Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 23-04-2012, n. 6327 Illeciti disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 111 dell’8 luglio 2011, depositata il 21 luglio 2011, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha inflitto al Dott. L.B.L., giudice presso il Tribunale di Rimini, la sanzione della censura, avendolo ritenuto responsabile dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. d).

Il Dott. L.B. era stato incolpato di tale illecito, come riportato nell’epigrafe della sentenza, "per avere, quale magistrato con funzioni di giudice nel Tribunale di Siracusa, violato i doveri generali di correttezza ed equilibrio e per aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti della Dott.ssa L.I.S., giudice nel medesimo ufficio. In particolare, il Dott. L.B., nell’auto-relazione indirizzata al Consiglio giudiziario di Catania nel corso del procedimento relativo alla sua prima valutazione di professionalità, in un provvedimento di riorganizzazione del suo ruolo civile del 12 novembre 2008 (atti per loro natura destinati alla conoscenza di terzi) e in una missiva indirizzata in data 20 gennaio 2009 al presidente della sezione civile del Tribunale di Siracusa, svolgeva ripetutamente aspre ed ingiustificate critiche in ordine alla professionalità della Dott.ssa L.I., precedente titolare dei medesimi ruoli di cognizione e di esecuzione, addebitandole una mala gestio degli stessi; l’incapacità di organizzarli; una sorta di stagnazione del ruolo; la concessione di rinvii immotivati; l’adozione di prassi istruttorie lacunose ed altri simili inconferenti giudizi. In tal modo il Dott. L.B. travalicava le proprie esigenze di organizzazione, mettendo ripetutamente in cattiva luce la collega di fronte ai capi degli uffici, al Foro ed al personale di cancelleria".

La Sezione disciplinare ha osservato che, nella prospettiva dell’incolpato e segnatamente nel provvedimento di riorganizzazione del ruolo, assumeva certamente rilevanza, e sarebbe stata quindi sufficiente, una descrizione della situazione del ruolo, per giustificare qualche anticipazione e numerosi differimenti (fino a due anni) di udienze già fissate, non solo dalla Dott.ssa L. I. ma anche dallo stesso Dott. L.B. e in relazione a procedimenti anche sopravvenuti alla successione tra i due magistrati. L’incolpato si impegnò invece anche ad individuare le cause della difficile situazione, addebitandone la responsabilità esclusivamente alla collega che lo aveva preceduto due anni prima, e tale comportamento – ha concluso la Sezione disciplinare – fu reiteratamente e gravemente scorretto, perchè le censure ripetutamente mosse alla Dott.ssa L.I. furono indebite, non competendo al Dott. L.B. valutare il lavoro della collega (e tanto meno comunicare al Foro e ai dirigenti dell’Ufficio le proprie valutazioni in proposito), e palesemente gratuite, perchè non necessarie a giustificare plausibilmente la posizione dell’incolpato.

2. Avverso tale sentenza il Dott. L.B.L. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo formulato, il ricorrente, denunciando "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. d), ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), nonchè dell’art. 360 c.p.c., n. 3", censura la sentenza impugnata osservando che i comportamenti addebitati al Dott. L.B. non hanno i requisiti previsti dalla richiamata norma del D.Lgs. n. 109 del 2006 per la configurabilità dell’illecito disciplinare in esame, non essendo nè abituali, nè gravi, e non potendo neppure ritenersi scorretti.

In particolare, ad avviso del ricorrente, non sussiste il carattere dell’abitualità poichè almeno due dei tre episodi in relazione ai quali è stato ravvisato l’addebito – adozione del provvedimento di riorganizzazione del ruolo e redazione della missiva indirizzata al presidente della sezione – si collocano in una sequenza cronologica e funzionale tale da configurare una unicità di condotta; nè le condotte si rivelano gravemente scorrette, cioè veicolo di indebito discredito nei confronti della collega, trattandosi, quanto all’autorelazione ed alla lettera riservata al presidente della sezione, di documenti privi di rilevanza esterna in quanto diretti ai destinatari istituzionalmente preposti al controllo dell’attività dei magistrati, e, in ordine al decreto di riorganizzazione del ruolo delle cause, di provvedimento finalizzato esclusivamente a tutelare il magistrato dalle conseguenze negative (anche disciplinari) derivanti dall’accumularsi di ritardi nel deposito delle sentenze, con inevitabile indicazione delle ragioni che lo giustificavano (senza peraltro menzionare il nome di alcun magistrato) e necessaria comunicazione ai difensori delle parti interessate.

Con il terzo motivo, è denunciata "nullità della sentenza per assoluta mancanza della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c), (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4) ovvero mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), (ovvero per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5)".

Si censura la sentenza impugnata sia perchè il nome della Dott.ssa L.I. non è stato mai menzionato dall’incolpato, sia perchè le condizioni del ruolo delle cause non sono state contestate, sia, in generale, perchè la motivazione si rivela apodittica e tautologica.

1.2. I motivi, da esaminare congiuntamente per stretta connessione, sono infondati.

Va innanzitutto osservato che il carattere di "abitualità" delle condotte addebitate al Dott. L.B. non risulta contestato nel capo di incolpazione e che anche il riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla reiterazione del comportamento del magistrato (qualificato "reiteratamente e gravemente scorretto"), deve essere inteso, ad avviso del Collegio (e a prescindere dalla distinzione concettuale tra ciò che è "reiterato" e ciò che è "abituale"), come esclusivamente diretto ad incidere, con effetto rafforzativo, sulla valutazione di gravità della scorrettezza del comportamento.

Quanto, poi, alla sussistenza degli estremi dell’illecito disciplinare contestato, e cioè, appunto, alla configurabilità nella specie di un comportamento gravemente scorretto nei confronti di una collega, la sentenza impugnata deve ritenersi esente da vizi, sia di ordine giuridico che logico, avendo la Sezione disciplinare accertato, con congrua motivazione, come tale incensurabile in questa sede, che le critiche espresse dall’incolpato all’operato della collega che lo aveva preceduto nella titolarità del ruolo fossero, da un lato, esorbitanti dalle sue competenze e, dall’altro, del tutto gratuite, cioè senza motivo, prive di giustificazione in rapporto all’esigenza di esporre la situazione e tutelare la propria posizione.

2. Con il secondo motivo, è denunciata la "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3 bis, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), nonchè art. 360 c.p.c., n. 3", censurando la sentenza impugnata per non avere la Sezione disciplinare ritenuto che il fatto contestato fosse comunque di scarsa rilevanza.

Il motivo è fondato nei sensi appresso specificati.

Com’è noto, il citato D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, introdotto dalla L. n. 269 del 2006, art. 1, comma 3, lett. e), stabilisce che "l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza".

Il legislatore ha così inteso attenuare la rigidità della tipizzazione degli illeciti disciplinari elencati nel D.Lgs. n. 109, artt. 2 e 3, prevedendo una soglia (rilevanza "non scarsa" del fatto) al di sotto della quale l’illecito disciplinare, pur astrattamente rientrante in una delle fattispecie tipizzate, in concreto non è configurabile.

Si tratta di una valutazione che, sia per il tenore letterale della norma, sia per la sua collocazione sistematica, deve intendersi riferita a tutte le ipotesi di illecito previste nei citati artt. 2 e 3 del decreto, anche, quindi, a quelle nelle quali la gravità del comportamento costituisce elemento costitutivo dell’illecito (come nel caso in esame) (cfr. Cass., Sez. un., n. 25091 del 2010 e n. 7194 del 2011).

Tale valutazione, inoltre, deve essere compiuta dal giudice disciplinare d’ufficio, senza necessità di richiesta di parte, sulla base dei fatti acquisiti al procedimento: il giudizio negativo, anche in assenza di motivazione (cioè implicito), è soggetto al sindacato di queste Sezioni unite e il vizio dedotto è riscontrabile allorchè gli elementi di fatto acquisiti siano giudicati potenzialmente idonei a condurre ad una soluzione di segno positivo.

Infine, la valutazione deve essere effettuata prendendo in considerazione esclusivamente le caratteristiche e le circostanze oggettive del fatto addebitato, anche riferibili alla condotta dello stesso incolpato, purchè strettamente attinenti al fatto medesimo.

Ciò posto, va rilevato, con riferimento al caso di specie, che possono costituire indici rivelatori della "scarsa rilevanza" del fatto addebitato al Dott. L.B. sia la sostanziale unitarietà del comportamento (che attiene alla medesima unica vicenda), sia la circostanza che il giovane magistrato – peraltro alle prime funzioni -, nella missiva indirizzata al presidente della sezione civile del tribunale (ovviamente acquisita al procedimento, costituendo uno degli atti oggetto del capo di incolpazione), ha riconosciuto la "inopportunità" del proprio "sconveniente" comportamento e la incongruità del giudizio espresso sulla collega.

3. In definitiva, va accolto il secondo motivo di ricorso e vanno rigettati il primo e il terzo; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, cioè nella parte in cui è stata implicitamente disconosciuta la scarsa rilevanza del fatto come possibile ragione di non configurabilità dell’illecito, con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura in diversa composizione.

4. Si ravvisano giusti motivi, in considerazione delle ragioni della decisione, per disporre la compensazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura in diversa composizione.

Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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