il motivo è inammissibile in quanto concernente un profilo che il giudice del merito, in coerenza con la decisione adottata sulla primaria questione della detraibilità dell’Iva, ha implicitamente ritenuto assorbito.

Nel giudizio di cassazione, è difatti inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, avendo il giudice di merito attinto la ratio decidendi da altre questioni di carattere decisivo, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento – come nella specie – del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (v. Cass. n. 3796/2008; n. 22501/2006).

6. – I restanti tre motivi, autonomamente formulati, attingono la decisione con la quale la commissione regionale (i) ha respinto l’appello incidentale della società che aveva lamentato – per quel che risulta dalla sentenza – un’omessa pronuncia dei giudici di primo grado in ordine alla eccepita violazione della L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 12, "per omessa valutazione delle deduzioni difensive presentate dalla società nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del processo verbale di constatazione"; (ii) ha respinto l’eccezione relativa a una mancata compensazione dell’accertato maggior imponibile Irpeg con le perdite fiscali pregresse. Al riguardo la società, in ordine successivo, deduce::

(a) violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7, 10 e 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

(b) insufficiente motivazione su punto decisivo e violazione delle medesime disposizioni sopra dette, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

(c) omessa considerazione delle (e vizio di motivazione sulle) citate perdite pregresse in compensazione del maggior imponibile Irpeg, ai sensi dell’art. 102 del Tuir e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39, 40 e 42. 7. – Pure i mentovati tre motivi sono inammissibili. La commissione regionale ha respinto l’appello incidentale della società considerando che (a) le norme della L. n. 212 del 2000, non hanno rango superiore alla legge ordinaria e non sono suscettibili di un’interpretazione formalistica del tipo di quella che – ha affermato – era stata dalla società richiesta; (b) le perdite fiscali non erano state debitamente documentate.

Osserva la Corte che i motivi di cui sopra, parametrati a siffatta duplice ratio decidendi, non soddisfano il fine di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto non risulta evidenziato, con apposita trascrizione della corrispondente parte dell’atto, in quali specifici termini le corrispondenti doglianze vennero consegnate al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Tale mancanza osta a un qualsivoglia apprezzamento circa la pertinenza, o meno, delle censure avanzate avverso la statuizione che precede.

8. – In conclusione, quindi, va accolto il primo motivo del ricorso principale e va dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale (condizionato e non).

In accoglimento del motivo detto, la causa va rinviata alla commissione tributaria regionale del Lazio, diversa sezione, per nuovo esame della regiudicanda in applicazione dei principi di diritto enunciati al superiore punto 3.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo; dichiara l’inammissibilità del ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale del Lazio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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