Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-04-2012, n. 6479 Promessa di fatto del terzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 24 aprile 2002 il sig. D.V. U. proponeva opposizione all’esecuzione minacciata in suo danno dalla signora G.R. con precetto notificatogli il 19 aprile 2002, con cui gli si intimava di mettere nella sua disponibilità l’appartamento di (OMISSIS), fondato su verbale di conciliazione redatto il 2 giugno 1995 dinanzi al giudice istruttore del Tribunale di Salerno nella causa iscritta al N.R.G. 1093/95, deducendo l’insussistenza della natura di titolo esecutivo del suddetto verbale di conciliazione nella parte in cui si prevedeva che egli si assumesse l’obbligo di fornire l’alloggio in questione compatibilmente con il rapporto di locazione con l’ente proprietario, nonchè l’intervenuta rinuncia, da parte della stessa G., ai diritti a lei derivanti dal predetto verbale (per aver ella posto fine alla convivenza con esso opponente dopo quasi tre anni dalla sottoscrizione del medesimo verbale, restituendo spontaneamente le chiavi dell’immobile il 6 marzo 1997). Nella costituzione dell’opposta e con l’autorizzazione alla chiamata in causa di D. V.V., il Tribunale adito, con sentenza n. 51 del 2004, riconosceva la fondatezza dell’opposizione e, nel contempo, ravvisava la sussistenza dell’obbligo, per il D.V.U., di indennizzare l’altro contraente ex art. 1381 c.c., con il conseguente accoglimento della riconvenzionale, accertando il diritto dell’opposta G. all’indennizzo per l’inadempimento all’obbligo di controparte di assicurare un alloggio vita natural durante, rigettando, formalmente, la riconvenzionaie nei riguardi di D.V.V. e compensando tra le parti le spese di lite.

Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il D.V. U. e, nella resistenza dell’appellata G.R. (che formulava, a sua volta, appello incidentale), previa integrazione del contraddittorio nei confronti di D.V. V., la Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 167 del 2009, previa dichiarazione della nullità della gravata sentenza in ordine a qualunque statuizione nei rapporti tra le parti originarie e D.V.V., rigettava sia l’appello principale che quello incidentale, confermando l’impugnata sentenza (salvo che per la statuizione relativa alla ritenuta nullità) e dichiarando interamente compensate le spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale rilevava, innanzitutto, l’inammissibilità del motivo relativo alla nullità del verbale di conciliazione, siccome nuovo e riteneva, quindi, l’infondatezza di tutti i motivi proposti con il gravame principale. In particolare, con riferimento alla prima doglianza, osservava che la declaratoria di inadempimento, da parte di D.V.U., di un obbligo di assicurare un alloggio all’appellata vita natural durante non configurava un"aliud" rispetto alle domande spiegate dalla G. in via riconvenzionale, bensì un "minus", evidenziando che la prospettazione, quale "causa petendi", dell’art. 1381 c.c., poteva ricavarsi dal complesso delle difese dalla medesima formulate.

Inoltre, non poteva considerarsi meritevole di pregio nemmeno il motivo relativo alla dedotta intervenuta rinuncia al diritto, poichè il semplice rilascio volontario del bene non si sarebbe potuto considerare un comportamento univoco a tal fine.

Avverso la menzionata sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il D.V.U., basato su due motivi, in ordine al quale l’intimata non ha svolto attività in questa sede.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 1421 c.c., formulando, in proposito, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. ("ratione temporis" applicabile nella specie risultando la sentenza impugnata pubblicata il 17 febbraio 2009), il seguente quesito di diritto: "se il giudice debba esercitare il suo potere-dovere di rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, la nullità, per vizio di forma, di un contratto di cui si chieda, come nel caso in esame, l’applicazione e l’esecuzione e sia stato, quindi, posto a base della domanda". 1.1. Il motivo è inammissibile per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (come detto "ratione temporis" applicabile nella fattispecie). Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass., S.U., n. 20360 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 24850 del 2011) il quesito di diritto che, ai sensi del citato art. 366 bis c.p.c., la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico- giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame, con la conseguenza che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione;

ovvero sia formulato in modo implicito, si da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico.

Nel caso in questione il quesito – formulato nei riportati termini – risulta strutturato in termini assolutamente generici poichè si prospetta sganciato dalla fattispecie concreta, non ponendosi in esso riferimento nè all’oggetto della domanda di esecuzione del contratto nè al motivo in base al quale l’atto sarebbe stato nullo nè ai presupposti specifici in base ai quali il giudice avrebbe potuto rilevare d’ufficio la supposta nullità. 2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Risulta formulato al riguardo il seguente quesito di diritto: "se sussista il vizio di ultra od extrapetizione e, quindi, la violazione dell’art. 112 c.p.c., nel caso in cui, proposta una domanda di risarcimento danni, come nel caso di specie, per inadempimento ad un obbligo contrattualmente assunto, intervenga una decisione che condanni al pagamento dell’indennizzo previsto dall’art. 1381 c.c. per il rifiuto del terzo di obbligarsi o di compiere il fatto promesso". 2.1. Anche questo motivo si prospetta inammissibile.

Rileva il collegio, innanzitutto, che, sempre con riferimento all’art. 366 bis c.p.c., ed avuto riguardo al dedotto vizio motivazionale, manca del tutto – in apposito quadro riepilogativo – la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale si è assunta la contraddittorietà della motivazione, così come difetta, in relazione alla prospettata insufficienza motivazionale, l’apposita sintesi delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza sarebbe stata inidonea a giustificare la decisione.

Quanto alla denunciata violazione di legge, si osserva che – secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte (v.

Cass. n. 9707 del 2003; Cass. n. 12952 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 26598 del 2009) l’assunto vizio di ultrapetizione od extrapetizione della sentenza impugnata può essere fatto valere in sede di legittimità soltanto riconducendolo al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (in relazione all’art. 112 c.p.c.), e non sotto il profilo della violazione di legge (come verificatosi nella fattispecie) e/o sotto l’aspetto del vizio di motivazione. In ogni caso il motivo – per come prospettato per questa parte – appare infondato dal momento che il giudice di appello non è incorso nella supposta violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo, nell’esercizio del suo potere autonomo di interpretazione della domanda e sulla base dei fatti concretamente allegati, ricavato la effettività della prospettazione, quale titolo della domanda proposta dalla G., dell’applicabilità dell’art. 1381 c.c., che era certamente desumibile dalla parte in cui le difese approntate dalla suddetta parte avevano, comunque, posto riferimento all’assunzione dell’obbligo di indennizzo a carico dell’odierno ricorrente (ricollegabile alla citata norma), pur in presenza di una situazione di detenzione di terzi che si assumevano consapevoli dell’intervenuta conciliazione.

3. In definitiva, per le ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, senza che debba farsi luogo ad alcuna pronuncia sulle spese, non essendosi l’intimata costituita in questa fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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