Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-04-2012, n. 6487 Difformità e vizi dell’opera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data il 26.6.2000 C.C. quale titolare della ITC, conveniva avanti al tribunale di Milano la srl Controforma e ne chiedeva la condanna al pagamento della somma di L. 56.424.000 relativa a n. 7 fatture insolute riguardanti l’esecuzione di lavori d’impiantistica, termoidraulica e condizionamento eseguiti dalla ditta attrice in subappalto e su commissione della convenuta.

Quest’ultima costituitasi, contestava la domanda avversaria e formulava in via riconvenzionale domanda di risarcimento dei danni che assumeva provocati dalla ditta attrice nell’esecuzione dei lavori in questione.

Esaurita l’istruttoria mediante escussione dei testi ed espletamento della CTU, l’adito Tribunale di Milano, con sentenza n. 3277/05, in accoglimento della domanda attrice e ritenendo altresì fondata in parte la domanda riconvenzionale, calcolati in L. 6.800.000 i danni dovuti dall’attrice per taluni vizi e carenze delle opere eseguite, condannava la srl Controforma al pagamento della somma di Euro 20.746,07, nonchè delle spese processuali. Avverso tale sentenza proponeva appello la srl Controforma rinnovando le precedenti domande. Resisteva l’appellata che proponeva appello incidentale per l’attribuzione dell’intero danno subito di cui era stato richiesto il risarcimento.

L’adita Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 2681/09 depos. in data 27.10.2009, rigettava l’appello principale ed accoglieva quello incidentale e, in parziale riforma dell’impugnata decisione, condannava la Controforma srl al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 3.537,73. La corte milanese riteneva infatti non condivisibile la decurtazione fatta dal tribunale in merito ai lavori riguardanti l’appartamento di (OMISSIS).

Avverso la predetta sentenza la srl Controforma ricorre per cassazione sulla base di n. 2 censure; resiste ITCI sas con controricorso.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo del ricorso, l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4 e art. 183 c.p.c. e il vizio di motivazione.

La censura si riferisce in specie alla fattura n. (OMISSIS) la quale, benchè recasse come luogo dell’intervento espletato via della Signora, concerneva in realtà lavori eseguiti altrove ( (OMISSIS)), come precisato nel corso della causa di primo grado dalla stessa attrice. Secondo la ricorrente quest’ultima, cosi facendo, aveva mutato l’originaria domanda, introducendo un fatto costitutivo nuovo; si tratterebbe dunque di domanda nuova e non di mera emendatici libelli, che come tale avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile. Peraltro parte attrice non aveva fornito alcuna prova di aver eseguito il lavori in (OMISSIS).

La doglianza non è fondata, non essendo ravvisabili i denunciati vizi.

La corte milanese invero, su tale specifico punto ha motivato in modo logico ed esauriente, escludendo che la dedotta ipotesi potesse configurare un mutamento di domanda. La fattura n. (OMISSIS) – ha osservato la Corte milanese – riguardava in realtà "anche tre ulteriori appartamenti/luoghi…..e conteneva quali dati davvero essenziali e rilevanti una descrizione piuttosto dettagliata circa la tipologia delle varie forniture implicate, così consentendo ogni utile riscontro alla destinataria, che del resto avrebbe essa stessa richiesto per le sue convenienze….quella modalità di fatturazione raggruppata e unitaria". Osserva ancora puntualmente la Corte distrettuale che "….per di più, la fattura in parola conteneva un generale richiamo al preventivo n. (OMISSIS) e la destinataria era stata così messa in grado di formular eventualmente una pertinente e ancor più radicale confutazione, invece del tutto mancata; infine un ulteriore circostanza significativa è costituita dal non avere essa negato la ricezione delle fatture e senza però nel contempo avere provveduto a respingerle….".

Passando all’esame del 2 motivo, con esso la ricorrente denuncia l’omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione su alcuni punti di fatto (violazione e falsa applicazione degli artt. 2687, 1657, 1659 c.c.). Si duole del mancato assolvimento dell’onere probatorio in relazione a vari punti della pronuncia sempre con riferimento alla menzionata fattura n. (OMISSIS) che la corte di merito, a torto, avrebbe ritenuto valida sotto il profilo probatorio ed in relazione anche ad altre circostanze , quali i lamentati danni per i lavori (OMISSIS), non essendo "credibile" l’assunto della ITC della loro eliminazione prima del pagamento del corrispettivo relativo.

Secondo il Collegio l’indicata doglianza è priva di fondamento.

Invero i denunciati vizi si risolvono in mere questioni di merito non rilevabili in sede di legittimità, stante la corretta ed esaustiva motivazione della sentenza impugnata su ciascuno dei punti in questione. Il giudice a quo ha infatti proceduto ad una completa disamina di tutto il materiale istruttorio raccolto, su cui ha fondato il proprio convincimento in base ai canoni della logica e del diritto. Al riguardo si sottolinea che, secondo questa S.C. "il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 1014 del 19/01/2006). il ricorso dev’essere rigettato. Le spese processuali per il principio della soccombenza sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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