Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-10-2011) 27-10-2011, n. 38896 Correzione di errori materiali Dispositivo Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Napoli ha rigettato la richiesta del procuratore generale di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza della stessa corte d’appello, emessa in data 26 ottobre 2009 nei confronti di Z.U.. La corte napoletana ha ritenuto che la richiesta non poteva essere accolta ostandovi il tenore letterale del dispositivo letto in udienza e di quello scritto in calce alla motivazione della sentenza, che indicano concordemente per lo Z. una rideterminazione di pena nella misura di anni quattro, mesi uno di reclusione ed Euro 18.000 di multa; la richiesta avrebbe dovuto essere fatta valere con l’esercizio dei normali mezzi di impugnazione.

2.Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli; fa presente che il rigore della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel caso di sentenza dibattimentale, il dispositivo prevale sulla motivazione, è ormai dalla più recente giurisprudenza temperato nei casi in cui la difformità tra dispositivo e motivazione dipende da un evidente errore materiale rinvenibile "ictu oculi" dall’esame globale del provvedimento. Nel caso in esame la motivazione deve prevalere sul dispositivo perchè ricostruisce chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice di appello per determinare la pena, con la specificazione della pena base e degli aumenti di pena per la continuazione, sicchè non si giustifica la minor pena indicata in dispositivo. Chiede che l’errore venga rimosso e la sentenza corretta nel senso della determinazione della pena in anni quattro e mesi quattro di reclusione e Euro 18.000 di multa, anzichè in quella di anni quattro, mesi uno di reclusione ed Euro 18.000 di multa.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non può essere accolto perchè, come si dirà, la differenza denunciata non è imputabile ad un mero errore materiale, ma la questione offre lo spunto per alcune riflessioni sul tema dell’errore materiate e sui mezzi per farlo valere.

1.1.Il procedimento di correzione di errore materiale delle pronunce giudiziali costituisce un metodo semplice, rapido ed efficace per mezzo del quale vengono rettificate le "sviste" in cui è incorso il giudicante nel processo redazionale; esso, codificato all’interno del codice di rito penale all’art. 130, trova applicazione, secondo l’orientamento della giurisprudenza, qualora l’errore emendando consista in un mero "lapsus calami", ossia in una momentanea disattenzione del redattore che diviene, in maniera lampante, intellegibile al lettore. Si può avere una vasta gamma di errori, quali, a titolo di esempio, errori di calcolo oppure l’omessa indicazione di una delle parti del giudizio o ancora l’erronea indicazione dei dati anagrafici delle parti in causa o ancora l’erronea trascrizione delle conclusioni formulate dalle stesse in occasione dell’ultima udienza. Tuttavia, come generalmente riconosciuto, perchè si possa procedere alla correzione con il metodo indicato dal codice, occorre che la svista sia rilevabile ictu oculi, cioè che l’errore incida negativamente sull’iter logico giuridico che ha condotto ad esso. In specie, per quanto concerne gli errori di calcolo, è convincimento oramai condiviso che essi debbano avere un carattere di assoluta materialità (es. 2+2=5), in quanto non si potrebbe dare luogo al procedimento di correzione nell’ipotesi in cui, per rilevarlo, occorrerebbe ricorrere ad un procedimento tecnico.

1.3 La procedura attraverso la quale l’errore materiale può essere emendato è espressamente disciplinata dal codice di rito penale che all’art. 130 stabilisce che può provvedervi, d’ufficio o su richiesta delle parti, il giudice che ha emesso il provvedimento, salvo il caso in cui il provvedimento stesso sia impugnato nel qual caso provvede il giudice dell’impugnazione. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito al riguardo che è affetto da nullità assoluta, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, per difetto di competenza funzionale, l’atto di correzione di errore materiale adottato dal giudice che ha emesso il provvedimento erroneo che sia stato impugnato, spettando in tal caso la competenza a provvedere al giudice dell’impugnazione (sez. 2^ 12.6.2009 n.24551 rv 244245).

Tanto consente di rilevare che tra la procedura di cui all’art. 130 c.p.p., e l’impugnazione non vi è differenza di presupposti, nei limiti in cui venga effettivamente dedotto un errore materiale, ma solo un problema di competenza al fine di evitare provvedimenti contrastanti, risolto, anche per ragioni di economia processuale, nel senso della preferenza per il giudice dell’impugnazione, ove la impugnazione sia stata proposta da una delle parti.

1.4 Come correttamente ha ricordato il Procuratore ricorrente, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, l’eventuale divergenza tra dispositivo e motivazione della sentenza non può essere sempre risolta ricorrendo al tradizionale criterio della prevalenza del primo sulla seconda, dovendosi tenere presente che la motivazione conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni per cui il giudice è pervenuto alla decisione e pertanto ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (sez. 4^ 18.9.2008 n.40796 rv. 241472; sez. 4^ 24.6.2008 n.27967 rv 240379; sez. 1^ 10.7.2007 n.34986 rv 237611).

Con particolare riferimento al caso in cui la difformità tra motivazione e dispositivo attiene alla determinazione della pena, si è precisato che nel caso in cui tale difformità dipende da un errore materiale relativo alla pena indicata in dispositivo, palesemente rilevabile dall’esame della motivazione in cui si ricostruisce chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice per determinare la pena, la motivazione prevale sul dispositivo, giustificandosi l’annullamento senza rinvio della sentenza, limitatamente alla determinazione della pena, che può anche essere rideterminata da questa Corte di Cassazione in base al disposto dell’art. 619 c.p.p., comma 2, (sez. 6^ 1.10.2003 n. 37392 rv 226915; sez. 3^ 25.9.2007 n. 38269 rv 237828; sez. 6^ 8.2.2011 n. 8916 rv 249654).

2. Venendo al caso di specie, la Corte di appello ha accolto l’appello del Pubblico Ministero sulla impossibilità di ritenere le attenuanti generiche prevalenti rispetto alla recidiva reiterata; in motivazione ha rideterminato la pena inflitta in quattro anni e sei mesi di reclusione (oltre la multa), considerando adeguata la pena base di sei anni, da ridursi per il rito abbreviato e da aumentarsi di sei mesi per la continuazione; nel dispositivo ha indicato però la pena di anni quattro e mesi uno (oltre la multa). E’ evidente la discrasia con la motivazione. Ma è altresì evidente che la determinazione effettuata in motivazione non è tanto il risultato di un errato calcolo matematico, quanto piuttosto di un errato criterio giuridico, atteso che la diminuente per il rito abbreviato avrebbe dovuto essere calcolata anche sulla porzione di pena determinata per la continuazione, portando la pena finale ad anni quattro e mesi quattro. E questa, infatti, è la pena cui fa riferimento il pubblico ministero ricorrente, la cui richiesta non può però essere accolta non trattandosi, come già si è detto, di un mero errore di calcolo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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