Cass. civ. Sez. VI, Sent., 23-04-2012, n. 6354 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che V.D., con ricorso del 27 gennaio 2010, iscritto al n. 3447 del 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura illustrati con memoria -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Brescia depositato in data 16 settembre 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sui ricorsi di V.D. e di altre sei persone – volti ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale ha concluso per l’inammissibilità e per l’infondatezza dei ricorsi -, ha rigettato i ricorsi ed ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.000,00;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che lo stesso V.D., con distinto ricorso, non depositato, ha impugnato per cassazione, nei confronti del Ministro della giustizia, lo stesso decreto della Corte d’Appello di Brescia depositato in data 16 settembre 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sui ricorsi del V. e di altre sei persone – volti ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale ha concluso per l’inammissibilità e per l’infondatezza dei ricorsi -, ha rigettato i ricorsi ed ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.000,00;

che resiste anche in questo ricorso, con distinto controricorso iscritto al n. 9915 del 2010, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale – richiesti, rispettivamente, nella misura di Euro 38.000,00 e di Euro 38.000,000, per l’irragionevole durata del processo esecutivo presupposto – proposta con ricorsi del 13, 14, 17 e 18 novembre 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) il V. ed altri sei ricorrenti, quali fideiussori della s.r.l.

Immobiliare Bellini nei confronti della s.p.a. Deutsche Bank, divisione della Banca Popolare di Lecco erano stati coinvolti della procedura concorsuale apertasi a seguito del fallimento della Società Immobiliare Bellini, dichiarato dal Tribunale di Brescia in data 3 ottobre 1989; b) la procedura fallimentare si era chiusa in data 20 dicembre 1999; c) successivamente, la Banca creditrice aveva agito esecutivamente sull’immobile di proprietà del V.; d) il processo esecutivo era ancora pendente alla data del deposito dei ricorsi per equa riparazione;

che la Corte d’Appello di Brescia, con il suddetto decreto impugnato, dopo aver determinato in tre anni la durata normale del processo di primo grado, ha affermato che: a) va esclusa dal computo della durata irragionevole tutto il periodo intercorso tra la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Immobiliare Bellini ((OMISSIS)) e la chiusura dello stesso (20 dicembre 1999), in quanto il V. (e gli altri ricorrenti) non erano parti di tale procedura; b) Relativamente al susseguente novennio, non può non evidenziarsi come dall’esame del fascicolo emerga che l’anomala durata del processo esecutivo, a ben vedere, sia stata determinata dalle plurime istanze, richieste ed opposizioni (nella specie: ricorsi in opposizione all’esecuzione, impugnazioni ex art. 617 c.p.c., ordinanze su istanze di riduzione del pignoramento, ordinanze su istanze di sospensione delle operazioni di vendita L. n. 44 del 1999, ex art. 20 istanze di vendita senza incanto) dei ricorrenti, oltre che da un non fattivo comportamento tenuto dalle parti processuali, che hanno tardato nella allegazione in atti della documentazione ipocatastale, nonostante la stessa fosse necessaria nel giudizio esecutivo, ovvero non hanno provveduto tempestivamente e compiutamente alle notificazioni necessarie al termine del richiesto periodo di sospensione (che, peraltro, era stata richiesta dai ricorrenti ex L. n. 44 del 1999), il tutto senza che il G. E. potesse d’ufficio intervenire trattandosi di procedura nella completa disponibilità delle parti; c) in tale fattispecie, il criterio di valutazione non può essere quello dell’oggettivo decorso del tempo, ma quello del comportamento delle parti, tenuto conto che, nel procedimento esecutivo, alla posizione del creditore che non si attiva o si attiva in modo erroneo è perfettamente speculare la posizione del debitore che dall’inerzia di controparte trae un indubbio vantaggio, ossia la conservazione del bene esecutato, come nella fattispecie, senza che tali condotte possano finire per essere addebitate allo Stato ed alle sue disfunzioni; d) in conclusione, dall’esame degli atti di causa non emergono omissioni da parte del G. E. procedente e … la durata del giudizio, depurato da tutti i ritardi ascrivibili alle parti od alla procedura deve essere ritenuta ragionevole. che il Collegio, all’esito della odierna Camera di consiglio, ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Motivi della decisione

preliminarmente, che, i ricorsi iscritti ai numeri 3347 e 9915 del 2010, in quanto proposti contro lo stesso decreto, debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.;

che, quanto al ricorso iscritto al n. 9915 del 2010, come risulta dal controricorso del Ministro dell’economia e delle finanze, notificato il 25 gennaio 2010, V.D. ha proposto ricorso contro il decreto della Corte d’Appello di Brescia depositato il 16 settembre 2009;

che, alla data del deposito di detto controricorso, il ricorso per cassazione del V. non risultava depositato ai sensi e nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1. che, pertanto, il ricorso è improcedibile;

che infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 4859 e 6420 del 1981, 7431 del 1991, tutte pronunciate a sezioni unite, 252 del 2001, 1104 del 2006, 11091 del 2009), il potere della Corte di cassazione di dichiarare di ufficio l’improcedibilità del ricorso sussiste anche in ipotesi di mancato deposito di esso, ove la parte intimata ne abbia portato a conoscenza della Corte l’esistenza con controricorso (ancorchè questo sia improcedibile o inammissibile);

che, nella specie, il ricorso per cassazione del V. non risulta depositato;

che, conseguentemente, il ricorso per cassazione proposto dallo stesso deve essere dichiarato improcedibile;

che il ricorrente deve essere condannato al rimborso delle spese del presente grado del giudizio nei confronti del contro ricorrente Ministro dell’Economia e delle finanze;

che, infatti, questa Corte ha enunciato il principio, secondo cui la parte alla quale sia stato notificato un ricorso per cassazione e che abbia a sua volta notificato al ricorrente il controricorso – come nella specie – ha il potere, ove il ricorrente abbia omesso di depositare il ricorso e gli altri atti indicati nell’art. 369 cod. proc. civ., di richiedere l’iscrizione a ruolo del processo al fine di far dichiarare l’improcedibilità del ricorso medesimo, essendo tale potere ricompreso in quello più ampio di contraddire riconosciuto dall’art. 370 cod. proc. civ. e trovando giustificazione nell’interesse del controricorrente al recupero delle spese e di evitare, mediante la dichiarazione di improcedibilità del ricorso, che il ricorrente possa riproporre il ricorso medesimo nel caso in cui non sia ancora decorso il termine per l’impugnazione (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 21969 del 2008);

che, quanto al ricorso iscritto al n. 3447 del 2010, lo stesso è inammissibile sia per mancanza di autosufficienza, in violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., sia per omessa impugnazione delle rationes decidendi del decreto impugnato;

che infatti, con il primo motivo, il ricorrente non tiene assolutamente conto – non formulando al riguardo alcuna critica specifica – del fatto che i Giudici a quibus hanno escluso dal computo della durata del processo presupposto tutto il periodo concernente la vera e propria procedura concorsuale, affermando esplicitamente che tale esclusione era dovuta al fatto che il ricorrente, quale (co)fideiussore della società fallita, non era stato parte della stessa procedura;

che il ricorrente, invece, si limita ad affermare apoditticamente che il processo presupposto si è articolato in unico grado comprensivo di fallimento e relativa procedura esecutiva, senza censurare la ratio decidendi del decreto impugnato e concentrandosi, in modo incongruo, soltanto sul profilo dell’entità dell’indennizzo preteso;

che il ricorrente, inoltre, non ha minimamente censurato in modo specifico il rilievo dei Giudici a quibus concernente il comportamento dilatorio addebitato (anche) al ricorrente nel corso del vero e proprio processo esecutivo, limitandosi a richiamare la giurisprudenza di questa Corte sulla valutazione dei rinvii disposti dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 81 disp. att. cod. proc. civ. e concentrando, quindi, la critica su un punto rimasto sostanzialmente estraneo alla ratio decidendi del decreto impugnato;

che le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, dichiara improcedibile il ricorso iscritto al n. 9915 del 2010 ed inammissibile il ricorso iscritto al n. 3447 del 2010; condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

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