Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-04-2012, n. 6481

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato il 9 marzo 1995, le sorelle Ro. e To.Ca. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torino, il fratello D. deducendo che, in data (OMISSIS), era deceduta "ab intestato" la loro madre G.V. e che, in precedenza, il (OMISSIS), era già deceduto il loro padre T.G. lasciando un testamento olografo, prospettando che la madre era proprietaria in comunione con il marito della quota pari alla metà di un immobile e che, quindi, ai coeredi spettava la quota di un terzo ciascuno; sulla scorta di tanto chiedevano che venisse disposta la divisione dell’asse ereditario e, in ipotesi di non divisibilità del bene, che si procedesse alla vendita dello stesso. Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale aderiva alla proposta domanda di divisione, chiedendo, però, che le due sorelle versassero in collazione quanto ricevuto a titolo gratuito dal "de cuius". Il G.I., rilevato che non erano sorte contestazioni sul diritto alla divisione nè sull’entità delle quote e preso atto che la c.t.u. aveva ritenuto l’indivisibilità del bene, disponeva lo scioglimento della comunione secondo la quota di un terzo per ciascuno dei condividenti ed ordinava la vendita all’incanto dell’immobile, che, peraltro, non aveva luogo per mancanza di offerte. Successivamente le parti dichiaravano di aver provveduto alla divisione amichevole del denaro e dei beni mobili, mentre la controversia persisteva sull’attribuzione del bene immobile.

Con sentenza del 28 novembre 2000 il Tribunale adito rigettava la richiesta di collazione di somme ricevute in donazione e di somme già esistenti su un conto bancario ed attribuiva l’immobile alle due sorelle attrici con addebito, a loro carico ed in favore del convenuto, della somma di L. 201.334.000. Interposto appello da parte del T.D., cui resistevano le due menzionate sorelle, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 1448 del 2002, rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado. Lo stesso appellante formulava ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza e, nella costituzione delle intimate, questa Corte, con sentenza n. 24866 del 2006, accoglieva i primi tre motivi del ricorso, dichiarando l’assorbimento degli altri, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Torino. In particolare, questa Corte, con la richiamata sentenza, accoglieva la prima doglianza relativa alla denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 737 c.c. e segg., degli artt. 809, 2909 e 2935 c.c. e al dedotto vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta insussistenza dell’obbligo di collazione delle due anzidette sorelle con riguardo alle attribuzioni gratuite dalle stesse ricevute dai genitori, in epoca antecedente all’8 novembre 1970, sul presupposto che non vi era stata sperequazione tra i figli, considerato che il T.D. aveva goduto gratuitamente di un alloggio in Torino fino al decesso del padre. Con la stessa sentenza n. 24866 del 2006, questa Corte riteneva la fondatezza della seconda doglianza inerente la violazione e falsa applicazione degli artt. 1713, 1714, 1728, 2697 e 2779 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che del vizio di motivazione, e, per quanto di ragione, anche della terza doglianza, riguardante la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., congiuntamente al vizio di motivazione.

Con atto di citazione tempestivamente notificato il T. D. riassumeva il giudizio in sede di rinvio dinanzi alla Sezione Terza civile della Corte di appello di Torino, la quale, nella costituzione delle due indicate sorelle, con sentenza non definitiva n. 1703 del 2008 (depositata il 26 novembre 2008), così provvedeva: a) confermava la sentenza emessa "inter partes" dal Tribunale di Torino in data 28 novembre 2000 in punto reiezione della domanda, proposta da T.D., di collazione delle somme (di L. 10.000.000 ciascuna) ricevute da To.Ca. e To.Ro.; b) in parziale riforma della suddetta sentenza, dichiarava tenuta e condannava To.Ca. a conferire alla massa ereditaria la somma di L. 11.107.234, parti ad Euro 5736,40, con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale; c) dichiarava tenuti e condannava To.Ro. e To.Do. a conferire alla massa ereditaria rispettivamente l’importo di L. 16.000.000, pari ad Euro 8263,31 (quanto alla prima), e l’importo di L. 18.000.000, pari ad Euro 9296,22 (quanto al secondo), con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale; d) rimetteva alla sentenza definitiva la disciplina delle spese processuali, disponendo, con separata ordinanza, una nuova valutazione peritale al fine di verificare la divisibilità in natura dell’immobile caduto in successione e, comunque, allo scopo di procedere ad una nuova valutazione del medesimo. A sostegno dell’adottata decisione non definitiva la Corte territoriale riteneva che le domande di collazione delle due donazioni asseritamente disposte in favore delle figlie prima o nel novembre 1970 non potessero essere accolte sul presupposto che la qualificazione di donazioni nulle delle stesse fosse coperta dal giudicato riconducibile alla sentenza n. 1483 del 1991 della medesima Corte di appello e che, data detta nullità, le medesime non potessero essere sottoponigli a collazione e/o riduzione. Con la sentenza non definitiva in questione la Corte piemontese riteneva la collazionabilità delle ulteriori disposizioni a titolo gratuito, adottando le conseguenti statuizioni nei termini precedentemente richiamati.

Avverso la suddetta sentenza non definitiva n. 1703 del 2008 ha proposto ricorso per cassazione il T.D., basato su quattro motivi, in ordine al quale si sono costituite in questa fase entrambe le intimate, le quali, a loro volta, hanno formulato ricorso incidentale riferito ad un unico motivo. I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo all’assunto giudicato interno che si era formato nella sentenza della Corte di appello di Torino, poi cassata da questa Corte sul punto della ritenuta parificazione ad attribuzione soggetta a collazione del godimento gratuito di un immobile e conseguente "compensazione", in ordine all’affermazione con cui aveva ritenuto come attribuzioni gratuite quelle ricevute dalle due sorelle.

A corredo di tale motivo risulta formulato – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. ("ratione temporis" applicabile nella specie, trattandosi di ricorso proposto avverso sentenza pubblicata il 26 novembre 2008) – il seguente quesito di diritto: "dica la Corte di cassazione se incorra in violazione dell’art. 2909 c.c. per mancato rilievo di un giudicato il giudice del rinvio che decidendo in detta sede si discosti dagli accertamenti effettuati nella sentenza di appello e non oggetto di cassazione con rinvio". 1.1. Il motivo è inammissibile per inosservanza del requisito di cui al citato art. 366 bis c.p.c..

Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 4556 del 2009; Cass. n. 774 del 2011) l’art. 366-bis c.p.c. (come detto "ratione temporis" pacificamente applicabile nella fattispecie), nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione: nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a "dicta" giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo "iter" argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione. In particolare, il quesito di diritto risulta ritualmente formulato quando consenta di comprendere , in modo completo ed autonomo, dalla sua sola lettura quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte ha posto in risalto che il principio di diritto che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame, con la conseguenza che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione;

ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr.

Cass., S.U., n. 20360 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 24850 del 2011).

Orbene, avuto riguardo ai richiamati insegnamenti giurisprudenziali, il quesito di diritto posto a fondamento del motivo in questione è chiaramente inidoneo a svolgere la funzione prevista dall’art. 366 bis c.p.c., perchè assolutamente generico e sganciato dalla fattispecie, senza alcuna conferente indicazione – ancorchè in modo sintetico – dei presupposti riconducibili al presumibile errore ricavabile dalla sentenza impugnata in relazione alla particolare vicenda dedotta in giudizio (senza che, a tal fine, possa avere alcuna rilevanza il percorso argomentativo svolto nel motivo, poichè il quesito deve caratterizzarsi per autonomia ed autosufficienza).

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la stessa violazione di legge prospettata con il primo motivo, deducendo a corredo dello stesso il seguente quesito di diritto: "dica la Corte di cassazione se la circostanza che al presente giudizio partecipino, quali eredi di G.V., le odierne parti processuali valga ad esplicare effetti di giudicato nei loro confronti ad altra sentenza del 1991 cui non partecipò la signora G.V. (in allora in vita) ma le odierne parti processuali quali eredi di altro soggetto ( T.D.)". 2.1. Anche questo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. perchè, in base ai principi precedentemente richiamati, il quesito indicato si prospetta del tutto generico e, comunque, inidoneo a far comprendere l’eventuale errore commesso dal giudice del merito, non trascurandosi, in particolare, che in esso non risulta riportato nè il numero, nè l’oggetto nè il "decisum" della sentenza del 1991 genericamente richiamata nè viene menzionato il rapporto intercorrente tra la sentenza stessa ed il giudizio a cui è riferito il presente ricorso.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 102 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, prospettando il seguente quesito di diritto: "dica la Corte di cassazione se la sentenza, emessa nei confronti di alcuni soltanto dei litisconsorti necessari sia inutiliter data, cioè priva di effetti anche sotto il profilo di cui all’art. 2909 c.c., non soltanto nei confronti del litisconsorte pretermesso ma anche nei confronti delle parti tra le quali è stata pronunciata". 3.1. Pure questo motivo è inammissibile per mancato rispetto della prescrizione di cui al citato art. 366 bis c.p.c. con riferimento agli stessi motivi riportati in ordine al secondo motivo, attesa l’assoluta genericità del quesito indicato.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 809 c.c., dell’art. 555 c.c., comma 3 e dell’art. 737 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulando, al riguardo, il seguente quesito di diritto: "dica la Corte di cassazione se indefettibile presupposto per l’applicazione delle norme sulla collazione e/o riduzione sia l’esistenza di una donazione valida ed efficace". 4.1. Anche questo motivo è palesemente inammissibile per le stesse ragioni di cui ai motivi precedenti, risolvendosi il formulato quesito in un interrogativo tautologico con valenza generale e sganciato dalla fattispecie dedotta in giudizio, non contenendo alcun diretto riferimento alla stessa e non prospettando, in termini univoci e specifici, quale errore fosse ascrivibile alla sentenza impugnata.

5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale le controricorrenti hanno dedotto il vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ovvero in ordine alla domanda di condanna del T.D. al conferimento alla massa ereditaria della somma di L. 40.000.000. 5.1. Anche il motivo posto a base del ricorso incidentale è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., non emergendo alcuna sintesi del prospettato vizio motivazionale (non potendo sortire alcuna idonea efficacia al riguardo la manifestazione della mera volontà delle due To. di essersi viste costrette a censurare una completa omissione di pronuncia da parte della Corte territoriale: v. pag. 22 del controricorso), mancando la chiara evidenziazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione era stata carente ed anche la prospettazione delle ragioni, in termini necessariamente specifici, per le quali la supposta insufficienza motivazionale non si sarebbe potuta ritenere idonea a confortare l’adottata decisione sul punto. Peraltro, il prospettato vizio motivazionale – per stessa ammissione delle ricorrenti incidentali (v. ancora pag. 22 del controricorso) – ineriva un fatto ritenuto decisivo ma non, altresì, controverso (come, invece, imposto dalla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

6. In definitiva, alla stregua delle esposte ragioni, entrambi i ricorsi (il principale e l’incidentale) devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente compensazione integrale delle spese del presente giudizio, in virtù della reciproca soccombenza delle parti.

P.Q.M.

La Corte dichiara entrambi i ricorsi inammissibili e compensa per intero le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *