Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-10-2011) 27-10-2011, n. 38841

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di G.A. propone ricorso avverso le due ordinanze emesse in data 1 aprile e 20 aprile 2011 con le quali sono state confermati dal Tribunale di Milano i provvedimenti di custodia cautelare emessi nei suoi confronti dal gip presso il medesimo ufficio per il delitto di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Con il primo motivo si eccepisce violazione della legge penale e processuale riferimento all’art. 291 c.p.p., nonchè manifesta illogicità e mancanza di motivazione, desumibile dal testo della pronuncia impugnata.

In fatto si rileva che il Tribunale, con il provvedimento più antico, ha confermato l’ordinanza applicativa della misura emessa il 4 marzo 2011 nel corso del termine per il deposito del primo provvedimento del Tribunale del riesame.

Il Gip, su richiesta della procura, aveva emesso un nuovo provvedimento cautelare, che annullava e sostituiva il precedente, in ragione dell’accertata mancanza della richiesta dell’accusa di emissione della misura, che risultava quindi pronunciata in violazione del disposto di cui all’art. 291 cod. proc. pen..

L’autorità indicata, pur ritenendo tale vicenda frutto di mero errore materiale, ha provveduto a revocare l’ordinanza impositiva, emettendone una nuova a seguito della rituale formulazione della richiesta del P.m. Il riesame proposto avverso questa seconda ordinanza, pur a fronte delle eccezioni formulate in proposito dalla difesa, è stato respinto nel presupposto della possibilità di emettere nuovi provvedimenti aventi ad oggetto identiche contestazioni.

Si lamenta dalla difesa che non fosse stato minimamente valutato il rilievo difensivo, fondato sull’inefficacia del primo titolo di custodia, rispetto al quale il sopravvenire del nuovo provvedimento non poteva assumere effetto sanante.

2. Con il secondo motivo si lamenta erronea applicazione di legge penale in relazione alla valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, nonchè manifesta illogicità e mancanza di motivazione. Sotto il primo profilo si rileva che il giudice del riesame ha pedissequamente riportato passi dell’ordinanza del gip, senza analizzare le critiche contenute nell’impugnazione, traendo le sue convinzioni dai dati emersi dalle intercettazioni telefoniche, omettendo di ricercare elementi di riscontro che avrebbero potuto trarsi dall’escussione delle parti offese, dall’accertamento di illegittimità delle somme pretese dagli indagati, dalla ricerca delle fatture che, secondo l’ipotesi di accusa servirebbero a fornire veste legale ai pagamenti effettuati in conseguenza delle richieste estorsive.

Nel provvedimento del riesame non risulta argomentato alcunchè riguardo a quanto osservato nella memoria difensiva depositata il 20 aprile, con riferimento al senso da attribuire ad una telefonata intercorsa tra gli indagati C. e L.R. dalla quale si desume che G. dovesse essere remunerato per il prezzo della benzina, circostanza ritenuta incompatibile con la sua qualifica di concorrente del reato contestato.

3. Con il terzo motivo si lamenta inosservanza erronea applicazione della legge penale con riferimento all’aggravante di cui al D.Lgs. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, valorizzandosi in senso contrario nel provvedimento del 20 aprile l’unicità dell’episodio contestato, a fronte del quale si è ritenuto di desumere la presenza di relazioni di ampia portata del ricorrente con gli uomini più vicini ai F., non percependo la contraddizione insanabile desumibile tra l’unicità dei rapporti e la ritenuta consistenza degli stessi.

Inoltre nel corso dell’udienza camerale del 20 aprile la difesa ha prodotto una denunzia presentata dal ricorrente per estorsione e truffa, incompatibile con il suo ruolo di soggetto dedito di intimidazioni di tipo mafioso, poichè nella circostanza evocata egli risulta essersi rivolto, per risolvere le sue controversie, alle forze dell’ordine, invece che i suoi pretesi sodali, del tutto contraddittoriamente. Si rileva che su tale argomento non risulta offerta alcuna argomentazione dal Tribunale adito.

4. Da ultimo con il quarto motivo si lamenta erronea applicazione di legge penale, in relazione all’applicazione dell’art. 274 c.p.p., lett. a) e c) ed illogicità e mancanza di motivazione. Sotto il primo profilo si osserva che, ad oltre tre anni dall’episodio contestato la procura non ha ancora sentito le persone offese, circostanza che non può che risolversi in danno dell’indagato, poichè il pericolo di inquinamento probatorio è conseguenza della lacuna accusatoria.

Analogamente, la condotta di vita e la circostanza di fatto che si tratti di unico episodio ascritto a G., a fronte del decorso di tre anni dai fatti in contestazione, non permette di ravvisare l’attualità del pericolo di reiterazione.

L’interessato personalmente ha depositato una memoria illustrativa dei motivi di ricorso proposti, riguardo la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del D.Lgs. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, richiamando oltre che l’assenza di prove, la mancata analisi degli argomenti sottoposti al giudice di merito, costituiti dal costante rivolgersi alle forze dell’ordine in casi di torti subiti nell’arco temporale di attività della pretesa compagine associativa, non confutati nel provvedimento impugnato.

Si richiama la propria condizione personale e familiare di normalità, nonchè il tenore dell’ulteriore telefonata, non considerata dai giudici di merito, nel corso della quale i coindagati mostra di avere difficoltà a formare fatture false, che contraddirebbe proprio il ruolo attribuito ad esso ricorrente su tale aspetto.

Si lamenta inoltre la decisione del tribunale del riesame sulla prima ordinanza impositiva che aveva confermato il provvedimento in realtà revocato dal giudice emittente, sollecitando in subordine una valutazione di assenza di pericolosità in concreto, che permetta nella specie di applicare la misura più gradata degli arresti domiciliari.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Deve preliminarmente osservarsi che, seppur formalmente l’impugnazione riguardi due provvedimenti del Tribunale del riesame, emessi a seguito della particolare situazione processuale venutasi a creare a fronte della duplicazione dell’ordinanza coercitiva, per motivi di ordine procedurale, non vi è dubbio che l’interesse all’impugnazione non possa che essere circoscritto al secondo ricorso, posto che l’annullamento del primo provvedimento non avrebbe alcun efficacia concreta, essendo legittimo il mantenimento della misura esclusivamente sulla base della seconda ordinanza impositiva, nonchè del correlativo provvedimento confermativo del riesame.

Contrariamente a quanto esposto dall’interessato, il secondo provvedimento è del tutto autonomo rispetto al primo, e costituisce valido titolo di sottoposizione a misura, e, pur non avendo effetto sanante della pregressa carcerazione, legittima la sottoposizione alla misura restrittiva da quel momento in poi. Ne consegue che in questa sede non possa che limitarsi l’analisi al secondo provvedimento, essendo l’impugnazione del primo, ormai privo di efficacia, inammissibile per carenza di interesse, poichè risultando del tutto acquisito che tale condizione di legittimità dell’impugnazione non possa presumersi, ma debba essere manifestata espressamente dall’interessato (da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 25859 del 18/06/2010, dep.06/07/2010, imp. Qoshku, Rv. 247780). Nè l’interesse può ritenersi presente individuando nel primo provvedimento il presupposto necessario del secondo, attesa la chiara autonomia tra i provvedimenti, e la possibilità di emettere la nuova misura quando la prima sia stata annullata o dichiarata inefficace, per motivi esclusivamente procedurali (Sez. U, Sentenza n. 11 del 01/07/1992, dep. 10/09/1992, imp. Grazioso, Rv. 191182, nonchè più recentemente Sez. 6, Sentenza n. 38782 del 02/07/2008, dep. 14/10/2008, imp. Makunia, Rv. 241404).

2. Il significato attribuito dalle intercettazioni valorizzate nel provvedimento impositivo e nell’ordinanza impugnata non risulta posto in dubbio dallo stesso interessato, e, contrariamente a quanto esposto in ricorso, la loro valenza di indizio non deve essere supportata dalla presenza di riscontri, costituendo gli esiti delle intercettazioni elemento suscettibile di autonoma valutazione (Sez. 5, Sentenza n. 603 del 14/10/2003, dep. 13/01/2004, imp. Grande Aracri, Rv. 227815), cui non si applicano le prescrizioni di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, letteralmente riconducibili a situazioni giuridiche differenti; anche sotto tale profilo il relativo motivo di ricorso risulta inammissibile.

I rilievi riportati nella parte narrativa con i quali si contesta la completezza della motivazione riguardo all’ipotesi di concorso nel delitto di estorsione prescinde dalla valutazione dell’imputazione nei termini riferiti e si fonda sulla mancanza di organicità di G. alla compagine costituita per fini illeciti, dimenticando che l’imputazione a suo carico si limita all’episodio dell’estorsione commessa in forma concorsuale, rispetto alla quale le allegazioni relative alle modalità di retribuzione della sua attività, non colgono nel segno, non smentendo la sua compartecipazione ai fatti, che per l’appunto viene ricondotta a quella dei correi, che ritenevano di doverlo quantomeno tenere indenne dalle spese affrontate, con ciò confermando la riconducibilità astratta della condotta contestatagli allo schema del concorso nel reato. E’ del tutto pacifico che per aversi completezza della motivazione sulla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza non si imponga la confutazione di tutte le ipotetiche obiezioni difensive, anche ove queste siano parcellizzate e limitate ad alcuni degli elementi valorizzati come inizianti, dovendo questa essere ricercata nella coerenza interna del provvedimento e nell’assenza di contraddizioni con dirimenti atti processuali di segno contrario; poichè l’obiezione richiamata, relativa alla corresponsione delle spese per lo svolgimento dell’attività non è idonea a scardinare gli elementi indiziari relativi alla consumazione da parte di G. dell’azione illecita in forma concorsuale, non può desumersi per la mancata confutazione della circostanza il difetto motivazionale rilevabile in sede di legittimità. 3. Contrariamente a quanto esposto nel ricorso, e successivamente dedotto dall’interessato, nell’ordinanza impositiva che deve occuparsi della contestazione del singolo episodio estorsivo oggetto della misura, sono chiaramente ed esaurientemente evidenziate le modalità di esplicazione dell’attività che si attribuisce al ricorrente, in coordinamento con più persone, con le quali G. tiene contatti diretti, le cui modalità di condotta rimandano ad un’organizzazione illecita di tipo mafioso, di cui lo stesso G. risulta avere piena contezza nelle sue conversazioni, tanto da conoscere le modalità operative, la capacità intimidatoria, le modalità di convocazione della persona da sottoporre a pressione, e da manifestare la disponibilità a fornire una copertura amministrativa dell’incasso illecito; tali elementi, allo stato indiziario richiesto in questa fase, danno conto di una compiuta motivazione circa la conoscenza da parte dell’interessato della modalità mafiosa dell’azione ed escludono la fondatezza del rilievo di insufficienza della motivazione.

Nè la rilevata completezza può essere posta in dubbio in ragione del mancato riferimento da parte del Tribunale alle deduzioni sulla richiesta di intervento delle forze dell’ordine in altre situazioni nelle quali aveva subito dei torti, circostanza di fatto che a fronte degli elementi valorizzati non è idonea da sola a porre in crisi la finalità dimostrativa, a livello rilevante in questa fase, riguardando l’imputazione specifici episodi e non la partecipazione all’associazione illecita, e riferendosi gli atti richiamati a momenti temporali ben distinti rispetto a quelli nell’arco dei quali si assume essersi sviluppata la condotta illecita oggetto del presente procedimento.

4. La ritenuta sussistenza di elementi indiziari riguardo alla contestazione dell’aggravante richiamata consentono di superare legalmente le valutazioni di pericolosità, che possono eslcudersi solo in presenza di elementi positivi che non risultano essere stati allegati dinanzi al giudice di merito, mentre la valutazione di adeguatezza della misura è necessitata.

5. Ne consegue che debba giungersi al rigetto dell’istanza proposta, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, in applicazione dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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