Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-04-2012, n. 6218 Dichiarazione Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La sentenza della Commissione tributaria regionale di Firenze n. 68 depositata il 23 novembre 2006 ricostruisce come segue i termini della controversia e la vicenda processuale.

La ex Azienda Pisana Trasporti si trasformò il 23 dicembre 1995 nel Consorzio Pisano Trasporti a norma della L. n. 142 del 1990, artt. 25 e 60 (e divenne poi l’attuale Compagnia Pisana Trasporti s.p.a.). Il D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, convertito nella L. n. 427 del 1993 stabiliva che a simili consorzi si applicavano, fino al termine del terzo anno dell’esercizio successivo a quello della trasformazione, le disposizioni tributarie applicabili all’ente territoriale di appartenenza (cd. moratoria fiscale). La L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70 precisava che "le disposizioni del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 66, comma 14, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, si applicano a decorrere dalla data di acquisto della personalità giuridica o di trasformazione in aziende speciali consortili fino al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in corso alle predette date e, comunque, non oltre il 31 dicembre 1999".

Inizialmente il Consorzio rappresentò che la data di trasformazione dell’ex Azienda Pisana Trasporti nel nuovo Consorzio regolato dalla L. n. 142 del 1990 fosse da collocarsi nei primi giorni del 1996, poichè l’iscrizione nel registro delle imprese risaliva al 19 gennaio 1996, mentre i nuovi organi consortili si erano insediati il giorno 29 dello stesso mese. Ne conseguiva che il cd. periodo di moratoria fiscale di cui al D.L. n. 331 del 1993, citato art. 66, comma 14 doveva individuarsi negli anni 1996, 1997, 1998 e 1999. In ragione di ciò, nella dichiarazione UNICO 2000 relativa al periodo d’imposta 1999 non fu inserito il quadro relativo all’IRPEG. Successivamente la Compagnia Pisana Trasporti s.p.a., rettificando la propria precedente dichiarazione, ha rappresentato che il dies a quo del periodo di moratoria fiscale dovesse in realtà essere individuato nel 23 dicembre 1995 (data in cui era stato concluso l’atto di trasformazione e/o istituzione del Consorzio); cosicchè il periodo di moratoria fiscale investiva le annualità 1995, 1996, 1997 e 1998, senza comprendere l’esercizio 1999.

Questa prospettazione, apparentemente a danno della stessa società, era in realtà a suo favore. Nel 1999, infatti, la società aveva subito notevoli perdite, che erano state ripianate con contributi regionali – a tal fine previsti. Secondo la società, tali contributi D.L. n. 833 del 1986, ex art. 3 convertito nella L. n. 18 del 1987 non erano da considerare componenti positive di reddito e quindi non erano compresi tra i ricavi con la conseguenza che le perdite del 1999 divenivano detraibili dai ricavi ottenuti nei cinque anni successivi.

La s.p.a. Compagnia Pisana Trasporti presentò quindi il 15 maggio 2002 una dichiarazione di rettifica di quella relativa al 1999 ed in essa espose perdite per 31 miliardi (non compensandole con i contributi ricevuti per il ripiano delle stesse). Si avvalse quindi della facoltà ex 102 tuir di portare le perdite in detrazione nei successivi 5 anni. Presentò così il 15 maggio 2003 per il 2001 nuova dichiarazione rettificativa con imponibile IRPEG pari a zero per compensazione dell’utile con parte delle perdite del 1999.

Conseguentemente presentò domanda di rimborso per l’IRPEG versata nel 2001. 2. La Commissione tributaria regionale ha ritenuto che la richiesta di rimborso in esame fosse infondata. Dopo aver ricordato che la dichiarazione dei redditi non è un atto negoziale nè è fonte o titolo di obbligazione tributaria, ma è solo una dichiarazione di scienza e di giudizio, come tale emendabile o ritrattabile dal contribuente quando da essa possa derivare il suo assoggettamento ad oneri contributivi più gravosi di quelli dovuti, ha ritenuto che la dichiarazione integrativa – rettificativa concernente quella del 1999 non fosse valida a tal fine in quanto "nella fattispecie il contribuente ha inteso ritrattare la propria dichiarazione reddituale relativa all’anno 1999 con riferimento ad un regime agevolativo la cui applicazione, da lui stesso richiesta, non lo esponeva ad oneri più gravosi, ma anzi a benefici. In questi termini, la dichiarazione è da ritenersi non emendabile dal contribuente potendo solo essere rettificata dall’Ufficio con le modalità dell’accertamento. D’altra parte la richiesta del contribuente di applicazione di un regime agevolato fa assumere alla dichiarazione il valore di manifestazione di volontà vincolante ai sensi dell’art. 1427 c.c., salva la ricorrenza di vizi del volere nella fattispecie nè invocati nè ipotizzabili (…). In ogni caso, come puntualmente rilevato dall’Ufficio, una diversa opinione sulla emendabilità della dichiarazione ora considerata non condurrebbe a ritenere ammissibile la deduzione della perdita registrata nell’anno 1999 perchè in ogni caso quel risultato negativo era stato ripianato con contributi regionali e quindi non aveva più la natura della perdita come definita dal TUIR". 3. 1. La sentenza è stata impugnata dalla Compagnia Pisana Trasporti s.p.a.. Con il primo motivo di ricorso la società deduce violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. e D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 57 per avere la Commissione tributaria regionale omesso di pronunziare sulla eccezione di divieto di nova in appello in relazione alle deduzioni sollevate dall’ufficio in appello e non proposte in primo grado.

Il motivo è infondato. Avendo esaminato nel merito le deduzioni proposte dall’Agenzia delle entrate in appello la Commissione tributaria regionale ha implicitamente respinto l’eccezione di preclusione ex art. 112 e D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57. La decisione sulla eccezione quindi vi è stata, anche se solo per implicito e senza motivazione. Trattandosi di decisione di questione giuridico-precessuale non è configurabile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 ed essa può quindi essere impugnata solo per violazione di legge.

Nella specie non vi è stata violazione di legge, ed in particolare del richiamato art. 57, comma 2, in quanto tale norma preclude non la proposizione di nuove "questioni", ma la proposizione di nuove domande od eccezioni in appello e tale divieto non si applica alle eccezioni rilevabili d’ufficio, come peraltro sono tutte le eccezioni che non siano dalla legge riservate espressamente o implicitamente alla parte. La norma, inoltre, non preclude le mere difese, quelle cioè che consistono non nella deduzione di fatti estintivi, impeditivi o modificativi dei diritti fatti valere dalla controparte, ma nella negazione dei fatti costituitivi dalla controparte dedotti o nella negazione dell’efficacia giuridica ad essi ascritta. Nella specie in esame i fatti sono stati sempre quelli e sono stati sempre pacifici tra le parti, mentre in discussione vi è stata solo la qualificazione giuridica degli stessi, l’efficacia giuridica ad essi attribuita e l’interpretazione delle norme che disciplinano la materia. Tutti profili, quindi, soggetti al rilievo d’ufficio per il principio iura novit curia (espressione a sua volta della soggezione del giudice soltanto alla legge, anche nell’ambito del processo governato dal principio dispositivo). E comunque il ricorso non fa neppure menzione di eccezioni riservate dalla legge alla parte e che invece la Commissione tributaria regionale avrebbe rilevato d’ufficio.

Oggetto della causa è una domanda di rimborso. Le deduzioni dell’ufficio in appello – così come riprodotte nel ricorso della contribuente – erano o mere difese (non soggette a preclusione) o eccezioni. Le eccezioni, come si è detto, sono rilevabili di ufficio se non risulta altrimenti disposto (ciò che non si verifica nel nostro caso) e quindi non sono soggette alla preclusione di cui al detto art. 57. 3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, nel testo anteriore alla modifiche di cui al D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2, nonchè dei principi giuridici di rango costituzionale che stabiliscono la facoltà del contribuente di rettificare in melius o in pejus la dichiarazione dei redditi originaria (artt. 53 e 97 Cost.), violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, del D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, convertito nella L. n. 427 del 1993 ed infine carenza e contraddittorietà della motivazione.

Il motivo evidenzia l’effettiva erroneità dell’impostazione seguita dalla sentenza impugnata in tema di emendabilità della dichiarazione, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale afferma l’inammissibilità di dichiarazioni rettificative a sfavore del contribuente. Su questo tema e sul tema collegato dei termini per le correzioni, in un senso o nell’altro, delle dichiarazioni dei redditi, ha fornito indicazioni precise e chiarificatrici, tra le altre, la pronunzia della Cassazione n. 4238 del 2/03/2004 così massimata: "in tema di imposte sui redditi, premesso che la dichiarazione dei redditi, presentata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, affetta da errore (di fatto o di diritto) commesso dal contribuente, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile quando da essa possa derivare l’assoggettamento ad oneri contributivi più gravosi di quelli che, in base alla legge, devono restare a carico del dichiarante, la richiesta di rimborso presentata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, comma 1, è idonea, per i periodi anteriori all’1 gennaio 2002, a rettificare in senso favorevole al contribuente la dichiarazione stessa, non essendo previsti, prima di detta data, termini di decadenza, per tale rettifica favorevole, diversi da quelli prescritti per il rimborso dalla citata norma. Da un lato, infatti, il menzionato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, comma 8, (comma aggiunto dall’art. 14 della L. 29 dicembre 1990, n. 408, applicabile "ratione temporis") – che prevede un termine per integrare la dichiarazione – si riferisce soltanto alle omissioni ed agii errori in danno dell’amministrazione e non anche a quelli in danno del contribuente; dall’altro, solo con il D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 2 – che ha modificato, con effetto dall’1 gennaio 2002, il D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, introducendo l’ottavo comma bis -, è stata prevista una dichiarazione integrativa per correggere errori od omissioni in danno del contribuente, da presentarsi non oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo".

La emendabilità-retrattabilità è carattere proprio della dichiarazione e non vi è alcun dato normativo che consenta di distinguere a tal fine tra correzioni a favore del contribuente e correzioni a favore dell’amministrazione finanziaria se non per quanto riguarda – dopo il 1 gennaio 2002 – il termine di decadenza stabilito per la rettifica del contribuente che è diverso – come chiaramente si evince, ora, dal raffronto tra il comma 8 e il nuovo comma 8bis, art. 2, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 – per la rettifica a lui sfavorevole rispetto a quello stabilito per la rettifica a lui favorevole.

Nella specie la qualificazione della rettifica in discussione – come volta a favore dell’amministrazione ovvero volta a favore del contribuente – non ha rilevanza, posto che nell’un caso o nell’altro la rettifica era tempestiva. Secondo il citato comma 8, art. 2, infatti, per la rettifica contra se il termine è al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce.

Per le rettifiche dirette a ridurre l’onere fiscale, invece, occorre distinguere: fino al 1 gennaio 2002 non vi era termine (salva l’eventuale applicabilità del termine per l’istanza di rimborso, pari a 48 mesi); dopo tale data il termine coincideva con quello per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo a quello cui si riferiva la dichiarazione da emendare.

Nella specie la dichiarazione da emendare era precedente all’entrata in vigore del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 2 – che ha modificato, con effetto dall’1 gennaio 2002, il D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, introducendo il comma 8 bis. Questo implica in ragione del principio di non retroattività – l’impossibilità non già di applicare la decadenza prevista da detto comma bis, ma di farne decorrere il termine da un momento anteriore a quello dell’entrata in vigore della nuova normativa. Il termine di decadenza per le rettifiche favorevoli al contribuente e relative a dichiarazioni precedenti al 1 gennaio 2002 deve quindi essere fatto decorrere, appunto, dalla data di entrata in vigore della norma e quindi determinato in coincidenza con quello per la dichiarazione relativa all’esercizio successivo a quello in corso al 1 gennaio 2002 e cioè in coincidenza del termine per la dichiarazione relativa al 2003.

Infine vi è da rilevare che la deduzione secondo cui la dichiarazione oggetto di rettifica aveva carattere negoziale e non meramente dichiarativo in quanto era stata fatta al fine di ottenere determinate contribuzioni pubbliche, non appare fondata, posto che il diritto alla contribuzione è un effetto della situazione di fatto (disavanzo) e non della relativa dichiarazione (la quale è eventualmente solo una condizione di operatività del diritto alla contribuzione) e che, comunque, non vi è al riguardo alcun riconoscibile ruolo per la volontà negoziale della Compagnia.

La dichiarazione rettificativa in esame era quindi ammissibile e tempestiva.

L’accoglimento del motivo determina peraltro – in ragione di quanto viene deciso al punto successivo – solo la necessità di una correzione della motivazione e non anche una incidenza sul dispositivo della sentenza impugnata.

3.3. Come già si è riferito la sentenza impugnata ha respinto la richiesta di rimborso della Compagnia Pisana Trasporti s.p.a. anche sulla base di una seconda, autonoma e determinante ratio decidendi.

La sentenza impugnata ha affermato infatti che "in ogni caso, come puntualmente rilevato dall’Ufficio, una diversa opinione sulla emendabilità della dichiarazione ora considerata non condurrebbe a ritenere ammissibile la deduzione della perdita registrata nell’anno 1999 perchè in ogni caso quel risultato negativo era stato ripianato con contributi regionali e quindi non aveva più la natura della perdita come definita dal TUIR".

Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta a tal proposito "violazione e falsa applicazione del D.L. n. 833 del 1986, art. 3, convertito in L. n. 18 del 1987, in combinato disposto con il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53 (nella numerazione vigente fino al 31 dicembre 2003) ed in relazione alla L. n. 151 del 1981, artt. 6 e 9, al D.L. n. 833 del 1986, art. 1 convertito in L. n. 18 del 1987, al D.L. n. 98 del 1995, art. 1 convertito in L. n. 204 del 1995, alla L. n. 194 del 1997, art. 2, alla L. n. 472 del 1999, art. 12.

L’illustrazione del motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "si chiede alla Suprema Corte di statuire che, in base al D.L. n. 833 del 1986, art. 3, i contributi di cui all’art. 1 dello stesso decreto e, comunque, quelli erogati dagli enti locali soci o proprietari per il ripiano delle perdite d’esercizio dell’azienda o del consorzio di pubblico trasporto, non sono da considerarsi componenti positivi del reddito e quindi non vanno ne compresi tra i ricavi previsti dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53 e dall’omologo art. 53, del successivo D.P.R. n. 917 del 1986. In base alla L. n. 204 del 1995, art. 1, comma 14, i contributi statali erogati per il tramite delle Regioni alle aziende di trasporto, i cui disavanzi siano stati già coperti dalle Regioni e dagli altri enti locali soci che abbiano anticipato, in tutto o in parte, anche la quota dovuta dallo Stato, sono per tale ammontare anticipato di diretta giuridica spettanza dei medesimi enti locali; onde non concorrono al risultato economico-reddituale delle suddette aziende di trasporto.

La difesa dell’Agenzia delle entrate ha ritenuto che fosse superfluo l’esame della ratio decidendi in oggetto e quindi anche della censura ad essa opposta dalla Compagnia e di conseguenza non l’ha controbattuta, ma ciò ovviamente non esime la Corte dal verificarne il fondamento.

Tale scrutinio non può che concludersi con la conferma della piena legittimità, per questo profilo, delle ragioni giuridiche poste dalla Commissione tributaria regionale a fondamento della sua decisione.

Il ragionamento esposto dalla Compagnia appare incentrarsi sulla considerazione che i contributi pubblici ricevuti dalla società ricorrente a copertura dei disavanzi di esercizio, disciplinato dalle leggi di settore (L. n. 204 del 1995; L. n. 194 del 1998; L. n. 472 del 1999 e L. n. 265 del 2002), erano esentati dall’IRPEG e come tali erano irrilevanti ai fini IRPEG. Sul piano fattuale, la ricorrente deduce poi che nel caso di specie, come pacifico in causa, gli enti locali avevano già proceduto al ripiano delle perdite dell’ex Consorzio, ora Compagnia Pisana Trasporti, non solo per la parte di propria spettanza (40%), dando seguito ai piani di riassorbimento approvati, ma anche per la parte a carico dello Stato (60%), anticipando l’importo che poi sarebbe stato erogato sotto forma di contributi regionali.

"Talchè – si legge nel ricorso – la Compagnia Pisana Trasporti – consapevole del fatto che i contributi, ancorchè materialmente versati all’azienda di pubblico trasporto, erano di giuridica spettanza degli enti locali – ha, rispetto a tali contributi, rilevato contabilmente un credito nei confronti dello Stato e un debito di pari importo nei confronti dei singoli enti locali soci dell’allora Consorzio Pisano Trasporti. Pertanto, i contributi non sono mai stati acquisiti stabilmente dalla Compagnia Pisana Trasporti ma, all’atto dell’erogazione, semplicemente imputati agli enti locali a progressiva estinzione del credito da questi vantato nei confronti della società per effetto del preventivo piano di riassorbimento delle perdite da detti enti effettuato. Il che, per un verso, spiega e giustifica la mancata imputazione al conto economico della nostra società dei contributi di cui si discorre; per l’altro, da conto della piena correttezza fiscale della condotta tenuta dalla Compagnia Pisana Trasporti con riferimento a tali somme: essendo di giuridica spettanza degli enti locali e, dunque, solo formalmente imputati alla nostra società, i contributi in questione sono stati giustamente considerati irrilevanti".

Il ricorso richiama infine il D.L. n. 833 del 1986, art. 3, convertito in L. n. 18 del 1987, il quale dispone che "Le somme di cui all’art. 1 nonchè quelle che gli enti locali proprietari o soci hanno versato o versano per il ripiano delle perdite d’esercizio dell’azienda o del consorzio di pubblico trasporto, ancorchè riferite ad esercizi precedenti al 1982, come pure quelle provenienti dal fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio di cui alla L. 10 aprile 1981, n. 151, art. 9 non sono da considerarsi componenti positive del reddito e quindi non sono ricomprese tra i ricavi previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 53".

Il collegio osserva che è effettivamente fuori discussione che i contributi in esame siano esenti da IRPEG. Ma ciò che interessa ai fini della decisione della causa è tutt’altro e precisamente l’ammissibilità – ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102 (attuale art. 87) – del riporto ad esercizi successivi – in diminuzione del reddito complessivo che si sia in essi formato – di perdite che siano state ripianate per effetto di proventi esterni, a tale specifico fine previsti ed esentati da imposta. Al riguardo la norma è chiarissima: la perdita di esercizio suscettibile di riporto e quindi di deduzione negli anni successivi è solo quella che risulta dopo aver diminuito la perdita stessa dell’ammontare dei proventi esenti da imposta, salva la parte di tali proventi che non superi l’ammontare delle spese non deducibili. Ma con riferimento all’ipotesi in esame la questione è – se possibile – ancora più chiara: trattandosi di perdita di esercizio complessiva, una volta che essa sia stata ripianata (con proventi esterni) non vi è più nulla di riportare come ha con sintetica precisione osservato la Commissione tributaria regionale.

Vi è anche da notare che consentire in questo caso il riporto agli esercizi successivi di perdite ripianate con contributi ad hoc esentati da imposta, si tradurrebbe in una illogica e ingiustificata duplicazione dell’esenzione la quale verrebbe ad applicarsi non solo ai contributi ma anche ai redditi prodotti nei successivi esercizi chiusi con risultati attivi.

Il che, oltre ad essere illogico e contrario alla ratio della norma (che ha previsto l’esenzione solo per le erogazione necessarie a ripianare le perdite del servizio pubblico e non anche ad incrementare i relativi profitti) si tradurrebbe in un aiuto di stato illegittimo in quanto non giustificato dalle ragioni sociali di cui all’art. 87. Nè può ritenersi che vietando il riporto delle perdite compensate mediante aiuti esentati verrebbe ad eliminarsi (o neutralizzarsi) il beneficio dell’esenzione sugli stessi aiuti. Si tratterebbe di una tesi erronea: senza l’esenzione il contributo, per coprire la perdita, dovrebbe essere ad essa superiore per la parte corrispondente all’imposta ad esso applicabile ed è appunto al fine di evitare questa illogica partita di giro che è diretta l’esenzione. Una volta ripianata la perdita, poi, la possibilità di usarla ugualmente per dedurla dai redditi di esercizi successivi non avrebbe alcun fondamento razionale, oltre che essere comunque, come si è detto, contrario al chiarissimo dettato normativo: avrebbe come unico effetto quello di esentare dall’imposta (senza alcuna ipotizzabile giustificazione) i redditi corrispondenti al riporto.

Infine non ha alcuna riconoscibile rilevanza in questa sede quanto la ricorrente Compagnia deduce in ordine al fatto che i contributi erano stati anticipati dalla regione e poi ad essa rimborsati prò quota dallo Stato. Il ricorso non deduce infatti – e non sarebbe del resto verosimile date le previsioni legislative in materia – che i proventi della regione a ripiano delle perdite di esercizio siano stati sottoposti ad IRPEG. Le perdite stesse quindi, se ripianate non dai contributi statali ma da quelli regionali, sarebbero state comunque ripianate da contributi esenti con conseguente operatività del richiamato art. 102.

Il motivo è quindi infondato e tanto determina il rigetto del ricorso.

4. Con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. La Compagnia ha proposto eccezione di giudicato, riferendo che nell’ambito di un altro giudizio tra la stessa e l’Agenzia delle entrate – per il quale è ancora pendente il giudizio di legittimità non essendo stata ancora fissata l’udienza di trattazione – si sarebbe formato un giudicato interno su questioni decisive per il presente giudizio e tale giudicato sarebbe vincolante anche in questo giudizio.

L’eccezione è infondata.

In primo luogo non è vincolante all’esterno un giudicato interno che si sia formato in un giudizio non ancora concluso con sentenza definitiva e che sia quindi ancora oggetto di discussione. Nella specie, come si legge nella memoria, la compagnia ha dedotto in quel giudizio l’avvenuta formazione di un giudicato interno, ma la Corte non si è ancora pronunziata al riguardo e non può certo farlo il giudice di un altro processo.

In secondo luogo l’oggetto dei due giudizi risulta diverso.

Dall’esame della sentenza della Commissione tributaria regionale di Firenze n. 94/30/09 depositata il 21 settembre 2009, risulta che l’oggetto di quel giudizio era un avviso di accertamento in rettifica IRPEG e IRAP per gli anni dal 2000 al 2003 con cui l’Agenzia delle entrate aveva ripreso a tassazione i contributi statali ritenendoli corrisposti in conto capitale. Da quanto riferisce in questa sede la Compagnia e da quanto risulta dalla sentenza di appello ora indicata e dalla copia del ricorso per cassazione dell’Agenzia delle entrate qui prodotta risulta che la decisione della Commissione tributaria regionale – che aveva affermato l’esenzione di detti contributi – è stata impugnata dall’ufficio solo con riferimento all’Irap. Dato che l’esenzione dall’Irpeg per i contributi in questione è posta a base anche della presenta decisione, ne deriva l’irrilevanza in questa sede dell’eventuale giudicato sull’Irpeg.

Nel presente giudizio l’oggetto è infatti e comunque rappresentato da una richiesta di rimborso e la decisione è collegata alla questione della ammissibilità di riporto ad anni successivi di perdite che siano state ripianate con contributi esterni ed in particolare con contributi esenti. Anche seguendo la prospettazione della ricorrente, la decisione di questo giudizio non può entrare in contraddizione con quanto si assume essere stato definitivamente deciso nell’altro.

P.Q.M.

– rigetta il ricorso;

– condanna la Compagnia Pisana Trasporti s.p.a. alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 14.000.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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