Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-09-2011) 27-10-2011, n. 38886

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con ordinanza resa all’udienza camerale del giorno 7.07.2009 liquidava ad A. C. la somma di Euro 28.870,04 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione dapprima sofferta in regime di custodia in carcere per giorni 122 giusta ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria per il delitto di furto aggravato da cui è stato assolto dal locale Tribunale con sentenza del 29.05.2008, divenuta definitiva, per non avere commesso il fatto ex art. 530 c.p.p., comma 2.

Avverso la sopra indicata ordinanza proponeva ricorso per Cassazione l’ A. e concludeva chiedendone l’annullamento. Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte relativa alla valutazione equitativa rispetto ai parametri aritmetici di legge e con riferimento alle ragioni indicate nella domanda di riparazione in quanto riteneva insufficiente la somma liquidata in relazione ai danni subiti ed al titolo di reato che gli era stato contestato.

Secondo il ricorrente la somma indicata pari ad Euro 28.870,04 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione subita sarebbe stata fissata senza alcuna motivazione reale, senza indicare alcun parametro per fissare il valore degli elementi ritenuti indennizzabili, senza tenere in considerazione le ulteriori sofferenze personali, familiari e patrimoniali da lui patite. Si contestava in sostanza il difetto di motivazione in ordine ai criteri e all’iter logico seguiti per giungere alla valutazione finale dell’indennità liquidata.

Motivi della decisione

I proposti motivi di ricorso sono palesemente infondati.

Tanto premesso si osserva che il diritto a equa riparazione per l’ingiusta detenzione, regolato dall’art. 314 c.p.p., e ss., trova fondamento nella condizione soggettiva della persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro sistematico di riferimento è un quadro di diritto civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è piuttosto quello della riparazione legata ad eventi che producono il sorgere, quali conseguenze di principi di solidarietà e di giustizia distributiva, di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo, in materia, l’assetto delle regole generalissime che disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, la custodia cautelare subita e la successiva assoluzione (Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630 02/04/2004 – 20/05/2004). La liquidazione del danno, che dunque deve essere provato nella sua esistenza dalla parte che lo reclama, a fronte della natura riparatoria e indennitaria della misura apprestata dall’ordinamento, avviene secondo criteri di equità.

Infatti in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il parametro equitativo per la liquidazione dell’indennizzo – valutato sulla base delle conseguenze personali e familiari subite – è funzionale alla modulazione concreta dello stesso all’interno del rapporto tra i parametri aritmetici previsti, ma non consente al giudice di superare il tetto massimo della liquidazione, scaturente dai parametri aritmetici.

I richiamati criteri di equità riguardano ovviamente non la prova dei danni patiti, ma la mera quantificazione dell’indennizzo spettante a fronte della loro variegata natura. In definitiva la liquidazione dell’indennizzo previsto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione va disancorata da criteri o parametri rigidi e deve, al riguardo, procedersi con equità, valutandosi la durata della custodia cautelare e, non marginalmente, le conseguenze personali, familiari, patrimoniali, morali, dirette o mediate, che siano derivate dalla privazione della libertà. A tal riguardo, dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente , è costituito dal parametro aritmetico, ossia dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita, dovendosi poi procedere alla liquidazione dell’indennizzo, entro il tetto massimo del quantum liquidabile, con apprezzamento di tutte le conseguenze pregiudizievoli che la durata della custodia cautelare ingiustamente subita ha determinato per l’interessato (Cass. Sez. 4A sent. N. 30317 del 21/06/2005).

Nella fattispecie di cui è processo il provvedimento impugnato applica correttamente i sopra indicati principi.

In particolare la Corte di Appello di Reggio Calabria liquida l’indennizzo nella misura di Euro 28.770,04, tenendo conto sia della durata della custodia cautelare ingiustamente patitale delle ulteriori conseguenze negative connesse all’ingiusta carcerazione sofferta. La determinazione consegue ad una valutazione caratterizzata da logicità ed adeguata motivazione perchè l’applicazione del criterio aritmetico determina il quantum dell’indennizzo in una somma leggermente inferiore (Euro 21486,00) a quella liquidata dalla Corte territoriale, tenuto conto che, in base ai criteri sanciti da questa Corte, un giorno di detenzione carceraria equivale ad Euro 235,83 ed un giorno di detenzione domiciliare alla metà di tale somma. Nel caso di specie inoltre l’ordinanza impugnata ha adeguatamente motivato in ordine alla circostanza che il richiedente non aveva concretamente provato di avere subito ulteriori danni e che comunque l’applicazione del criterio aritmetico nella sua massima estensione era idoneo a determinare la misura dell’equa riparazione a lui spettante per l’ingiusta detenzione subita e per gli ulteriori danni che tale detenzione poteva aver provocato. Il criterio aritmetico deve essere infatti tenuto presente quanto meno come dato di partenza della valutazione indennitaria, dovendo il giudice, allorquando intenda discostarsi sensibilmente dalla misura dell’indennizzo in tal modo determinabile, fornire adeguata motivazione.

Nella fattispecie di cui è processo l’operazione di calcolo è stata eseguita con idonea ed adeguata motivazione in applicazione dei principi enunciati da questa Corte, in quanto l’ordinanza impugnata ha esplicitato i motivi che l’hanno portata a liquidare una somma corrispondente al criterio aritmetico applicato nella sua massima estensione ed ha ritenuto che tale criterio di calcolo fosse idoneo a determinare l’indennità spettante al richiedente per la detenzione subita e per gli ulteriori danni che da essa erano derivati.

Il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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