Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-04-2012, n. 6247 Agricoltura e alimenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane ricorrono nei confronti di Intesa San Paolo spa (quale incorporante San Paolo IMI spa, incorporante Banca Intesa spa, già Banca Commerciale Italiana spa) per la cassazione della sentenza con cui la Corte di Appello di Bologna, confermando la sentenza di primo grado, ha annullato l’ingiunzione fiscale con la quale l’Amministrazione doganale aveva azionato una fideiussione rilasciata dalla Banca Commerciale Italiana spa alla società BE.CA. spa (successivamente fallita) nell’ambito della procedura di concessione dei benefici comunitari erogati alla BE.CA. spa in relazione ad esportazioni di carne bovina effettuate verso l’Egitto negli anni 1992 e 1993 (benefici denominati "restituzioni all’esportazione" e previsti dalle politiche di sostegno delle esportazioni agricole verso paesi terzi).

In linea di fatto, per quanto ancora rileva in questa sede, va precisato che:

– La BE.CA. spa aveva ricevuto il beneficio prima ancora del perfezionamento dell’esportazione, percependo una "anticipazione della restituzione all’esportazione", secondo la procedura prevista dal Reg. CEE 565/80;

– per poter godere di tale anticipazione essa BE.CA. spa si era procurata una fideiussione bancaria "a prima richiesta" (costituente l’oggetto del presente giudizio) in favore dell’Amministrazione doganale, destinata a garantire l’obbligo di restituzione delle somme anticipate dall’Amministrazione nel caso di mancato perfezionamento dell’operazione di esportazione;

– dopo la consegna della carne all’importatore egiziano e il pagamento del relativo prezzo, la BE.CA spa presentò all’Amministrazione doganale, ai fini del riconoscimento definitivo del beneficio e del conseguente svincolo della fideiussione, la documentazione prevista dall’art. 18 Reg. CEE 3665/87, che negli anni 1992 e 1993 era ritenuta sufficiente, secondo la prassi amministrativa corrente degli uffici doganali, a dimostrare il perfezionamento dell’esportazione (vale a dire l’immissione in consumo nei paesi terzi delle merci esportate);

– il 25.2.94 il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia (da ora in poi: FEAOG) emise specifiche indicazioni sulla prova documentale necessaria ai fini della dimostrazione del perfezionamento dell’esportazione in taluni paesi terzi, in particolare prescrivendo, per l’Egitto, che sul documento di importazione risultasse apposto il "timbro/notazione che le merci sono state rilasciate", attestante il superamento dei controlli sanitari;

– con nota del 9.6.94 l’Amministrazione doganale, uniformandosi alle prescrizioni dettate dal FEAOG, richiese alla BE.CA spa l’integrazione documentale da quello prescritta, ma la Curatela del Fallimento della BE.CA spa (frattanto apertosi nel medesimo mese di giugno 1994) non soddisfece la richiesta; conseguentemente l’Amministrazione doganale – ritenendo non provato il perfezionamento dell’operazione per la quale era stata anticipata la "restituzione all’esportazione" – azionò la fideiussione nei confronti della banca garante, emettendo l’ingiunzione fiscale opposta in questo giudizio.

La Corte d’Appello di Bologna ha giudicato fondata l’exceptio doli sollevata dalla banca garante, ritenendo contraria alla buona fede l’escussione della garanzia fideiussoria da parte dell’Ufficio; ciò in quanto tale escussione derivava dalla mancata ottemperanza, da parte dell’esportatore, ad una richiesta di integrazione documentale da giudicarsi, secondo la Corte d’Appello, inesigibile, in quanto relativa ad operazioni di esportazione che al momento di tale richiesta (giugno 1994) risultavano definite già da tempo.

Il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Dogane si fonda su quattro motivi.

Intesa San Paolo spa resiste con controricorso e propone ricorso incidentale in punto di regolazione delle spese del giudizio di secondo grado, compensate dalla Corte di Appello di Bologna, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, nonchè la insufficiente e contraddittoria motivazione del capo di sentenza relativo alle spese.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 17.1.12, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Preliminarmente si deve procedere alla riunione del ricorso incidentale a quello principale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Ancora in via preliminare, va disattesa l’eccezione della resistente di inammissibilità del ricorso per carenza di rappresentanza processuale da parte dell’Avvocatura dello Stato. Il ricorso è stato infatti proposto sia dal Ministero delle Finanze che dall’Agenzia delle Dogane, entrambi parte del giudizio di merito. Il Ministero è rappresentato dall’Avvocatura dello Stato ex lege. Per le Agenzie fiscali la rappresentanza da parte dell’ Avvocatura dello Stato è facoltativa, ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, ma il conferimento del relativo incarico non implica il rilascio di una procura, trovando applicazione la disposizione del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 1, comma 2, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato (cfr. Cass. 11227/07, 3427/10, nonchè – per il principio che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 5, nel ricorso per cassazione di una Agenzia fiscale non è necessario fare specifica menzione dell’atto di conferimento dell’incarico all’Avvocatura dello Stato – Cass. 14785/11).

Passando all’esame dei motivi del ricorso principale, si rileva che, col primo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’Amministrazione censura la "Violazione dei principi di diritto vivente, quali individuati dalla costante giurisprudenza, sul contratto autonomo di garanzia in relazione agli artt. 1936 e 1945 cod. civ.; violazione dell’art. 16 del Reg. CE 12/7/1985 n. 2220"; col secondo, anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’Amministrazione censura la "Violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 18, 25 e ss. del Reg.

CEE 27/11/1987 n. 3665, in relazione ai principi desumibili dagli art. 23 e 47 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea del 25.03.57 e dai Reg. CEE n. 729/70 e 565/80. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84, comma 1, dell’art. 221, comma 3, del Reg. CEE 12.10.1992, n. 2913; violazione e falsa applicazione dell’art. 220, par. 2, lett. b), del Reg. CEE 2913/92 e dei principi generali sulla buona fede e sul legittimo affidamento quali desumibili dalla giurisprudenza e costituenti diritto vivente"; col terzo, ancora riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’Amministrazione censura idi "Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi generali in materia di onere della prova"; col quarto ed ultimo motivo, infine, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’Amministrazione censura la "Contraddittoria e insufficiente motivazione su punti controversi decisivi della controversia".

Il primo motivo di ricorso risulta articolato in due profili, in quanto si conclude con due distinti quesiti de seguente testuale tenore:

a) "Se le garanzia fideiussorie prestale per le anticipazioni alle esportazioni a beneficio di esportazioni di prodotti comunitari, in quanto "a prima richiesta", precludono al fideiussore l’opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale, in deroga all’art. 1945 c.c., restando in ogni caso consentito al garante di opporre al beneficiario solo l’exceptio doli, nel caso in cui la richiesta di pagamento immediato risulti prima facie abusiva o fraudolenta". b) "Se – in una situazione in cui la richiesta di integrazione documentale avanzata dalla Dogana successivamente alla operazione di esportazione entro il termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 16 Reg. CE 2220/85, in base a determinazione degli uffici della Commissione CE (nella specie FEAOG) sia rimasta inottemperata dalla società esportatrice, con conseguente richiesta di rimborso dell’anticipazione da parte della Dogana – l’escussione dei soggetti garanti in base a contratto autonomo di garanzia sia da ritenere legittima, non abusiva e non giustificatrice di una exceptio doli, con conseguente improponibilità delle domande proposte dagli istituti garante.

Il profilo sintetizzato nel primo quesito – ove lo si consideri una censura a sè stante – va giudicato inammissibile, in quanto del tutto generico e privo di specifico collegamento con le argomentazioni della sentenza gravata; quest’ultima ha infatti qualificato l’eccezione mossa dalla banca proprio come exceptio doli, cosicchè l’eventuale risposta positiva al quesito non sarebbe concludente ai fini della cassazione della sentenza gravata.

Pertinente è invece il secondo profilo del primo motivo di ricorso, con cui la parte ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello non avrebbe considerato che le prescrizioni dettate in via generale dall’art. 16 Reg. CEE 2220/1985 sul contenuto delle fideiussioni de quibus impongono il pagamento senza contestazioni sul merito – appunto "a prima richiesta" – ed impediscono, in conseguenza, la proposizione di opposizioni da parte dei garanti in contestazione della debenza della restituzione pretesa dall’Ufficio.

In sostanza, secondo la parte ricorrente, la sentenza gravata – accogliendo le eccezioni della banca garante sulla legittimità della richiesta di integrazione documentale rivolta dall’Ufficio alla BE.CA. spa nel giugno 1994 – avrebbe violato la disciplina comunitaria delle garanzie prestate per assicurare che, qualora i fatti costitutivi del diritto al sussidio all’esportazione non vengano provati nei modi prescritti dalle Autorità comunità) e, le somme a tale titolo anticipate agli esportatori vengano prontamente restituite.

Preliminare all’esame di ogni altra questione è dunque la qualificazione del negozio giuridico intercorso tra le parti a garanzia della restituzione delle anticipazioni alle esportazioni erogate a favore della BE.CA. spa.

A questi fini conviene riprodurre qui di seguito l’insegnamento recente di questa Corte che si è già espressa sul punto con tale chiarezza di accenti da rendere superflue ulteriori specificazioni:

"Gli esportatori che intendano beneficiare delle facilitazioni comunitarie previste sotto forma di finanziamento dalle esportazioni di cereali ex Reg. CEE n. 3665 del 1987 devono sottostare ad un regime particolarmente rigoroso che mira a garantire che lo scopo dell’esportazione sia conseguito. Per tale ragione si prevede che si anticipi, al momento della dichiarazione doganale di esportazione, il versamento della somma corrispondente al diritto alla restituzione ma si pretende che, in caso di inadempimento dell’esportatore, la restituzione della somma anticipata sia prontamente recuperata, attraverso l’istituto della cauzione, intesa come garanzia di versamento rapido e sicuro della somma erogata, ex art. 3, comma 1, lett. a, Reg. CEE n. 2220 del 1985. Il regolamento comunitario citalo prevede che la cauzione possa essere costituita in contanti (art. 8, comma 1, Reg. CEE cit.) o sotto forma di garanzia con l’impegno, però, del garante "congiuntamente e solidalmente con la persona che deve soddisfare gli obblighi a versare, nei 30 giorni successivi alla domanda dell’organismo competente ed entro i limiti della garanzia, qualsiasi somma dovuta a seguito dell’incameramento di una cauzione".

Da tale indicazione normativa deriva che il contratto di cauzione che venga in concreto stipulato deve essere interpretato in modo da assicurare la finalità che la disciplina comunitaria persegue e cioè garantire l’eventuale restituzione dell’importo anticipato ai sensi del reg. CEE n. 3665 del 1987. Poichè nel caso di inadempimento dell’esportatore, solo il contratto autonomo di garanzia, e non il contratto di garanzia ordinario, assicura lo Stato che ha anticipato la somma, i contratti di cauzione che siano stipulati in funzione di assicurare la garanzia prevista dalle norme comunitarie non possono che avere la natura di contratto di garanzia autonomo" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24207 del 26/09/2008).

Si deve perciò sicuramente qualificare come contratto autonomo di garanzia il negozio giuridico intercorso tra le parti, in considerazione della funzione del medesimo, attesa la natura stessa dell’operazione che un tale negozio presuppone e quindi per la imprescindibile connotazione che ad esso attribuisce la disciplina comunitaria di riferimento; a tale disciplina è improntata la realizzazione dei presupposti dell’operazione economica sottostante ai fatti di causa e pertanto assume valore dirimente, anche nell’ottica della comune intenzione delle parti, la chiara disposizione del citato art. 8 Reg. CEE n. 2220 del 1985.

Ciò posto, mette conto evidenziare che, a sostegno dell’accoglimento della eccezione formulata dalla banca, la Corte d’appello ha argomentato ricordando che le istanze di restituzione per le esportazioni eseguite prima del fallimento della BE.CA. spa erano state sempre ritenute dall’Amministrazione doganale italiana sufficienti – in base alle prescrizioni del Reg. CEE 3665/87, all’epoca vigente – per ottenere l’assegnazione definitiva del sussidio all’esportazione e lo svincolo delle correlate fideiussioni, mentre solo a lungo tempo di distanza dalla conclusione dell’operazione, e successivamente alla declaratoria di fallimento della BECA, la documentazione presentata era stata giudicata insufficiente e se ne era chiesta la integrazione con ulteriori certificazioni e/o attestazioni che dimostrassero l’effettiva immissione al consumo della merce nel paese di destinazione. Ed è proprio questo improvviso mutamento di indirizzo che è stato ritenuto dalla Corte di Appello fonte di patologico abuso, giacchè incidente su un contesto definito, o quanto meno esaurito.

L’assunto non merita condivisione.

La problematica posta dal motivo di impugnazione qui in esame è già stata diffusamente trattata e risolta nella sentenza di questa Corte n.16877 del 21.7.2009, massimata come di seguito: "il beneficio delle restituzioni alì importazione, riconosciuto dalla Comunità europea, anche sotto forma di anticipazioni o prefinanziamenti, agli esportatori di prodotti agricoli verso Paesi extracomunitari, e consistente in un contributo pari alla differenza tra il prezzo intracomunitario (più elevato) e quello extracomunitario (meno elevato), è condizionato al versamento di un deposito cauzionale o al rilascio di una fideiussione bancaria od assicurativa che l’Autorità nazionale doganale (attualmente nel nostro ordinamento l’Agenzia delle Dogane) può escutere nel caso in cui l’impresa finanziata non esegua l’esportazione nel termine stabilito o non dia prova dell’effettiva immissione al libero consumo nel Paese di destinazione. Tale prova, che costituisce condizione essenziale per l’attribuzione definitiva del beneficio, non si esaurisce nella verifica della formale corrispondenza della documentazione fornita alle tipologie alternativamente indicate dall’art. 18 del Regolamento CE n. 3665187 del 27 novembre 1987, ma richiede una valutazione concreta di idoneità e sufficienza del contenuto dei documenti prodotti in funzione dell’accertamento dell’avvenuto perfezionamento dell’operazione. A tal fine, l’Autorità doganale nazionale è sempre abilitata a richiedere, ove non siano maturate preclusioni temporali a suo carico, supplementi documentali, che non costituiscono nuovi adempimenti, ma solo specificazioni di quelli previsti dalla legge, in virtù del generale obbligo previsto dall’art. 8 n. 1 del Regolamento base n. 729170 del 21 aprile 1970, norma che costituisce espressione degli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 5 del Trattato, di prendere tutte le misure necessarie per assicurarsi l’effettività e regolarità delle operazioni finanziate, senza che rilevi, sotto il profilo della violazione dei principi di buona fede ed affidamento, la novità, rispetto a prassi amministrative precedenti, dell’intensificazione dei controlli da parte dell’Autorità nazionale".

Il principio di diritto sopra trascritto, recepito anche nella recentissima sentenza n. 30744/11 ed al quale questo Collegio intende dare continuità, non è stato osservato dalla sentenza gravata. Al riguardo conviene rammentare qui di seguito, per riassunto, il sistema delle giustificazioni documentali che sono richieste dalla disciplina comunitaria al fine della definitiva attribuzione delle restituzioni alle importazioni.

La disciplina prevista nell’art. 18 Reg. 3665/87 – specificando il disposto dell’art. 17, u.c. ("il prodotto si considera importato quando sono state espletate le formalità doganali di immissione in consumo nel paese terzo") – prevede un sistema di "prova primaria" e di "prova secondaria".

La prova primaria di immissione in consumo è regolata dal 1^ paragrafo e consiste nella: a) presentazione del documento doganale oppure, in alternativa; b) l’attestato di scarico e di immissione in consumo compilato da una società specializzata sul piano internazionale in materia di controllo e di sorveglianza riconosciuta dalla Commissione ovvero da uno Stato membro.

Le prove secondaria si correla alla impossibilità dell’esportatore di ottenere il documento conformemente al paragrafo 1, in seguito a circostanze indipendenti dalla sua volontà, o se i documenti sono considerati insufficienti. Perciò, in siffatte ipotesi, la dimostrazione di espletamento delle formalità doganali di immissione in consumo si considera avverata con la presentazione dei seguenti documenti che sono, in sintesi ed in via alternativa tra loro: a) copia del documento di scarico emesso o vistato nel paese terzo; b) attestato di scarico rilasciato da un servizio ufficiale di uno degli Stati membri attestante che il prodotto ha lasciato la zona portuale e che, a quanto consta, esso non è stato nuovamente caricato ai fini della riesportazione; c) attestato di identico contenuto a quello sub b) ma rilasciato da una società internazionale specializzata in materia di controllo e sorveglianza; d) documento bancario attestante che è stato accreditato sul conto dell’esportatore il pagamento effettuato dall’importatore relativo all’esportazione considerata; e) attestato di presa in consegna della merce da parte di un organismo ufficiale del paese terzo; f) attestato di presa in consegna di un’organizzazione internazionale in caso di aiuto alimentare.

Ciò premesso, appare opportuno riportare testualmente la motivazione della suddetta sentenza n. 16877 del 21.7.2009, ove i termini giuridici della questione in esame vengono definiti come segue:

"La prova dell’immissione in consumo nel paese terzo della merce per la cui esportazione sono state concesse le agevolazioni costituisce condizione essenziale per la attribuzione definitiva della anticipazione, cioè della preventiva corresponsione degli importi in restituzione che spettano ad operazione conclusa. Tale prova, che deve transitare dalle suddette tipologie, in esse peraltro non si esaurisce senza una implicita valutazione di idoneità e sufficienza del contenuto in funzione della rappresentazione certa dell’avvenuto perfezionamento dell’operazione che può esigere – a seconda dei casi – elementi integrativi che contribuiscano a rivelarne l’"effettività" e la "regolarità". In altre parole, ove l’Amministrazione doganale non sia impedita, nell’attività di riscontro della validità delle operazioni, da preclusioni temporali nell’esercizio dell’azione di recupero (come pacificamente non è nel caso di specie, non essendo maturato alcun termine di prescrizione o decadenza), deve ritenersi che essa sia sempre abilitata a chiedere supplementi documentali per l’accertamento dei presupposti cui la normativa comunitaria condizione l’attribuzione del beneficio, non trattandosi di "nuovo" adempimento ma semmai di "specificazione" di quello principale per rendere effettivo il controllo così come demandato all’Autorità nazionale dall’organismo comunitario (trattandosi di "risorse proprie").

Va osservato in proposito che, a sensi dell’art. 8 n, 1 del Reg. base 729/70 (norma che costituisce espressione degli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 5 del Trattato), questi hanno l’obbligo generale di prendere tutte le misure necessarie per assicurarsi dell’effettività e della regolarità delle operazioni finanziate dal FEOGA a prescindere dalla istituzione di particolari misure di controllo ed a completamento delle verifiche rimesse ai servizi della stessa Commissione (Corte di giustizia sent. 21.1. 1999 C-54/95 Repubblica federale di Germania-Commissione e seni. 2.6.2004 C-2/93 Exportslachterijen van Oordegem)".

Alla stregua di tali principi deve dunque confermarsi, anche nel caso oggetto del presente giudizio, che non vi è ragione, espressa nella norma o implicita nel sistema, per supporre che l’Amministrazione Doganale sia impedita, ove non siano maturati specifici termini decadenziali o prescrizionali, a chiedere supplementi documentali per l’accertamento dei presupposti cui la normativa comunitaria condizione l’attribuzione dei benefici all’esportazione.

Ha quindi errato la sentenza gravata nel ritenere che la pretesa dell’Ufficio potesse risultare paralizzata dall’eccezione di abusività della condotta dell’Amministrazione fondata sul lungo tempo trascorso dal momento in cui si era realizzata l’operazione economica sottostante, o sul fatto dell’intervenuto fallimento dell’esportatore, o su precedenti prassi difformi in ordine alla documentazione ritenuta sufficiente per offrire la prova dell’esportazione; tutte circostanze, queste, apprezzabili solo su un piano squisitamente fattuale, ma destituite di giuridica rilevanza.

D’altronde, è principio già recepito quello secondo cui: "Poichè nel contratto autonomo di garanzia al garante non è consentito opporre al creditore eccezioni che traggano origine dal rapporto principale, salvo l’exceptio doli formulabile nel caso in cui la richiesta di pagamento risulti "prima facie" abusiva o fraudolenta, deve altresì escludersi, se la richiesta nei confronti del garante sia fondata sull’inadempimento dell’obbligazione principale, l’onere del creditore di allegare e provare le specifiche inadempienze del debitore principale; è invece il garante che per escludere la propria responsabilità deve fornire la prova certa ed incontestata dell’esatto adempimento da parte del garantito" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3964 del 21/04/1999).

Insomma, versandosi indiscutibilmente in materia di "exceptio doli generalis seu praesentis" (per la qualificazione della fattispecie e per la distinzione rispetto alla "exceptio doli specialis seu preteriti" si veda Cass. Sez. 1^, Sentenza n. 5273 del 07/03/2007), per l’integrazione della fattispecie sarebbe stato necessario acquisire la certezza dell’avere il garantito sottaciuto situazioni sopravvenute al contratto ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto, ovvero avanzato richieste di pagamento "prima facie" abusive o fraudolente (in termini si veda ancora Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10864 del 1.10.99); sicchè sarebbe spettato al garante, in assolvimento dell’onere su di lui incombente e per sorreggere l’impugnazione del provvedimento volto ad escutere la garanzia, non già limitarsi ad allegare e prospettare l’esistenza di una maggiore difficoltà nel reperimento dei documenti costituenti la richiesta integrazione, ma dedurre e provare rigorosamente le ragioni per le quali il tempo trascorso dal compimento delle operazioni di esportazione e la specifica situazione delle relazioni intemazionali al momento della richiesta avrebbero determinato la impossibilità assoluta ed obiettiva, e quindi anche nota all’Ufficio, di acquisire l’integrazione documentale da quest’ultimo richiesta. Diversamente, l’accoglimento dell’eccezione formulata dal garante circa la generica legittimità della pretesa di integrazione documentale (alla luce della asserita idoneità della documentazione già precedentemente prodotta) integrerebbe i presupposti dell’indagine su eccezioni direttamente opponibili dall’obbligato principale e finirebbe perciò per tradire – come in effetti è avvenuto nella sentenza gravata – il carattere precipuo della obbligazione autonoma di garanzia (per la distinzione di quest’istituto rispetto alla fideiussione ed alla garanzia a prima richiesta si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27333 de 12/12/2005), che è appunto quello di precludere al garante di opporre al creditore eccezioni che traggano origine dal rapporto principale.

Il primo motivo del ricorso principale – limitatamente al secondo profilo di censura, inammissibile essendo il primo profilo – va dunque accolto, con assorbimento dei residui motivi, oltre che con assorbimento del ricorso incidentale; sicchè la sentenza di appello deve essere cassata.

Poichè, alla luce del contenuto delle azioni proposte in prime cure, non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigettando l’opposizione della banca all’ingiunzione fiscale.

La considerazione che i precedenti emessi da questa Corte in analoga materia sono successivi alla sentenza gravata giustifica la compensazione delle spese, delle fasi di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riunito il ricorso incidentale a quello principale, accoglie il ricorso principale nei sensi di cui in motivazione, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva del giudizio.

Compensa le spese delle fasi di merito e condanna la parte ricorrente incidentale a rifondere alla ricorrente principale le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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