Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-09-2011) 27-10-2011, n. 38929

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza pronunciata in data 26/04/2011, il Tribunale del riesame di Napoli respingeva l’appello proposto da C.C. avverso l’ordinanza con la quale, in data 28/03/2011, il g.i.p del Tribunale della medesima città aveva respinto l’istanza di revoca della misura cautelare in carcere (per i reati di cui all’art. 416 bis c.p. – L. n. 352 del 1992, art. 12 quinquies e art. 513 bis c.p. aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7) non ritenendo la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3 rispetto alla precedente ordinanza di custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 56 e 629 c.p. e art. 628 c.p., comma 3 aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7. 2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3.

Il ricorrente, premetteva che era stato attinto da due ordinanze di custodia cautelare in carcere:

– la prima (la n. 79/2010 emessa in data 3/2/2010) con la quale gli erano stati contestati i reati di cui agli artt. 56 e 629 c.p., art. 628 c.p., comma 3 aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 "per far parte di una organizzazione di tipo mafioso (clan Crimaldi), dell’aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ed al fine di agevolare l’associazione di appartenenza";

– la seconda (la n. 442/2010 del 29/06/2010: quella oggetto del presente procedimento) con la quale gli era stato contestato il reato di cui all’art. 416 bis c.p. "per avere partecipato ad un’associazione di tipo mafioso (…)" che era la medesima di quella di cui alla prima ordinanza;

– entrambe le ordinanza di c.c. erano state emesse nell’ambito dello stesso procedimento penale (il n 31751/2004 RGNR): di conseguenza, retrodatandosi ex art. 297 c.p.p., comma 3, l’inizio dell’esecuzione della custodia cautelare conseguente all’ordinanza di c.c. n 442/2010 al 4/02/2010, data di notifica della primigenia ordinanza di custodia cautelare n 79/2010, emessa il 3/02/2010, pur a voler considerare perdurante il delitto associativo alla data di emissione della seconda ordinanza (la n 442/2010), appariva pacifico che risultasse trascorso più di un anno dall’inizio dell’esecuzione della misura senza che fosse stato emesso il provvedimento richiamato dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a).

Il ricorrente, poi, sostiene, in ciò confutando le argomentazioni del Tribunale, che, relativamente al criterio della connessione qualificata fra i reati contestati nelle due ordinanze, essendo stata contestata l’aggravante dell’art. 7 – sotto il profilo dell’agevolazione mafiosa – ciò implicava, necessariamente, l’esistenza della suddetta associazione mafiosa. Di conseguenza, poichè nello stesso capo d’imputazione della prima ordinanza di custodia cautelare, si faceva riferimento al clan Crimaldi, l’Autorità giudiziaria "non solo era già nella piena conoscenza dell’esistenza di un’associazione mafiosa cui partecipava il C., ma addirittura aveva piena consapevolezza dell’esistenza di una consorteria mafiosa in cui il C. svolgeva certamente un ruolo apicale" tant’è che quell’associazione portava il suo nome:

con il che si poteva ritenere integrato l’ulteriore requisito richiesto dall’art. 297 c.p.p., comma 3 ossia l’anteriorità e contestualità dei fatti della seconda ordinanza rispetta a quelli contemplati dalla prima.

Motivi della decisione

1. L’espressione "contestazione a catena", "individua, in via generale, il fenomeno dell’adozione, in tempi successivi, di più ordinanze applicative di misure cautelari in rapporto al medesimo fatto ovvero una pluralità di fatti già noto ab inizio all’autorità giudiziaria" (Corte Cost. n 408/2005), sicchè, quando gli elementi per l’emissione dei provvedimenti erano già disponibili, i termini decorrono da quando si è eseguito il primo provvedimento.

Quindi, i presupposti giuridici che, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, occorre verificare perchè si possa parlare di contestazione a catena sono i seguenti:

1. il tempus commissi delicti nel senso che i fatti di cui alla seconda ordinanza di c.c. devono essere stati commessi in data anteriore alla commissione dei delitti di cui alla prima ordinanza, ovvio essendo che, ove il suddetto requisito sia insussistente, viene a mancare a monte il presupposto di quella prassi illegittima (frazionamento, da parte dell’organo inquirente, dei capi d’imputazione al fine di prolungare i termini di carcerazione) che il legislatore ha inteso evitare;

2. connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. b) (concorso formale e/o reato continuato) c) (connessione teleologia),;

3. desumibilità dei fatti posti a fondamento dell’ordinanza n 442/2010, fin dall’emissione della prima ordinanza n. 79/2010. A tal proposito va rammentato che, quanto alla nozione di "desumibilità" di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, essa non coincide con la disponibilità degli atti stessi – che costituisce mero dato di fatto – ma consiste, viceversa, in un giudizio sulla possibilità che l’autorità giudiziaria, in possesso di determinati elementi, sia in grado di dedurre da essi date conclusioni. Pertanto, ai fini dell’accertamento del presupposto della desumibilità rileva, non già l’apprezzamento del pubblico ministero, bensì quello dell’organo dell’impugnazione (nella specie il Tribunale della libertà), il quale deve valutare, a tal fine, la ragionevole tempestività con la quale il pubblico ministero ha elaborato l’ipotesi di accusa sulla base della disponibilità degli elementi indiziari (Cass. Pen. sez. 5, 47090/07, R.V. 238887, Barone).

Inoltre, il concetto di "desumibilità", contenuto nel comma terzo dell’art. 297 c.p.p., non va contuso con i concetti di "conoscenza o conoscibilità": la desumibilità invero presuppone una valutazione riconducibile a una "quaestio facti" che il giudice di legittimità può esaminare esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza descrittiva delle emergenze processuali e probatorie, nonchè sotto il profilo della congruenza e non contraddittorietà delle valutazioni operate dal giudice di merito (Cass. Pen. sez. 6, 12676/2006, R.V. 236829, Barresi, Massime precedenti Vedi: N. 18003 del 2006 Rv. 234648, N. 14535 del 2007 Rv. 235909)": Cass. 38852/2008 rv 241406.

Ora, in ordine ai suddetti requisiti, il Tribunale ha ritenuto quanto segue:

– TEMPUS COMMISSIDELICTL il reato associativo contestato con l’ordinanza n 442/2010, non poteva essere fatto risalire in data anteriore al febbraio 2010 (data dell’ordinanza n 79/2010) perchè "sul punto la difesa nulla deduce in ordine al momento perfezionativo del reato in contestazione e del resto ciò non potrebbe essere fatto in prima istanza in questa sede, essendo coperto da giudicato cautelare, in quanto non è stato oggetto di autonoma impugnazione dell’ordinanza genetica";

– connessione: "nel caso in esame non si scorge l’unicità del disegno criminoso ovvero l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, requisito necessario per configurare la continuazione tra il delitto di estorsione, di cui alla prima ordinanza, ed il delitto di associazione mafiosa di cui alla seconda ordinanza";

– DESUMIBILITA’: "solo dopo accurati e approfonditi riscontri, si acquisiva un sufficiente materiale probatorio atto a fondare il quadro indiziario che ha portato all’emissione della seconda ordinanza". 2. Tanto premesso in fatto ed in diritto, il ricorso, nei termini in cui è stato proposto, deve ritenersi infondato per le considerazioni di seguito indicate.

3. Quanto al tempus commissi delicti, il ricorrente obietta che la condotta associativa ha per oggetto condotte contestate in un periodo specifico dal novembre 2006 al marzo 2008 (cfr pag. 9 ricorso). Al che deve replicarsi che, in questa sede, il ricorrente deduce un elemento di fatto sul quale il tribunale, espressamente, aveva rilevato che: a) sul punto la difesa nulla aveva dedotto; b) la questione era coperta da giudicato. Di conseguenza, si tratta di un elemento sul quale questa Corte non può interloquire e che, già di per sè, è sufficiente per la reiezione del ricorso.

4. Quanto alla connessione: anche per il suddetto requisito, la censura, nei termini in cui è stata dedotta, è aspecifica e fuorviante rispetto alla motivazione addotta dal tribunale. Infatti, il ricorrente ha ritenuto di ribattere alle ineccepibili considerazioni del Tribunale, con l’osservazione secondo la quale per il semplice fatto che, nella prima ordinanza di c.c. era stata contestata l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, allora, automaticamente, per ciò solo, egli avrebbe dovuto essere considerato partecipe dell’associazione che aveva contribuito ad agevolare: ma, è del tutto evidente che la doglianza è fuorviante essendo chiaro che l’aggravante dell’agevolazione mafiosa si pone su piano del tutto diverso dalla partecipazione all’associazione.

5. Quanto alla desumibilità, ancora una volta il ricorrente, a ben vedere, non fa altro che evincere il suddetto requisito dal fatto che, siccome nella prima ordinanza di c.c, gli era stata contestata l’aggravante di cui alla citata Legge, art. 7 allora, per ciò solo, il P.M. avrebbe dovuto desumere che egli faceva parte di quella associazione mafiosa che portava il suo stesso nome (clan Crimaldi).

Sennonchè si deve replicare che la suddetta doglianza pecca di aspecificità rispetto alla puntuale motivazione addotta dal tribunale che ha chiarito, sulla base di un preciso riscontro fattuale che, stante la complessità delle indagini, solo a seguito di accurati ed approfonditi riscontri, compendiati nell’informativa di P.G. depositata in data 4/9/2009, era stato possibile acquisire un idoneo quadro probatorio. Si tratta di un accertamento di merito che, in quanto congruamente e logicamente motivato si sottrae alla censura dedotta dal ricorrente la quale, pertanto, va ritenuta nulla più che un modo surrettizio di ottenere una rivalutazione, in sede di legittimità, di una quaestio facti riservata al giudice di merito.

6. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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