Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 23-04-2012, n. 6326 Indennità varie Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con diversi ricorsi, successivamente riuniti per connessione, D’.Mi., S.S., R.C., Fa.Al., T.E., G.L., I. B., D.M.M., P.R., El.

R., Go.Od., Ta.Ma. e G. F.A. hanno adito il Tribunale di Venezia esponendo di essere tutti dipendenti del Ministero della Giustizia, con diverse qualifiche, e di percepire, in forza dell’art. 34 CCNL comparto Ministeri del 1994/1997, l’indennità di amministrazione.

Hanno quindi domandato l’accertamento del diritto alla inclusione della indennità di amministrazione nella base di calcolo (quota A) della pensione e della indennità di buonuscita a decorrere dall’assunzione, con la condanna del Ministero della Giustizia ad assoggettare a contribuzione tutti gli emolumenti percepiti per indennità di amministrazione e indennità di quiescenza e ad effettuare i relativi versamenti presso l’INPDAP ai fini pensionistici, oltre al pagamento delle spettanze maturate e degli accessori del capitale. A sostegno della domanda hanno esposto che l’indennità di amministrazione, attualmente computata in quota B, avrebbe dovuto essere computata in quota A, quindi interamente pensionabile, trattandosi di un elemento fisso e continuativo della retribuzione.

Si è costituito nel giudizio di primo grado il Ministero della Giustizia, resistendo alla domanda ed eccependo, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario con riferimento ai riflessi pensionistici della domanda, per essere competente la Corte dei Conti. Nel merito, sosteneva l’infondatezza della domanda di cui chiedeva il rigetto.

La causa è stata decisa in primo grado dal tribunale di Venezia con sentenza emessa il 4 novembre 2008, che ha accolto le domande formulate dai ricorrenti, accertando il diritto di computare l’indennità di amministrazione in quota A, con riferimento tanto alla indennità di fine servizio che ai fini pensionistici.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero della Giustizia.

Si sono costituiti gli appellati, contestando nel merito i motivi di appello e chiedendone il rigetto con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

Con sentenza del 7 aprile 2008 – 14 settembre 2009 la corte d’appello di Venezia ha respinto la domanda degli originari ricorrenti, così riformando la sentenza di primo grado.

3. Avverso questa pronuncia ricorrono per cassazione D’.

M. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe.

Resiste con controricorso il ministero intimato che ha proposto ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso principale è articolato in un unico motivo con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1092 del 1973, artt. 3, 38 e 43. Sostengono in particolare i ricorrenti che l’art. 34 del contratto collettivo per il comparto ministeri aveva istituito l’indennità di amministrazione quale compenso annuo, fisso e di natura retribuiva, definendola con carattere di generalità e continuità. Anche l’indennità di amministrazione era quindi soggetta a ritenuta previdenziale. Pertanto – sostengono i ricorrenti – l’indennità in questione deve essere considerata come elemento generale costante della retribuzione e, in quanto tale, rientrante nella nozione di base pensionabile, nonchè parte integrante della retribuzione imponibile ai fini contributivi e della base di calcolo dell’indennità di quiescenza.

2. Con il ricorso incidentale condizionato il ministero resistente denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, artt. 13 e 62, ed eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario appartenendo alla corte dei conti la giurisdizione sulla controversia.

3. I giudizi promossi con il ricorso principale e quello incidentale condizionato vanno riuniti avendo ad oggetto la stessa sentenza impugnata.

4. Premesso che questa corte (Cass., Sez. Un., 20 maggio 2010, n. 12337), proprio in riferimento a controversie relative alla computabilità dell’indennità di amministrazione nel trattamento pensionistico, ha precisato che occorre distinguere tra domanda proposta nel corso del rapporto di lavoro e diretta, come nella specie, all’accertamento della computabilità dell’emolumento nella base contributiva – che attiene agli obblighi, pur con connotazione previdenziale, nascenti dal rapporto d’impiego e alla base di calcolo dei contributi sulla retribuzione che l’Amministrazione è tenuta a versare – e domanda, proposta dal dipendente già in quiescenza, diretta al conteggio di detta indennità nella pensione o nella base pensionistica ai fini della quantificazione del trattamento pensionistico – che attiene al rapporto previdenziale e riguarda l’ammontare della pensione erogata o da erogare – non può non richiamarsi innanzitutto la giurisprudenza della Corte dei conti che, nelle controversie aventi ad oggetto la determinazione del trattamento pensionistico, si è pronunciata più volte nel senso della non integrale pensionabilità dell’indennità di amministrazione (Corte conti, 26 gennaio 2009, n. 31; 28 ottobre 2007, n. 366; 26 febbraio 2007, n. 301).

Deve in proposito considerarsi che il D.Lgs. n. 503 del 1992, recante norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori pubblici e privati, ha previsto all’art. 13 il nuovo sistema di calcolo della pensione il cui importo, a far tempo dal 1 gennaio 1993, deve essere determinato dalla somma della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993 – c.d. quota A – da calcolare secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta (art. 13, comma 1, lett. a), e della quota di pensione – c.d. quota B – corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993 (art. 13, comma 1, lett. b) da calcolare secondo le disposizioni introdotte dal D.Lgs. stesso.

Pur in questo innovato contesto normativo la c.d. quota A di pensione è rimasta disciplinata dal D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 43 (recante le norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nel testo sostituito dalla L. 29 aprile 1976, n. 177, art. 15 che, dopo aver tassativamente indicato quali emolumenti vanno inseriti nel calcolo della pensione, prevede all’ultimo comma che agli stessi fini, nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabili, possono essere considerati se la relativa disposizione di legge non ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile.

In simmetria con l’art. 43 cit., il D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 3 (recante norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato) prevede che, per la determinazione della base contributiva, ai fini del computo della indennità di buonuscita, si considera l’ultimo stipendio o l’ultima paga o retribuzione integralmente percepiti; la stessa norma vale per gli assegni che concorrono a formare la base contributiva. L’art. 38 dello stesso testo normativo disciplina la base contributiva utile ai fini dei trattamenti di previdenza e della indennità in questione, individuando le specifiche voci stipendiali da prendere in considerazione a questi fini.

Quindi la natura eventualmente retributiva di una determinata indennità o voce stipendiale non è sufficiente a farla rientrare nella base contributiva ai fini del computo del trattamento di quiescenza, dal momento che – come ha correttamente osservato la Corte d’appello – per stabilire l’idoneità di un certo compenso a essere considerato a questo fine occorre far riferimento al dato formale, costituito dal regime giuridico previsto dalla legge per l’emolumento. Cfr. in proposito Cons. Stato, sez. 6^, 27 dicembre 2007, n. 6666. In sostanza, l’individuazione delle voci stipendiali utili ai fini del computo della indennità di buonuscita, risponde al principio di tassatività stabilito dal D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38 e dal D.P.R. n. 1092, art. 43 che esclude che indennità non comprese nella previsione normativa possano essere considerate a questi fini.

Successivamente, la L. 8 agosto 1995, n. 335, di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, allo scopo di armonizzare i diversi ordinamenti pensionistici, ha introdotto una nozione di pensionabilità analoga a quella vigente nell’assicurazione generale obbligatoria gestito dall’INPS. Secondo tale disposizione, a far tempo dal 1 gennaio 1996 tutti gli emolumenti corrisposti al lavoratore, ad eccezione di quelli tassativamente indicati nella L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 sia che attengano al c.d. trattamento fondamentale che a quello accessorio, concorrono a formare la base contributiva e, quindi, correlativamente, per effetto della riforma introdotta, quella pensionabile.

A seguito di tale legge di riforma la base pensionabile è venuta ad arricchirsi delle voci accessorie della retribuzione, con decorrenza dal 1 gennaio 1996, includendo tutto ciò che il lavoratore riceve da datore di lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro (art. 2, comma 9). Ma – come ha correttamente rilevato la Corte d’appello – nel determinare gli effetti nel tempo della nuova disciplina, la legge di riforma ha stabilito che per gli assunti anteriormente al 1 gennaio 1996 la nuova base pensionabile, come ampliata dall’art. 2, comma 9, può essere considerata solo ai fini del calcolo della suddetta quota B (cit. L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 11). Invece per la quota A opera il principio della tassatività stabilito dal cit. D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 43 secondo cui sono esclusi dalla base pensionabile gli emolumenti di natura non stipendiale, a meno che la legge istitutiva non ne preveda espressamente la pensionabilità.

Quindi nella specie, riguardante l’indennità di amministrazione istituita con il CCNL del comparto Ministeri per il quadriennio 1994 – 1997, all’art. 34, come componente accessoria della retribuzione, trova non di meno applicazione il D.P.R. n. 1092 del 1972, art. 43 atteso che tale norma non è stata derogata dalla regolazione contrattuale del pubblico impiego, in quanto essa non ha inciso sul regime dei trattamenti pensionistici, che continuano a essere determinati e riconosciuti in base alla previsione della legge (cfr.

D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 24 e 45).

5. Il ricorso principale va quindi rigettato siccome infondato e quello incidentale, in quanto condizionato, è assorbito.

Sussistono giustificati motivi (in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale sulle questioni dibattute e della problematicità delle stesse nel contesto del progressivo assetto del diritto vivente) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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