Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-04-2012, n. 6477

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notif. in data 9.2.1998 la snc Assicurazioni di Uggeri G. e Tosoni F. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Brescia, la Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a. deducendo che era stato stipulato tra le parti un contratto di agenzia assicurativa a tempo indeterminato con decorrenza dal marzo del 1993, avente ad oggetto per l’agente la raccolta di affari in tutti i rami gestisti dalla compagna preponente; che, per quanto riguardava il ramo vita, le proposte relative agli affari trattati dovevano essere sottoposte alla Compagnia assicuratrice, cui era riservato l’insindacabile giudizio sulla accettazione dei relativi rischi, oltre all’emissione dei relativi contratti. Aggiungeva la società esponente che, alla fine dell’anno 1995 aveva iniziato un rapporto di collaborazione esterna con un procacciatore, tale M.C. di (OMISSIS),- senza però formalizzare un rapporto di subagenzia – il quale si era impegnato a ricercare e proporre nuovi clienti, a garantire il pagamento delle quietanze e a restituire le provvigioni percepite all’agenzia in caso di storno di polizze per mancato pagamento. Il predetto sig. M. si era dimostrato all’inizio un abile procacciatore d’affari riuscendo a far incrementare la clientela e a stipulare molte polizze soprattutto del ramo vita. Quindi, in data 29.4.96 l’Unipol inopinatamente comunicava il proprio recesso dal contratto di agenzia, per giusta causa, in relazione alla scoperta della falsità delle menzionate polizze vita, ciò che avrebbe irrimediabilmente leso la fiducia della stessa Unipol con il suo agente . Tanto premesso e ritenuto illegittimo l’intimato recesso ad nutum, chiedeva l’attrice la condanna della convenuta Unipol a corrisponderle tutte le indennità ad essa spettanti in base agli artt. 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 dell’accordo nazionale per gli agenti del 1994, nonchè l’indennità di preavviso e l’ulteriore somma di cui all’art. 12 bis dello stesso accordo, per un importo complessivo di L. 283.049.883. Si costituiva in giudizio la Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a. chiedendo il rigetto della domanda attrice e spiegando domanda riconvenzionale per L. 4.317.738, quale credito residuale nei riguardi dell’agenzia.

Espletata l’istruzione della causa, il tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 482/2002, rigettava la domanda attrice relativamente alle indennità di cui agli artt. 12 bis, 13 ( preavviso), 25 e 26 dell’accordo collettivo nazionale; con separata ordinanza 9.2.2002 la causa veniva rimessa sul ruolo per l’ulteriore corso in relazione alle residue domande proposte da entrambe le parti. Il primo giudice riconosceva la giusta causa del recesso de preponente in relazione all’accertata falsità di ben 142 contratti di assicurazione sulla vita stipulati dal procacciatore M. nel giro di soli 4 mesi ed al conseguente mancato controllo della società attrice sull’operato del suo procacciatore, tale da integrare un’ipotesi di culpa in vigilando.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello la snc Assicurazioni di Uggeri G. e Tosoni F. riformulando le precedenti difese, insistendo in particolare sul fatto che non era ipotizzabile a suo carico alcuna culpa in vigilando e tanto meno una colpa di tale gravita da far venir meno la fiducia nel suo operato , in modo da legittimare l’immediata cessazione del rapporto di agenzia, tanto più che essa appellante era stata essa stessa vittima del comportamento truffaldino posto in essere dal suo procacciatore. Si costituiva la Unipol spa chiedendo l’inammissibilità e comunque il rigetto dell’impugnazione.

L’adita Corte d’Appello di Brescia con sentenza n. 766/06 depos. data 25.8.06 rigettava l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. La corte distrettuale ribadiva la responsabilità della società appellante che risiedeva nell’avere omesso la doverosa vigilanza sull’operato del sub-agente M., facendo venir meno l’indispensabile rapporto di fiducia; essa avrebbe dovuto insospettirsi sull’inusitato abnorme incremento dell’acquisizione delle nuove polizze vita e verificare doverosamente se quanto riferito dal M. corrispondesse al vero.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la snc Assicurazioni di Uggeri G. e Tosoni F. sulla base di 2 motivi, illustrate da memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso l’Unipol Gruppo Finanziario spa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso l’esponente denunzia la violazione ed erronea applicazione di norme di diritto ( artt. 1175, 1176, 2375, 1710, 1746, 1750 e 2119 c.c.). Censura la sentenza impugnata per avere la Corte ritenuto rientrare nell’obbligo di diligenza professionale dell’agente assicurativo, quello di individuare gli artifizi e i raggiri, posti in essere dal suo procacciatore M. ed integranti gli estremi della truffa in danno dell’impresa di assicurazioni. Sottolinea che essa società era rimasta vittima essa medesima di tale comportamento delittuoso e che proprio per questo non aveva rilievo il richiamo ad un specifico obbligo di vigilanza.

In sede di formulazione del quesito ex art. 366 bis c.p.c. la ricorrente ha così puntualizzato le proprie tesi: a) se ne contratto di agenzia, quando è in questione il corretto adempimento delle obbligazioni dell’agente, rileva il criterio della diligenza richiesta dalla natura dell’attività esercitata; b) se, ai fini della legittimità di un recesso per giusta causa dell’impresa mandante, rilevano anche le connotazioni soggettive dell’eventuale inadempimento dell’agente; c) se in caso di riferibilità all’agente anche dell’attività del subagente, nel quadro dei rapporti del primo con l’impresa mandante, sia o meno sufficiente, ai fini del recesso per giusta causa di quest’ultimo, a rendere irrilevanti, sotto il profilo delle necessarie valutazioni soggettive, le ragioni specifiche degli inadempimenti che si collegano alla collaborazione prestata all’agente dal subagente; d) se in caso di truffa da parte del subagente in danno dell’agente tale fattore che ha inciso negativamente sull’organizzazione dell’agente possa essere imputato a fatto e colpa dell’agente stesso, del tutto estraneo alla truffa,- da cui anzi ha ricevuto solo conseguenze negative; e) se il dovere di diligenza dell’agente nell’esecuzione del suo incarico si estenda sino a ricomprendere lo smascherare le truffe evitando che siano portate a termine; f) se nell’esecuzione del contratto di agenzia possa definirsi culpa in vigilando dell’agente l’essere lo stesso rimasto vittima di una truffa da parte del subagente, in considerazione che la truffa ha toccato anche gli interessi della preponente.

Con il secondo motivo l’esponente eccepisce il vizio di motivazione e censura la sentenza laddove ritiene che non era richiesto nè era necessario un controllo più approfondito sull’operato del procacciatore, che andasse al di là di quello ordinario ritenuto normalmente sufficiente per scoprire il comportamento truffaldino di quest’ultimo. Indicava il fatto controverso ex art. 366 bis c.p.c. "… dall’essere stata la società ricorrente truffata dal subagente e dalla rilevanza che l’artificio ed il raggiro posto in essere dal subagente infedele ha avuto nella percezione della realtà della ricorrente, che si è sentita così sicura che il subagente agiva correttamente, da omettere un controllo approfondito che andasse al di là di quello ordinario ritenuto normalmente sufficiente".

Ritiene il Collegio che le predette doglianze – congiuntamente esaminate stante la loro stretta connessione – sono infondate e che le denunciate violazioni di legge ed i dedotti vizi motivazionali, in realtà si risolvono in mere questioni di fatto, tendenti ad una rivalutazione del merito, come tali insindacabili in questo giudizio di legittimità.

Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (Cass. n. 584 del 16/01/2004; Cass. n. 14279 del 25/09/2003; Cass. n. 1936 del 29.9.2004; Cass. 6975/2001; Cass. n. 4916/200; Cass. 17486/2002; Cass. n. 584 del 16/01/2004). Quanto alla prospettata questione di stabilire se lo scioglimento del contratto di agenzia sia avvenuto o meno per un fatto imputabile al preponente o all’agente, tale da impedire la possibilità di prosecuzione anche temporanea del rapporto, questa S.C. ha ritenuto che " …può essere utilizzato per analogia il concetto di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., previsto per il lavoro subordinato, e il giudizio sulla sussistenza di una giusta causa di recesso costituisce valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità ove correttamente ed adeguatamente motivata." (Cass. n. 3595 del 14/02/2011; Cass. n. 3869 del 17/02/2011). Ciò posto, rileva il Collegio che, nella fattispecie in esame, la Corte territoriale ha diligentemente esaminato e diffusamente analizzato tutte le circostanze di fatto poste a base del suo convincimento, sottolineando in modo particolare l’omessa necessaria sorveglianza da parte dell’Agenzia assicurativa dell’operato del subagente M., tanto più che il comportamento dello stesso dava adito a gravi sospetti, atteso l’inusitato ed abnorme incremento delle polizze vita (ben 142 contratti di assicurazione in appena 4 mesi), aventi in comune caratteristiche come la modestia della somma assicurata, il frazionamento dei premi in rate mensili, così da consentire il versamento di una somma inizialmente inferiore all’ammontare della provvigione. Peraltro il fatto che essa ricorrente era rimasta danneggiata dal comportamento delittuoso del suo procacciatore non escludeva nè attenuava la sua responsabilità verso la società preponente, essendo innegabile che la medesima ricorrente avesse colpevolmente facilitato l’azione truffaldina del collaboratore infedele con la propria negligente condotta e con l’omissione del doveroso controllo sulla responsabilità di un soggetto che si era assunta di inserire nel rapporto fiduciario con la compagnia, delegandogli l’iniziativa della formazione delle proposte che la stessa agenzia trasmetteva poi all’Unipol facendole proprie, nell’esercizio del ruolo negoziale che ad essa – e non al collaboratore – faceva capo nel rapporto di agenzia, con ogni conseguenza in ordine alla correlata responsabilità. In definitiva il ragionamento della Corte – contrariamente a quanto denunciato dall’esponente – appare lineare, perfettamente logico e pienamente coerente con le emergenze processuali , per cui non può non che essere condiviso.

In conclusione il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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