T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 29-11-2011, n. 9353

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame la società ricorrente – premesso di avere partecipato alla gara per l’affidamento del servizio di manutenzione, riparazione e revisione autoveicoli e mezzi militari in dotazione al centro addestrativo aviazione dell’esercito ed al 28° gruppo Sqd AVES "Tucano", siti in Viterbo, periodo novembredicembre 2010 e di essersi classificata terza – ha impugnato il verbale n. 11 del 24 novembre 2010, comunicato il 22 dicembre 2010, con il quale la commessa è stata aggiudicata alla ditta A.P. srl..

Essa contesta le modalità di svolgimento del procedimento di gara (nella prospettiva di travolgerlo in via strumentale alla ripetizione della gara) nonché l’anomalia delle prime due offerte.

Come seguono le censure:

a)il prezzo offerto dalla prima e dalla seconda classificata è palesemente anomalo per violazione dei minimi stipendiali previsti nelle tabelle ministeriali. Il sistema di aggiudicazione è stato quello del prezzo più basso da calcolarsi come ribasso percentuale globale su due elementi: prezzo della vernice e prezzo della manodopera. Sia la prima che la seconda classificata hanno offerto un costo della manodopera variabile tra Euro 7,46/ora e Euro 8,97/ora (sconto 71%) e tra Euro 8,18/ora e Euro 9,84/ora (sconto 68,17%) laddove le tabelle ministeriali relative al previgente CCNL prevedono un minimo di Euro 14,31 ed un massimo di 19,39;

b)il procedimento di verifica dell’anomalia è stato effettuato dalla commissione di gara mentre appartiene alla stazione appaltante la possibilità di delegarlo ad apposita commissione ad hoc;

c)tutte le operazione di gara si sono svolte nell’arco di poche ore;

d)la commissione ha svolto tutte le operazioni in seduta segreta mentre la verifica di integrità dei plichi contenenti l’offerta e la documentazione andava fatta in seduta pubblica;

d1)sussiste il fondato sospetto che la commissione abbia aperto le offerte economiche prima di avere esaminato la documentazione amministrativa dal momento che nella cronologia degli accadimenti gli sconti offerti precedono la descrizione degli adempimenti relativi alla valutazione della documentazione amministrativa;

e)la commissione giudicatrice era composta di quattro membri anziché in numero dispari come stabilito dall’art. 84, c. 2 del D.Lvo n. 163/2006 e dal D.M. 16/372006.

La ricorrente sostiene, altresì, che sarebbe stata violata la clausola dello stand still, per cui:

il contratto va privato di effetti retroattivamente;

devono essere irrogate le sanzioni previste dall’art. 123 del codice del processo amministrativo.

L’interessata conclude con istanza di subentro nel contratto qualora lo stesso dovesse avere una durata maggiore di quella prevista nella lettera di invito.

In subordine, essa chiede la condanna in forma generica dell’amministrazione evocata in giudizio.

Si è costituita l’Avvocatura di Stato depositando documenti e relazione dell’amministrazione.

Nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011, la Sezione ha respinto la domanda di sospensione degli atti impugnati in carenza dei "presupposti del danno grave ed irreparabile e/o della estrema gravità ed urgenza".

La ricorrente ha depositato motivi aggiunti in data 15 aprile 2011.

L’Avvocatura di Stato ha depositato memoria il successivo giorno 16.

Parte ricorrente ha replicato con note depositate il 22 aprile 2011.

All’udienza del 4 maggio 2011, la causa è stata rinviata, su istanza del difensore di parte ricorrente, per mancanza di termini a difesa per la presentazione di memorie e documenti essendo stati, i motivi aggiunti, notificati soltanto il 15 aprile 2011 (18 giorni liberi precedenti l’udienza fissata per il 4 maggio).

All’udienza del 5 ottobre 2011 il Presidente ha dato avviso alle parti della eventuale applicazione di sanzioni alternative.

La causa, alla stessa udienza, è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso impugnatorio è fondato nei sensi che seguono.

Si premette che la presente decisione viene redatta secondo modalità di cui all’art. 120, c. 10, D.Lvo n. 104/2010.

Dalla documentazione versata in giudizio, consta che effettivamente l’amministrazione ha proceduto all’apertura dei plichi in seduta privata.

Il Collegio osserva che il principio di pubblicità appartiene al novero dei principi generali, comunitari e nazionali, informatori di ogni tipologia di affidamento di opere, servizi e forniture, come affermato anche dall’art. 2, D.Lvo n. 163 del 2006.

Correlativamente, la pubblicità delle sedute di gara è inderogabile in ogni tipo di procedura di affidamento, almeno per quanto concerne la fase di verifica dell’integrità dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica, e la relativa apertura.

Essa risponde ad indeclinabili principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, ai principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

Nella fattispecie, è agevole evidenziare come detti principi generali siano stati completamente disattesi dall’amministrazione; segnatamente, quello di pubblicità delle sedute di gara che, secondo il consolidato e condivisibile indirizzo della giurisprudenza amministrativa, è senz’altro inderogabile in ogni tipo di gara, almeno per quanto concerne la fase di verifica dell’integrità dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica, e la relativa apertura (fra le altre, Tar Puglia, Bari, sez. I, 2/2/2010, n. 244; Tar Piemonte, sez. II, 18/2/2010, n. 990; C.d.S. sez. V, 13/10/2010, n. 7470; Tar Toscana, sez. II, 6/7/2010, n. 2313; C.d.S. cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2009, n. 6311; id, sez. V, 11 maggio 2007, n. 2355; id., 11 febbraio 2005, n. 388): che la pubblicità, corollario della trasparenza e ineliminabile presidio dell’imparzialità della pubblica amministrazione, appartenga al novero dei principi generali informatori di ogni tipologia di affidamento di opere, servizi e forniture, è – si ripete – affermato a chiare lettere, ed in via di principio, dall’art. 2 del medesimo D.Lgs. n. 163/06.

L’illegittimità dell’impugnato provvedimento rileva, altresì, in ragione del fatto che la commissione di gara ha proceduto alla apertura offerte economiche prima che fosse esaminata la documentazione amministrativa.

Il sospetto adombrato in censura dalla ricorrente ha trovato conferma all’esito dell’esame della documentazione versata in giudizio.

Ed invero, scorrendo l’allegato B, verbale n. 11/2010, si evince, per tabulas, che la cronologia degli adempimenti – apertura offerte economiche/esame documentazione amministrativa – è avvenuta uno actu e simultaneamente, in spregio al principio di segretezza delle offerte. Questo traspare, obiettivamente, dal verbale di gara.

Per quanto sopra argomentato, il ricorso impugnatorio s’appalesa fondato in accoglimento degli assorbenti profili di censura appena scrutinati.

La ricorrente ha anche chiesto:

che il contratto sia privato di effetti retroattivamente;

che siano irrogate le sanzioni previste dall’art. 123 del codice del processo amministrativo;

il subentro nel contratto qualora lo stesso dovesse avere una durata maggiore di quella prevista nella lettera di invito;

in subordine, la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da quantificarsi in separato giudizio.

Sulla domanda di inefficacia del contratto, come seguono le considerazioni del Collegio.

L’amministrazione ha senz’altro violato la c.d. clausola dello "stand still’ avendo stipulato il contratto di appalto in data 30 novembre 2010 (obbligazione commerciale n. 13) senza rispettare il termine dilatorio di trentacinque giorni decorrenti dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva (art. 11, c. 10 del D.Lvo n. 163/2006). Tale violazione, peraltro, si aggiunge ai vizi propri dell’aggiudicazione come sopra riscontrati.

Sennonché, la cennata violazione non ha influito sulla possibilità della ricorrente di ottenere l’affidamento a cagione del fatto che l’intera procedura di gara è stata travolta da un vizio tranciante.

Non sussistono, pertanto, i presupposti per fare applicazione alla fattispecie, dell’art. 121, c. 1, lett. c) del D.Lvo n. 163/2010.

Il Collegio osserva che le ragioni dell’annullamento comportano, quale effetto conformativo della sentenza, la caducazione degli atti di gara e la pedissequa ripetizione delle relative operazioni a partire dalla (rinnovazione della) lettera di invito a presentare offerte da diramare a tutte le ditte che furono invitate alla gara.

E’ evidente, però, che siffatto annullamento, dovuto ad un vizio tranciante della procedura di gara, non implica il riconoscimento del diritto della ricorrente a conseguire l’aggiudicazione bensì offre solo la possibilità, all’interessata, di rientrare in gioco.

Ebbene, tenuto conto del fatto che l’appalto era venuto a scadenza il 31 dicembre 2011 e che, pertanto, alla data di trattazione camerale del ricorso (12 gennaio 2011) il negozio giuridico aveva ormai già esaurito tutti i suoi effetti, pare evidente al Collegio che l’eventuale dichiarazione di inefficacia del contratto non risponde ad alcun concreto interesse delle parti in causa, neppure potendosi prefigurare il subentro dell’interessata nel rapporto negoziale i cui effetti, come sopra cennato, si sono ormai consumati (l’appalto recava ad oggetto un affidamento di servizi della durata di appena due mesi: novembre e dicembre 2010).

.Ne consegue, che anche sotto tale profilo – art. 122, D. Lvo n. 104/2010 – non sussistono i presupposti per la dichiarazione di inefficacia del contratto.

In un tale contesto mancano, a parere del Collegio, le condizioni, temporali e fattuali, per assicurare all’interesse sostanziale della ricorrente una tutela in forma specifica realmente satisfattiva, compatibile con l’interesse pubblico già perseguito e realizzatosi.

Il contratto resta, perciò, efficace.

Neppure sussistono i presupposti per fare applicazione al caso di specie dell’art. 121, c. 4 del D.Lvo n. 104/2010 secondo cui "Nei casi in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato efficace o l’inefficacia sia temporalmente limitata, si applicano le sanzioni alternative di cui all’art. 123".

Ed invero, ai sensi della citata disposizione normativa, le sanzioni alternative possono essere applicate soltanto se il contratto non può essere dichiarato inefficace per i motivi sub comma 2 dell’art. 121 o se il giudice ritiene di dover limitare temporalmente l’inefficacia per i motivi sub comma 1 sello stesso articolato (art. 121, c. 4, D.Lvo n. 104/2010). Condizioni che, come sopra chiarito, non ricorrono nella circostanza.

Sussistono, invece, i presupposti per fare applicazione al caso di specie dell’art. 123, c. 3 del citato decreto secondo cui le stesse sanzioni alternative trovano luogo quando l’amministrazione abbia disatteso i termini dilatori previsti dall’art. 11, c. 10 e 10 ter, Codice dei contratti pubblici, nei limiti in cui la violazione non ha impedito al ricorrente di proporre ricorso prima della stipula del contratto e non ha influito sulle sue possibilità di ottenere l’affidamento (art. 123, c. 3, D.Lvo n. 104/2010).

Nel caso di specie, il ricorrente ha potuto proporre ricorso mentre il mancato rispetto dello standstill non ha influito sulla possibilità, in concreto, di ottenere l’affidamento venendo a scadenza, il contratto, il 31 dicembre 2010. In caso contrario, si sarebbe integrata una grave violazione ai sensi delle lett. c e d dell’art. 121).

Ebbene – dato atto che sul punto è stato assicurato il contraddittorio mediante avviso alle parti della possibilità di fare applicazione delle sanzioni alternative – il Collegio ritiene proporzionata, dissuasiva ed effettiva – in ragione della consistenza dell’appalto e della entità della violazione commessa in sede di gara – l’applicazione della sanzione pari al 3% del valore complessivo presunto dell’appalto pari ad Euro 80.000,00 (art. 3 dell’obbligazione commerciale n. 13/2010) quantificata e liquidata in Euro 2.400,00 da versarsi secondo le modalità di cui al comma 1, lett. a) del citato art. 123.

Per quanto concerne, invece, la domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno per equivalente – ammissibile per essersi inverata la condicio iuris prevista nel comma 1, secondo periodo, dell’art. 124 del D.Lvo n. 194/2010 – il Collegio, concordemente al consolidato orientamento giurisprudenziale, è dell’avviso che con l’annullamento dell’aggiudicazione debba ritenersi comprovato (in re ipsa) anche il danno ingiusto.

Restano da verificare gli altri elementi della fattispecie illecita.

Con riguardo alla colpa dell’amministrazioneapparato, il Collegio ritiene che le censurate violazioni di legge, frontali ed evidenti, in cui è incorsa l’intimata amministrazione non trovano plausibile giustificazione a fronte di un quadro normativo chiaro ed in assenza di incertezze interpretative e/o contrastanti orientamenti giurisprudenziali. Ad ogni modo, va osservato che la CGUE con la decisione 30/9/2010 in C314/2009, ha escluso la colpa come limite al risarcimento dei danni per equivalente in caso di impossibilità di reintegrazione in forma specifica.

Quanto al nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso, esso è rinvenibile nel rapporto di causalità efficiente che si coglie tra i suddetti elementi costitutivi della fattispecie illecita. Non vi è dubbio, infatti, che la lesione provocata alla posizione sostanziale dall’illegittimo esercizio della funzione amministrativa ed il danno che ne è derivato per la ricorrente sono conseguenza diretta ed immediata della condotta contra ius tenuta dalla stazione appaltante nella conduzione della gara.

La domanda risarcitoria è, pertanto, fondata.

Il danno risarcibile resta circoscritto al lucro cessante da perdita di chance.

Ed invero, nella fattispecie è stato dimostrato che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, l’offerta della ricorrente non sarebbe stata certamente selezionata; l’interessata, infatti, non avrebbe ottenuto certamente l’aggiudicazione della gara di che trattasi a cagione della pronuncia demolitoria che ha appurato l’illegittimità del procedimento di gara, travolgendolo, senza ulteriore (implicito o esplicito) riconoscimento circa la spettanza dell’aggiudicazione in favore della ricorrente.

Nel caso in esame, dunque, non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata; da cui, l’accoglimento della istanza risarcitoria circoscritta alla perdita della possibilità di conseguire un risultato utile (cd. perdita di chance).

Non spetta, invece, il risarcimento del danno emergente correlato alle spese sostenute per la partecipazione alla gara trattandosi di un costo che l’impresa ha dovuto necessariamente sostenere per entrare in rapporto con l’amministrazione. Ed invero, qualora vi fosse il risarcimento di tali spese, vi sarebbe il riconoscimento di una somma che andrebbe al di là del dovuto, poiché esse vengono sopportate indistintamente da tutti i concorrenti, siano o meno aggiudicatari della gara.

In altri termini, il riconoscimento di tale somma potrebbe dare luogo all’attribuzione di una utilità maggiore di quella che il concorrente avrebbe tratto da una legittima aggiudicazione, posto che in quest’ultimo caso le spese di partecipazione non vengono riconosciute al vincitore della gara.

Stabilita la responsabilità civile dell’amministrazione nei confronti della ricorrente ed il diritto di costei al risarcimento del danno, deve determinarsi il quantum debeatur.

La ricorrente, infatti, con motivi aggiunti notificati il 7 aprile 2011 e depositati il successivo giorno 15, appreso che il contratto era stato stipulato ed integralmente eseguito, ha chiesto – modificando l’originaria domanda di condanna dell’amministrazione in forma generica – il risarcimento per equivalente.

A tal fine, essa ha allegato gli elementi costitutivi della fattispecie illecita indicando quale danno emergente la somma di Euro 107,62 (spese di partecipazione alla gara) e come lucro cessante le perdite derivati dal mancato conseguimento dei margini di utile. In via alternativa, essa chiede la condanna della P.A. al pagamento del 15% dell’importo a base d’asta ovvero della somma maggiore o minore che dovesse essere ritenuta di giustizia, anche facendo ricorso alla valutazione di equità.

Il Collegio ritiene – aderendo ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale – che il danno da perdita di chance vada quantificato facendo ricorso a criteri presuntivi, gli unici che in una fattispecie simile appaiono idonei a essere utilizzati rispetto ad una valutazione che è necessariamente prognostica (cfr C.d.S. sez. VI, 11/3/2010, n., 1443).

Ed è pacifico che la quantificazione del danno debba avvenire in via equitativa, posto che non si hanno elementi certi per definirlo nel suo preciso ammontare.

Nella giurisprudenza amministrativa si è formato il condiviso orientamento che quantifica il danno in una certa percentuale dell’importo a base d’asta, oscillante normalmente tra il 5 e il 10 per cento.

Tale percentuale, in particolare, viene ridotta al 5% nel caso in cui il concorrente non sia in grado di dimostrare che nel periodo di durata dell’appalto non ha potuto impiegare le maestranze, i materiali ed i mezzi in altre commesse.

Nel caso di specie, la società ricorrente non ha fornito siffatta prova; ne consegue, che il danno può essere equitativamente determinato – tenuto conto dello sconto praticato dalla concorrente sui prezzi base e del margine di utile da esso previsto, nonché del valore complessivo presunto dell’appalto pari ad Euro 80.000,00 – in Euro 2.400,00 (pari al 3% del suddetto valore).

In conclusione:

il ricorso impugnatorio è fondato e va, pertanto, accolto per l’effetto annullandosi il verbale di gara n. 11 del 24 novembre 2010 con il quale l’intimata amministrazione ha provveduto alla aggiudicazione dell’appalto del servizio di manutenzione, riparazione e revisione autoveicoli e mezzi militari in dotazione al Centro Addestrativo Aviazione dell’Esercito ed al 28° Gruppo Sqd AVES Tucano, sito in Viterbo, periodo novembredicembre 2010;

– la domanda di inefficacia del contratto d’appalto è respinta;

– la domanda di risarcimento del danno per equivalente è accolta con condanna del Ministero della Difesa al pagamento, in favore del G.G., della somma di Euro 2.400,00;

la stazione appaltante è condannata a pagare la sanzione alternativa che viene liquidata in Euro 2.400,00.

Le spese di lite, liquidate in dispositivo a favore della ricorrente, sono poste a carico del Ministero della Difesa.

Se ne dispone la loro irripetibilità nei confronti delle società contro interessate non costituitesi in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

accoglie il ricorso impugnatorio;

respinge la domanda di inefficacia del contratto d’appalto;

accoglie, nei sensi in motivazione, la domanda di risarcimento per equivalente e, per l’effetto, condanna il Ministero della Difesa al pagamento dei danni in favore del G.G. che si liquidano in Euro 2.400,00;

condanna, nei sensi in motivazione, il Ministero della Difesa al pagamento della sanzione alternativa che si liquida in Euro 2.400,00.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 3.000,00.

Spese irripetibili nei confronti delle contro interessate Soc. A.P. Srl e Soc. A.P.S. Srl..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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