Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-09-2011) 27-10-2011, n. 38928 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con ordinanza in data 12/05/2011, il Tribunale del riesame di Milano rigettava l’appello proposto da M.P. (indagato per i reati di cui agli artt. 572 – 629 – 582 – 648 c.p.) avverso l’ordinanza con la quale, in data 6/04/2011, il g.i.p. aveva respinto l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare in carcere atteso che il quadro indiziario era rimasto immutato essendosi l’indagato limitato a negare gli addebiti. p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

– mancherebbero le esigenze cautelari: sul punto, il tribunale avrebbe motivato in modo tralaticio;

– mancherebbero i gravi indizi di colpevolezza in ordine a tutti i reati contestati;

– il tribunale non avrebbe preso in esame la normativa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89, che impone di applicare gli arresti domiciliari ai tossicodipendenti al fine di consentire un programma di recupero.

Motivi della decisione

p. 1. VIOLAZIONE dell’art. 274 c.p.p.: il Tribunale ha ritenuto, nella fattispecie, la sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), ossia il concreto pericolo della reiterazione dei reati. Sul punto, il Tribunale (pag. 6 ordinanza impugnata) ha ampiamente motivato facendo leva, sulla base di precisi riscontri fattuali: a) sulla personalità violenta ed aggressiva dell’indagato, "privo di qualunque forma di autocontrollo … rendendo qualunque misura diversa dalla custodia in carcere, compresi gli arresti domiciliari, assolutamente non adeguata alla tutela delle ancora permanenti esigenze cautelari"; b) sull’assenza nel medesimo di qualsiasi rivisitazione critica dei fatti commessi; c) sulla negazione dello stato di tossicodipendenza; d) su una situazione familiare (nell’ambito della quale i reati sono maturati) allarmante.

A fronte di tale ampia motivazione, il ricorrente si è limitato a ribattere che "pur nello stato di detenzione carceraria non assume metadone e/o altri farmaci equipollenti nè tantomeno ha avuto crisi di astinenza; a ciò si aggiunga che nel provvedimento impugnato non vi è alcuna identificazione concreta del come e del perchè il M. potrebbe di nuovo mettere in atto le presunte condotte criminose".

Al che deve replicarsi che si tratta di obiezione di poco momento e fuorviante rispetto alla motivazione dell’impugnata ordinanza.

Infatti, il Tribunale, prendendo in esame la stessa doglianza, l’ha disattesa, osservando che risultava che il M., sino a pochi giorni prima dell’applicazione della misura cautelare, aveva assunto stupefacenti.

Il fatto che, in carcere non assuma metadone, non esclude il consumo di sostanze stupefacenti.

Del tutto generica, infine la doglianza in ordine alla richiesta degli arresti domiciliari, essendosi il ricorrente limitato, in pratica, a riprodurre, in ricorso, notorie massime di questa Corte di legittimità e considerazioni del tutto avulse dal concreto ed allarmante situazione descritta in ordinanza (pag. 7 – 8 ricorso).

Di conseguenza, ed in conclusione, la motivazione, essendo logica, congrua ed adeguata rispetto agli evidenziati elementi fattuali, si sottrae alla generica censura di legittimità dedotta dal ricorrente in questa sede. p. 2. VIOLAZIONE dell’art. 273 c.p.p.: sul punto il tribunale (a pag.

4- 5 dell’ordinanza), illustra, con dovizia di particolari, i gravi elementi indiziali a carico del ricorrente.

In questa sede (pag. 5 ss ricorso), non viene addotto alcun elemento, di fatto o diritto, che il tribunale non abbia già considerato e che non sia stato adeguatamente confutato con motivazione logica e congrua:

anche tale motivo, pertanto, va ritenuto manifestamente infondato essendo aspecifico rispetto alla motivazione impugnata. Quanto alla pretesa non punibilità – ex art. 649 c.p. – del reato di estorsione avendolo l’indagato commesso ai danni della propria madre, è appena il caso di rilevare che la questione sollevata e la giurisprudenza citata si riferiscono al tentativo di estorsione e non certo al reato di estorsione consumata commessa con violenza (come nel caso di specie: cfr capo d’imputazione) per il quale è indiscussa la punibilità a norma dell’art. 649 c.p., comma 3. p. 3. violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89: anche la suddetta censura è manifestamente infondata in quanto la suddetta norma si applica al tossicodipendente che abbia in corso un programma di recupero: il che è escluso dallo stesso ricorrente che sostiene di non essere tossicodipendente. p. 4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3,per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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