Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-10-2011) 27-10-2011, n. 38843

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. P.P. propone ricorso avverso l’ordinanza dell’8 aprile 2011 emessa dal Tribunale di Milano, con la quale è stato respinto il riesame proposto nei confronti dell’ordinanza di custodia cautelare formulata in relazione ai reati di cessione di sostanza stupefacente, detenzione d’arma da sparo e di agevolazione dell’uso di stupefacenti.

Si eccepisce con il primo motivo inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), art. 275 c.p.p., commi 1, 2, 2 bis e 3, art. 292 c.p.p., comma 2, lett. b), c) e c bis), art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. e).

Si assume che l’impianto accusatorio sia fondato sulla pretesa vicinanza dell’odierno ricorrente alla famiglia F., facente parte della ‘ndrangheta, elemento di fatto contrastato dalla difesa sia nel corso della discussione, che con il deposito di memoria illustrativa. Si rileva che l’unico collegamento dell’interessato con tali gruppi è costituito dalla sua qualità di gestore della discoteca (OMISSIS), e dalla presenza all’interno della discoteca di uomini della sicurezza ritenuti vicini al gruppo Flachi. Tali elementi sono ritenuti astrattamente neutri, e tali risultano essere stati valutati dal gip per altri gestori di locali notturni, mentre si è ritenuto di concludere diversamente per P. in quanto nel 2009 il gruppo Flachi si era attivato per acquisire il locale citato, sicchè si riteneva che P., gestore dell’esercizio, fosse stato da questi officiato dello svolgimento dell’attività, conclusione alla quale si era giunti senza considerare la discrasia temporale tra i due eventi indicati, rivelata dalla circostanza che la gestione era cessata un anno prima della data in cui i F. divennero proprietari del locale.

A conforto dell’estraneità dell’odierno ricorrente alla compagine illecita si richiamano intercettazioni delle quali si evince la volontà di P. di rivolgersi alle forze dell’ordine per fronteggiare alcune richieste ritenute estorsive compiute ai suoi danni.

2. Con il secondo motivo si formulano analoghi rilievi, lamentando che il Tribunale abbia attribuito al difensore l’onere di prova della risoluzione del contratto di affitto del locale, senza considerare gli atti depositati in quella sede; si ritiene inoltre tale allegazione fondamentale anche per sorreggere la richiesta della motivazione della misura cautelare meno afflittiva.

Si lamenta che non sia stato valorizzato il lungo decorso di tempo tra la commissione dei fatti e l’applicazione della misura, che non permette di valutare adeguata la motivazione sulla persistenza delle esigenze cautelari.

3. Con il terzo motivo si richiamano, a fronte delle argomentazioni contenute nell’ordinanza per accertare l’esistenza ed attualità delle esigenze cautelari, la scarsa consistenza numerica dei contatti telefonici tenuti dal P. nel periodo di riferimento;

l’assenza di incontri tra P. e gli affiliati; la mancanza di esigenze di acquisizioni probatorie che potessero collegarsi con la posizione processuale di P.. Si rileva ulteriormente sul punto che, essendo intervenuta la scadenza dei termini massimi per le indagini a far tempo dall’iscrizione nel registro degli indagati di P., eventuali ulteriori acquisizioni probatorie non sarebbero utilizzabili nei confronti di questi, mentre il risultato delle intercettazioni costituisce un dato acquisito, non suscettibile di inquinamento.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, essendo fondato su eccezioni in merito che non possono costituire oggetto della presente impugnazione.

Il provvedimento impugnato sottopone a rigorosa analisi gli elementi indiziari emergenti dagli atti, con motivazione sufficiente e coerente che la stessa impugnazione proposta dinanzi a quel giudice non poneva in crisi, posto che risulta proposto riesame soltanto per contestare le esigenze cautelari.

2. Il difetto di motivazione eccepito in questa sede non può quindi che riferirsi, al di là dell’ampiezza del richiamo fattuale contenuto in ricorso, alle sole esigenze cautelari ed in particolare la mancata valutazione del decorso del tempo dalla consumazione dei fatti, ed alla modifica della situazione concreta verificatasi medio tempore, relativa alla gestione del locale notturno, posto che pacificamente l’ampiezza della motivazione non può che rapportarsi agli argomenti oggetto di confutazione nell’istanza proposta dinanzi al giudice, come ricostruibile sulla base del ricorso per riesame o delle memorie depositate nel corso di quella procedura o dalla verbalizzazione in udienza (da ultimo Sez. 1, Sentenza n. 1786 del 05/12/2003, dep. 21/01/2004, imp. Marchese, Rv. 227110). In tal senso del tutto irrilevanti quindi risultano essere le doglianze attinenti la mancata confutazione delle argomentazioni relative alla volontà manifestata da P. di richiedere l’intervento delle forze dell’ordine, dimostrativa di una mancata appartenenza al gruppo criminale, non contestata nell’imputazione.

A fronte dei rilievi che risultano svolti negli atti richiamati il provvedimento impugnato risulta aver fornito congrui elementi di segno contrario, richiamando la costanza dell’attività di spaccio svolta all’interno del locale gestito dal ricorrente; il collegamento di P. con il gruppo illecito dal quale si approvvigionava della sostanza stupefacente ceduta nel locale; l’arma rinvenuta in suo possesso; la sua qualità di dipendente da cocaina, che potrebbe agevolare la ripresa di contatti con i suoi fornitori.

Di tali elementi di fatto, dei quali non è contestata l’attualità, se non con riferimenti parziali, generici e non documentati, inidonei a superare la persistente qualità professionale rivestita da P. nella gestione di locali notturni tenuta in considerazione dal giudice del merito nello svolgimento della sua valutazione, e non riferita allo specifico locale che sarebbe stato successivamente acquistato da F., risulta che il giudice abbia analizzato la rilevanza, senza operare alcuna omissione o sottovalutazione, desumendone un giudizio di esistenza di pericolo di reiterazione, e di adeguatezza alle esigenze cautelari della misura custodiale più afflittiva, che appare congruamente e logicamente motivato e pertanto insuscettibile di censura in questa sede.

3. In particolare sull’adeguatezza, si rileva che il giudizio è fondato anche sulla qualità di dipendente da cocaina rivestita dal P., e sulla conseguente necessità di escludere la ripresa di contatti con i suoi fornitori, non solo sulle esigenze di tutela delle fonti di prova, sicchè il richiamo alla scadenza dei termini per le indagini risulta non dirimente. Per completezza si osserva che le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. a), data la valenza endoprocessuale delle indagini preliminari, e la loro limitata utilizzabilità in dibattimento, non possono ritenersi superate solo per la scadenza del termine per le indagini nei confronti dell’interessato, o per la chiusura della relativa fase, sicchè, anche sotto tale profilo, nessuna censura di illogicità o di incompletezza della motivazione risulta giustificata, censure che risultano contenere esclusivamente la sollecitazione ad un diverso giudizio di merito, inibito in questa fase.

4. Ne consegue che, dichiarata l’inammissibilità del ricorso, in applicazione dell’at. 616 c.p.p., deve giungersi alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, nonchè al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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