Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-09-2011) 27-10-2011, n. 38933

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 26/05/2011, il Tribunale del riesame di Napoli confermava l’ordinanza con la quale, in data 9/05/2011, il g.i.p. del Tribunale della medesima città aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di C.S. per i delitti di omicidio di Co.Ci., lesioni personali ai danni di F.M. e detenzione illegale e porto in luogo pubblico di una pistola cal. 38 con l’aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Rilevava il Tribunale che, sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori – la cui attendibilità era stata pienamente riscontrata all’esito di delicati ed importanti processi – gli elementi a carico dell’indagato potevano essere così sintetizzati:

" Ca., che è colui che organizza l’azione di fuoco, riferisce che l’indagato era presente nell’appartamento/quartiere generale dalla mattina e lo colloca tra coloro che partecipavano attivamente alla riunione ed ai vari sopralluoghi del territorio; E., del pari parla del ricorrente come uno dei ragazzi di Ca. presente nell’appartamento e poi nell’auto quando fanno ritorno al Rione per portare la notizia ai S.; S.P. in modo indiretto conferma che il modus operandi di Ca. è proprio quello di coinvolgere tutti i suoi uomini nelle decisioni e nella realizzazione dei propositi omicidiari ai danni del clan avversario.

A conferma di ciò vi sono le lamentele di M. o specchiettista che va a confidarsi con il capo lamentandosi del fatto che troppe persone venissero coinvolte nei raid contro il clan Panico- Terracciano-Arlistico. La piena sovrapponibilità delle dichiarazioni non viene minimamente scalfita da alcune discrasie tra i narrati (…)". 2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, sostanzialmente, la violazione dell’art. 110 c.p. per avere il Tribunale ritenuto che la condotta descritta potesse avere avuto un contributo causale alla determinazione ed esecuzione dei delitti contestati. Sostiene, infatti, il ricorrente che la sua mera presenza fisica, alla riunione in cui venne decisa la morte del Co. ed affidato il mandato omicidiario, era del tutto irrilevante in quanto egli era rimasto estraneo all’omicidio il cui mandato era stato conferito dal capo clan – Ca.Ca. – a D. e A. e da questi eseguito. D’altra parte, lo stesso Ca. aveva riferito di una mera presenza senza alcuna attribuzione di una qualsivoglia condotta, mentre, invece l’ E. aveva attribuito all’indagato una condotta sia pur riferibile a molte ore prima dell’episodio omicidiario.

Motivi della decisione

1. In punto di diritto, va premesso, che, correttamente, il Tribunale ha affermato che il concorso nei reati "non prevede una condotta tipica ma, piuttosto è ravvisabile ogni qualvolta il comportamento del partecipe contribuisca alla realizzazione del fatto criminoso a livello ideativo o esecutivo, materiale o morale e quando nella partecipazione psichica il contributo consista nella determinazione o nel rafforzamento del proposito criminoso altrui, essendo sufficiente che tale contributo favorisca la commissione del reato stesso". La suddetta affermazione, è, infatti, conforme alla pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale – "ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perchè in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti": Cass. 24895/2007 Rv. 236853;

Cass. 5631/2008 Rv. 238648, Cass. 21082/2004 Rv. 229200. – In tema di concorso di persone nel reato, anche la semplice presenza sul luogo dell’esecuzione del reato, purchè non meramente casuale, è sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa, qualora sia servita a fornire all’autore del reato un maggiore senso di sicurezza, rivelando chiara adesione alla condotta delittuosa:

Cass. 26542/2009 Rv. 244094. 2. Il problema che, quindi, pone il presente procedimento consiste nel verificare se il tribunale ha correttamente applicato, al caso di specie, i suddetti principi.

Il Tribunale ha così motivato il contributo causale del ricorrente ai delitti contestatigli: "Non vi è dubbio che nel caso in esame l’odierno ricorrente fosse consapevole dell’esistenza di una guerra in atto per la conquista da parte dei S. del controllo del territorio di (OMISSIS), e che la sua partecipazione alle riunioni con Ca. fosse finalizzata alla commissione del delitto in commento: unica incognita era il nome della vittima. La sua presenza in quel luogo rafforzava il proposito criminoso e dava un contributo di ordine materiale e psicologico, non necessariamente causale, alla realizzazione dell’evento".

Il tribunale, quindi, ha ritenuto che l’indagato avesse contribuito all’ideazione ed al rafforzamento morale negli esecutori dei delitti, atteso che:

– faceva parte di un clan il cui capo aveva l’abitudine di coinvolgere tutti i suoi uomini nelle decisioni e nella realizzazione dei propositi omicidiari ai danni del clan avversario;

– partecipò attivamente alla riunione in cui venne deciso l’omicidio ed ai vari sopralluoghi del territorio ("(…) i collaboratori concordano (…) sui continui raid nel territorio per individuare le vittime");

– era fra coloro che portarono immediatamente la notizia dell’omicidio ai S..

Non è vero, quindi, come sostiene il ricorrente che la sua fu una presenza passiva e casuale: al contrario, la sua fu una presenza affatto casuale e fu decisiva perchè, facendo parte di un clan in cui le decisioni venivano prese con il coinvolgimento di tutti gli appartenenti, egli dette, con la sua presenza ed il suo comportamento (partecipò attivamente alla riunione – effettuò vari sopralluoghi del territorio – dette subito la notizia ai S.) un contributo di ordine materiale e psicologico alla realizzazione dell’evento. La motivazione del Tribunale, quindi, non si presta alla censura del ricorrente la quale va considerata aspecifica rispetto alla ratio decidendi avendo trascurato di confutare l’iter argomentativo dell’impugnata ordinanza nei suoi punti e snodi fondamentali (non mera presenza casuale ma presenza attiva), ed essendosi limitata a far leva su una pacifica ed incontestata giurisprudenza di legittimità senza però adattarla al caso di specie.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *