Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-04-2012, n. 6213 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 15 – 30.9.2009, confermò la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto la nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso fra la Poste Italiane spa e F.E. ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per ragioni di carattere sostitutivo e decorrente dal 1.12.2005, con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato e condanna della parte datoriale alla corresponsione delle retribuzioni al lavoratore dalla data della messa in mora.

Per la cassazione di tale sentenza la Poste Italiane spa ha proposto ricorso fondato su cinque motivi e illustrato con memoria.

L’intimata F.E. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Appare logicamente prioritaria la disamina del quarto motivo, con il quale la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 100 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale abbia disatteso l’eccezione relativa alla mancanza di interesse della lavoratrice alla prosecuzione del rapporto in conseguenza delle rassegnate dimissioni.

1.1 Atteso che, come accertato in fatto dalla Corte territoriale, le dimissioni sono intervenute dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e, quindi, a fortiori, dopo la costituzione in mora della parte datoriale, deve riconoscersi l’infondatezza del motivo, stante la sussistenza dell’interesse della lavoratrice a vedere accertata, anche in relazione alle sue conseguenze sul piano economico, la perduranza del rapporto lavorativo fino alla volontaria risoluzione del medesimo.

2. Con i primi due motivi di ricorso la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la nullità del termine per non essere stato indicato il nominativo del lavoratore sostituito, la causa della sostituzione e il relativo periodo.

2.1 La questione all’esame è già stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, che l’ha condivisibilmente risolta con l’enunciazione del principio secondo cui, in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto; pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 1576/2010;

4267/2011).

2.2 La parte ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non ha tuttavia specificato se e in forza di quali elementi – al di là della mera indicazione dei termini iniziale e finale del rapporto – sia stata integrata, nel caso all’esame, l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti; dal che discende, modificata la motivazione della sentenza impugnata nei termini anzidetti, il rigetto dei motivi all’esame.

3. In ordine alle conseguenze derivanti dalla riconosciuta nullità del termine, la Corte territoriale ha ritenuto che:

– valendo il principio della messa in mora del creditore della prestazione lavorativa, la lavoratrice aveva prodotto la A/R di messa in mora ricevuta il 23/3/2006′ e da tale data dovevano decorrere gli effetti risarcitori, da commisurarsi alle retribuzioni successivamente omesse;

– quanto all’aliunde perceptum, la relativa deduzione si era limitata all’astratta enunciazione del principio, senza che fosse stata fornita alcuna indicazione concreta utile alla sua determinazione;

l’assunto datoriale secondo cui l’onere probatorio graverebbe sul lavoratore costituiva un’evidente inversione dell’onere deduttivo, con conseguente rigetto dell’eccezione in parola; la Corte territoriale, richiamando anche conforme giurisprudenza di legittimità, ha quindi fatto applicazione del generale principio secondo cui chi eccepisce l’estinzione o la modificazione del diritto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda ( art. 2697 c.c., comma 2).

3.1 Con il terzo e il quinto motivo la parte ricorrente si è doluta delle suddette conseguenze risarcitorie, in particolare deducendo che:

– la lavoratrice non aveva fornito la prova del danno lamentato, in particolare non depositando i documenti utili a tal fine, e avrebbe dovuto offrire formalmente la propria prestazione lavorativa, illegittimamente rifiutata dalla parte datoriale (terzo motivo);

– in ordine alla svolta eccezione di aliunde perceptum, disattesa dalla Corte territoriale, doveva ritenersi onere della lavoratrice dimostrare di non essere stato occupata nel periodo in questione (quinto motivo).

3.2 Secondo la giurisprudenza di legittimità:

– il ricorso per cassazione deve essere articolato su motivi dotati dei caratteri della specificità, della completezza e della riferibìlità alla decisione impugnata; pertanto, poichè per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 13830/2004; 359/2005 ; 22499/2006; 15952/2007;

17125/2007), – il ricorrente che denuncia il vizio o la carenza di motivazione per omesso esame di documenti decisivi ha l’onere di indicare, ai fini della corretta proposizione della censura, i singoli documenti che assume essere stati trascurati o valutati insufficientemente o illogicamente, riproducendo nel ricorso il tenore esatto del documento il cui omesso o inadeguato esame è censurato (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 6456/1994; 8388/2002;

13953/2002; 9954/2005; 18506/2006).

3.3 Con i motivi all’esame la ricorrente non ha rispettato tali principi, atteso che:

– il rilievo della necessità da parte del lavoratore della prova del danno trascura del tutto di considerare che la Corte territoriale ha espressamente valorizzato l’atto con cui la parte datoriale è stata vanamente messa in mora e sulla base del quale la lavoratrice ha quindi provato il fondamento della propria pretesa;

– non è stato tenuto conto che gli effetti risarcitori sono stati appunto fatti decorrere dalla data di messa in mora;

– non è stato riprodotto in ricorso il contenuto dell’atto sulla base del quale si è concretizzata la messa in mora, vanificando con ciò in radice qualsivoglia spunto critico inerente ad eventuali vizi di motivazione sul punto;

– quanto all’aliunde perceptum, l’assiomatica affermazione secondo cui dovrebbe essere "onere del lavoratore dimostrare di non essere stato occupato nel periodo in questione", non offre alcuna ragione critica della (in tesi) erronea applicazione del ricordato generale principio dell’onere della prova.

3.4Le doglianze all’esame sono quindi inammissibili.

4. Va considerato, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens, che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura de controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr., Cass. 8 maggio 2006 n. 10547).

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria.

Nel caso in esame i motivi che investono il tema al quale è riferibile la disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7, sono i terzo e il quinto, testè esaminati, i quali, come evidenziato, sono inammissibili.

Deve quindi convenirsi per l’inapplicabilità nel presente giudizio del ricordato ius superveniens.

5. In definitiva il ricorso va rigettato.

Non è luogo a pronunciare sulle spese, in carenza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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