Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-04-2012, n. 6341

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da B.M.V. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 13 febbraio 2007 con la quale è stato condannato al pagamento in favore di D.G.R. della somma di Euro 40.468,00 a titolo di differenze retributive in relazione al rapporto di lavoro intercorso tra le parti, quale segretaria, dal dicembre 1992 al febbraio 1998. Per quanto rileva in questa sede la Corte territoriale ha motivato tale decisione ritenendo non provato il concomitante svolgimento dell’attività di amministratrice di una società di trasporti da parte della lavoratrice, sulla base delle prove testimoniali assunte nel giudizio di primo grado, e ritenendo legittima la mancata ammissione dell’interrogatorio formale della resistente sulla base delle stesse prove testimoniali, ritenute sufficienti ad escludere le circostanze che l’originario resistente, successivamente appellante, intendeva provare. Il B. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolandolo su cinque motivi.

Resiste con controricorso la D.G..

Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonchè del dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, riferito tutto all’art. 416 cod. proc. civ., con riferimento agli accordi sulla retribuzione e sull’attività di amministratrice della D.G.. In particolare si assume che sarebbe incontestato che le parti abbiano concordato una retribuzione che teneva conto del permesso accordato alla lavoratrice di svolgere la sua personale attività di amministratrice presso lo studio legale del resistente, mentre la Corte romana non avrebbe tenuto conto di tale circostanza nella considerazione di quanto spettante alla D.G..

Con secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonchè del n. 5 del cit. comma per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 2733 cod. civ., agli artt. 228, 230 e 232 cod. proc. civ., e all’art. 2020 cod. proc. civ., con riferimento alla mancata ammissione dell’interrogatorio formale. In particolare si deduce che le circostanze di cui all’interrogatorio formale richiesto, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, non sarebbero affatto provate o riconosciute, da qui la necessità del mezzo istruttorio richiesto.

Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonchè del n. 5 del cit. comma per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 116 cod. proc. civ. In particolare si assume che l’espletata istruttoria e la mancata contestazione da parte della D.G. sarebbero sufficienti a provare lo svolgimento, da parte di questa, dell’attività di amministratrice di una società di trasporti nello studio del B..

Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punti 3 e 5, con riferimento all’art. 2099 c.c., comma 3. In particolare si deduce che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto che la possibilità di svolgere l’attività di amministratrice faceva parte della retribuzione in natura consentita dal citato art. 2099.

Con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punti 3 e 5 con riferimento alle attività professionali svolte dal B. in favore della D.G. e del di lei suocero. In particolare si assume che la Corte d’Appello, ai fini della domanda riconvenzionale svolta dal B., non avrebbe tenuto conto della documentazione attestante la redazione di un preliminare di compravendita da parte dell’attuale ricorrente, e non avrebbe ammesso l’interrogatorio formale avente ad oggetto anche tale circostanza.

Il primo motivo è infondato. Il ricorrente, infatti deduce la mancata pronuncia su un motivo di appello lamentando che la corte territoriale non avrebbe considerato le note con le quali si è dedotto che la lavoratrice non avrebbe contestato l’accordo secondo cui l’attività personale svolta dalla stessa D.G. presso lo studio del B. avrebbe costituito parte della retribuzione.

Osserva il collegio che la doglianza è inammissibile in quanto il ricorrente, sebbene abbia allegato al ricorso ampia documentazione, non ha provveduto a trascrivere nel corpo dell’atto i passi del ricorso in appello, che conterrebbero la doglianza alla quale il giudice dell’appello non avrebbe risposto (v. Cass. 23420/2011 – 1186/2012). Anche la stessa indicazione delle pagine dell’atto di appello (pagg. 31 – 32) "spillato al ricorso e, asseritamente recante la doglianza in questione, non corrisponde in modo che il collegio sarebbe costretto ad un’opera di ricerca documentale che il principio dell’autosufficienza del ricorso stesso intende evitare. Inoltre va osservato che l’omessa pronuncia lamentata riguarderebbe comunque la corrispondenza fra chiesto e pronunciato, principio dettato dall’art. 112 cod. proc. civ. con norma non invocata dal ricorrente che richiama, invece, solo l’art. 416 cod. proc. civ. relativo alla memoria di costituzione del convenuto in primo grado.

In ordine al secondo motivo va ricordata la giurisprudenza di questa corte secondo cui il ricorrente che in sede di legittimità denunci la mancata ammissione nei gradi di merito del dedotto interrogatorio formale ha l’onere di indicare specificamente, trascrivendole, le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, della prova stessa che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Suprema Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 5 giugno 2007 n. 13085). Nel caso in esame il ricorrente si è limitato genericamente richiamare le circostanze che avrebbe inteso provare a mezzo dell’interrogatorio formale, senza tuttavia indicarle e trascriverle con precisione in modo da dar modo alla Corte di verificare la correttezza del provvedimento di mancata ammissione.

Il terzo ed il quarto motivo sono relativi ad una circostanza di fatto sulla quale la corte territoriale si è, sia pur sinteticamente, pronunciata considerando, con giudizio comunque insindacabile in sede di legittimità, che gli elementi di prova raccolti, e, in particolare, le testimonianze riportate, non sono sufficienti per affermare lo svolgimento dell’attività di amministratrice di società in contemporanea con l’attività lavorativa dedotta in giudizio.

Anche l’ultimo motivo è infondato, in quanto la Corte d’Appello di Roma ha affrontato la questione relativa allo svolgimento di un’attività professionale del B. svolta in favore della D. G. giudicando il contratto prodotto dall’attuale ricorrente non sufficiente a provare tale attività; tale pronuncia di merito non è censurabile in questa sede trattandosi di valutazione di fatto, che comunque tiene conto della documentazione in atti, ed appare logica e compiuta.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 500,00 per esborsi, oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 29 marzo 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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