Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-04-2012, n. 6343 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 9.4.2010, in accoglimento dell’appello proposto dalla s.p.a. Johnson & Johnson Medical Holding ed in riforma dell’impugnata decisione di primo grado – che aveva dichiarato la sussistenza, tra la indicata società e M.A., di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 21.10.1998 (data di decorrenza del primo dei due contratti a termine stipulati fra le parti) e condannato il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni non corrisposte a partire dalla messa in mora – rigettava la domanda del M., rilevando che la scrittura del 2.7.1999 e quella del 27.7.2000, con le quali quest’ultimo, dopo la scadenza di ciascuno dei due contratti a termine, aveva dato atto di essere stato soddisfatto, con la somma ricevuta, di ogni obbligo contrattuale e legislativo e di non avere altro a pretendere, non potevano ritenersi quietanze a saldo, ma configurassero vere e proprie rinunce, non impugnate nei termini di cui all’art. 2113 c.c.. Riteneva che i contratti a termine stipulati tra le parti fossero conformi alle disposizioni normative dell’accordo interconfederale del 18.12.1988, cui la L. n. 56 del 1987 aveva anche rimesso l’individuazione di ipotesi di legittima apposizione del termine ai contratti di lavoro stipulati tra le parti.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il M., con tre motivi. Resiste, con controricorso, la società.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che il giudice del gravame ha tralasciato di considerare che, affinchè possa ritenersi sussistente l’ipotesi della rinunzia, è necessario che la volontà del lavoratore nel compiere il relativo atto risulti in modo chiaro ed inequivocabile e che, nella specie, in conformità ai criteri indicati dalla giurisprudenza, nessuna circostanza precisa, concordante ed obiettivamente concludente, che dimostri l’intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo, è stata addotta da controparte, nulla essendo dato leggere sul punto in sentenza. Indica quali atti in relazione ai quali contesta l’avvenuta valida manifestazione di volontà dismissiva di diritti la quietanza del 16.7.1999, allegata al n. 7 del fascicolo di parte di primo grado della società resistente, e la quietanza 2.8.2000, allegata al n. 14 dello stesso fascicolo.

Con il secondo motivo, il M. lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1-4 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 3 delle disposizioni del CCNL tessili del 27.7.1995, osservando che, se pure la sentenza di appello richiama, a fondamento della decisione favorevole alla società, la pronunzia della Corte di Cassazione n. 4025/2005, la giurisprudenza non era affatto univoca, essendosi con altra decisione (Cass. 1255/2003) la stessa Corte espressa nel senso della natura meramente programmatica dell’art. 10 dell’accordo interconfederale del 1988. Aggiunge che, peraltro, l’accordo del 1988 è stato ignorato dalla contrattazione collettiva del settore tessile del 1995, che non l’ha indicato come fonte normativa legittima di apposizione del termine al contratto di lavoro, mentre lo stesso accordo è stato recepito ne c.c.n.l. del 2000, all’art. 30.

Con il terso motivo, il ricorrente si duole dell’omessa motivazione rispetto ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè della violazione e falsa applicazione delle disposizioni dell’accordo Interconfederale del 18.1.1988 e del c.c.n.l. tessili del 1995, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Rileva che, ai fini della verifica del rispetto della clausola di contingentamento, la società ha preteso che il calcolo fosse effettuato su tutta la forza lavoro e quindi in aree escluse dall’ambito di operatività del D.P.R. n. 218 del 1976, e che la Corte territoriale non aveva proceduto al detto accertamento, pur non potendo ritenersi che la questione preliminarmente delibata, sulla validità delle motivazioni che consentivano il ricorso al contratto a tempo determinato, fosse assorbente.

Il ricorso è infondato.

In merito al primo motivo vale osservare che, per il principio di autosufficienza, la censura avrebbe dovuto riportare il contenuto delle quietanze al fine di rilevarne l’idoneità a costituire valide rinunzie, ovvero ad escluderne tale portata, in quanto costituenti mere quietanze a saldo prive di ogni valore dismissivo di diritti.

Al riguardo deve, invero, rilevarsi che, qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa o erronea valutazione di prove documentali, per i principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (cfr.

Cass 29.3.2007 n. 7767). Tale principio è conforme a quanto anche di recente affermato con riguardo al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, che, a giudizio di questa stessa Corte, impone al ricorrente la specifica indicazione dei fatti e dei mezzi di prova asseritamente trascurati dal giudice di merito, nonchè la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori con eventuale trascrizione dei passi salienti, il suddetto requisito non potendo ritenersi soddisfatto nel caso in cui il ricorrente inserisca nel proprio atto d’impugnazione la riproduzione fotografica di uno o più documenti, affidando alla Corte la selezione delle parti più rilevanti e, quindi, un’individuazione e valutazione dei fatti estranea alla funzione del giudizio di legittimità (cfr. Cass. 7.2.2012 n. 1716).

A maggior ragione deve ritenersi che l’onere di trascrizione delle quietanze non sia stato nella specie soddisfatto, essendo l’indicazione della sede produzione delle stesse rilevante ai fini della procedibilità dell’impugnazione, ma non anche della ammissibilità della stessa in relazione allo specifico motivo dedotto.

Irrilevante è il rilevo della controricorrente relativo all’omessa impugnazione della sentenza di appello con riguardo al capo della stessa ove viene affermato che i negozi dismissivi non sono stati impugnati nel termine di cui all’art. 2113 c.c., essendo la questione – superata, peraltro, per quanto detto, dal profilo di rilevata inammissibilità del motivo – strettamente dipendente dalla natura attribuibile alle "transazioni" che, se qualificate mere quietanze a saldo, renderebbero assorbita la relativa questione. Donde la non necessità di autonoma e specifica impugnativa della statuizione che non è individuabile come autonoma e ulteriore ratio decidendi.

In relazione al secondo motivo, ritiene la Corte di potere ragionevolmente aderire – non essendovi validi motivi per discostarsene – all’orientamento espresso in sede di legittimità con pronunzia del 25.2.2005 n. 4025, alla cui stregua l’identificazione delle nuove fattispecie in cui è consentita, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 l’assunzione dei lavoratori subordinati con contratto di lavoro a termine può essere effettuata non soltanto dal contratto collettivo applicabile al rapporto, ma anche da un accordo interconfederale (nel caso di specie, l’Accordo interconfederale 18 dicembre 1988), qualora, sotto il profilo soggettivo, i soggetti stipulanti possano ritenersi validamente rappresentativi, al pari dei "sindacati locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale", previsti dall’art. 23 e, sotto il profilo oggettivo, qualora sia assicurata la considerazione delle particolari esigenze di un settore determinato con condizioni di lavoro prevalentemente omogenee, seppur non in riferimento ad una determinata tipologia produttiva ma ad un determinato ambito territoriale. Nella indicata decisione, in conformità a quanto già affermato anche in precedente analogo (cfr. Cass. 23 marzo 2002 n. 4199), si argomenta che non è ravvisabile alcun contrasto con la L. n. 230 del 1962 e che possa ritenersi in applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 la disposizione dell’"Accordo interconfederale 1988" che ha individuato le ipotesi di contratto a termine in relazione ad alcune caratteristiche dei lavoratori da assumere (cioè: a) ultraventinovenni iscritti nelle liste di collocamento, b) infraventinovenni pure iscritti nelle liste di collocamento da assumere per l’esecuzione di mansioni per cui non è ammessa la stipulazione di contratti di formazione e lavoro, c) infraventinovenni iscritti nelle liste di collocamento di particolari zone geografiche). Si evidenzia che, al di là della distinzione terminologica tra "accordo interconfederale" e "contratto collettivo", la norma di legge non abbia inteso determinare in maniera così rigida i requisiti dei soggetti stipulanti ed il tipo di accordo collettivo che possa procedere all’individuazione delle ipotesi di legittima stipula di contratti di durata e che non apparirebbe giustificata l’esclusione dalla previsione di cui all’art. 23 citato di un accordo, quale quello posto a base del contratto stipulato, sottoscritto dalla Confindustria e da CGIL, CISL e UIL, tenuto conto che i soggetti stipulanti non hanno requisiti diversi, sotto il profilo di una valida rappresentatività, dai "sindacati locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale", secondo il dettato del menzionato art. 23. Sotto il profilo oggettivo, il riferimento, operato dalla norma in esame, alla contrattazione collettiva è genericamente effettuato per sottolineare che solo all’incontro della parti collettive può essere attribuito un potere quale quello di integrare le eccezionali ipotesi di deroga al principio della durata indeterminata del rapporto lavorativo (cfr., in tali termini Cass 4025/2005 cit.).

Quanto al motivo con il quale si assume la mancata verifica del rispetto del criterio del contingentamento, attraverso il previsto rapporto tra la percentuale di lavoratori assunti a termini e la forza in organico a tempo indeterminato, non risulta evidenziato dal ricorrente che la questione abbia costituito oggetto di specifica deduzione in sede di gravame nella memoria difensiva depositata, non essendo indicato in quali termini e dove la stessa sia stata formulata in quella sede, tale carenza riverberandosi in inammissibilità del relativo motivo di ricorso per la novità della sua proposizione. Vale in proposito richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (cfr. Cass. 31,1.2006 n. 2140; Cass 12.4.2006 n. 8624; Cass 14.6.2007 n. 13958).

Alle esposte considerazioni consegue il rigetto complessivo del ricorso.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *