Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-04-2012, n. 6470 Impugnazioni incidentali Impugnazioni tardive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.M.C., promissaria acquirente di un immobile sito in Rosolini, agiva ex art. 2932 c.c. nei confronti di R. G. e C., promittenti venditrici, chiedendo l’emissione di sentenza costitutiva del trasferimento di proprietà, previa riduzione del prezzo di vendita, atteso che una parte del bene promesso, costituita dal vano cantinato, era risultata di proprietà esclusiva di terzi. Domandava, altresì, la condanna delle convenute al risarcimento dei danni.

Nel resistere in giudizio, queste ultime proponevano domanda riconvenzionale volta ad accertare la legittimità del loro recesso dal contratto preliminare e il diritto a trattenere la caparra versata.

In subordine, domandavano la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attrice.

Il Tribunale di Siracusa rigettava la domanda proposta dalla D. M. ed accoglieva la riconvenzionale dichiarando legittimo il recesso esercitato dalle R..

Sull’impugnazione principale di D.M.C. e incidentale di R.G. e C., la Corte d’appello di Catania dichiarava la risoluzione del contratto, condannava la D.M. al rilascio dell’immobile promesso, rigettava ogni altra domanda proposta dalle parti e compensava integralmente le spese.

Premesso che ai sensi dell’art. 840 c.c. la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, salvo risulti altrimenti dal titolo, la Corte territoriale osservava che, nella specie, era pacifico tra le parti – e per di più confermato dagli accertamenti tecnici svolti in primo grado – che il sottosuolo dell’immobile promesso in vendita costituiva il locale cisterna seminterrato di altro fondo, appartenente a terzi, di talchè, non risultando dal contratto preliminare che oggetto dell’accordo fosse soltanto la proprietà superficiaria, doveva ritenersi che le R. avessero promesso la vendita di un bene parzialmente altrui. Conseguentemente, nessun inadempimento poteva imputarsi alla D.M., per cui erano senz’altro infondate le domande di recesso o in subordine di risoluzione proposte dalle appellate.

Quanto alla domanda principale, la Corte etnea rilevava che alla fattispecie non era applicabile la giurisprudenza di legittimità secondo cui vizi o difformità del bene rispetto a quanto promesso non ostacolavano l’emissione di sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., ove incidenti non sull’identità ma solo sul valore economico del bene, atteso che nella specie quest’ultimo era oggettivamente diverso da quello negoziato nel contratto preliminare.

Concludeva che, così inquadrata la vicenda, l’interesse di entrambe le parti alla conclusione del contratto definitivo era oggettivamente venuto meno, avendo entrambe mostrato, sia pure per ragioni diverse, di non volerlo stipulare alle condizioni originariamente pattuite.

Pertanto, se ne doveva dichiarare la risoluzione, con condanna della D.M. a rilasciare l’immobile. Infine, rilevava che quest’ultima non avesse provato alcun danno, sicchè anche la domanda risarcitoria doveva essere respinta.

Per la cassazione di detta sentenza ricorre D.M.C., formulando quattro motivi d’impugnazione.

Resistono con controricorso R.G. e C., che propongono altresì ricorso incidentale affidato a cinque motivi.

La ricorrente ha proposto, altresì, controricorso al ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. – Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c., nonchè l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, osservando che tra il bene promesso, così come descritto nel contratto preliminare, e quello suscettibile di trasferimento non vi è alcuna difformità sostanziale, ma solo una differenza incidente sul valore intrinseco e su secondarie modalità di godimento. Tali ridotte possibilità, relative al rafforzamento delle fondazioni a fini edificatori, all’utilizzo del sottosuolo e al carico del solaio per l’allocazione delle apparecchiature necessarie per lo svolgimento dell’attività professionale svolta dall’attrice (che difatti si era risolta ad acquistare l’immobile in questione per adibirlo ad ambulatorio medico), aveva apprezzabilmente ridotto il valore commerciale del bene, il quale rimaneva, tuttavia, affatto integro quanto a consistenza piani – volumetrica e funzione economica, in conformità a quanto previsto nel contratto preliminare.

2. – Il secondo motivo denuncia il vizio di extrapetizione della sentenza (art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), nonchè l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione (art. 360 c.p.c., n. 3). Assume la ricorrente che la Corte d’appello non ha correttamente tenuto conto del contenuto sostanziale delle contrapposte pretese, atteso che la domanda di riduzione del prezzo è sempre funzionalmente e teleologicamente connessa a quella di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare; che la sentenza impugnata ha adottato una terza soluzione, pronunciando una non richiesta risoluzione per contrario consenso delle parti; e che lo scioglimento del contratto per impossibilità di esecuzione presuppone necessariamente la concomitante proposizione di contrapposte domande di risoluzione, ciascuna basata sull’inadempimento della parte avversa, ed entrambe infondate per difetto di colpa. Nella specie, la Corte territoriale, pur avendo accertato che il comportamento della D.M. era, al contrario di quello delle R., esente da qualsivoglia addebito, ha pronunciato la risoluzione incolpevole del contratto.

3. – Con il terzo motivo si deduce il vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) e l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), perchè la Corte territoriale non si è pronunciata sulla domanda di riduzione del prezzo, ed ha rigettato quella di risarcimento del danno, nonostante quest’ultimo apparisse compiutamente provato ed effettivamente sussistente in re ipsa.

4. – Il quarto motivo denuncia il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, avendo la Corte etnea pronunciato la condanna della D.M. a rilasciare l’immobile oggetto del preliminare, in assenza di domanda.

5. – Con il primo motivo del ricorso incidentale le controricorrenti deducono la violazione degli artt. 840, 1453 e 1385 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). La Corte d’appello, si sostiene, ha violato l’art. 840 c.c. sia perchè tale norma non è applicabile nel caso di proprietà divise per piani, come nel caso in esame, riguardante l’alienazione di un’unità immobiliare facente parte di un fabbricato urbano; e dunque nel contratto non era necessario specificare che non costituiva oggetto dell’accordo l’unità immobiliare sottostante, come quella superiore; sia in quanto detta norma non è cogente, di guisa che la res deducta in contractu non è quella ipoteticamente riconducibile ad essa, ma solo quella espressamente voluta dalle parti.

6. – Il secondo motivo dell’impugnazione incidentale allega la violazione degli artt. 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’insufficienza della motivazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5). Nel contratto preliminare, osserva parte controricorrente, il bene promesso in vendita era esattamente descritto e identificato mediante i referenti catastali, compreso il subalterno della particella 199, il che denotava la presenza di altro immobile sulla stessa. Inoltre, a riprova del fatto che le parti non avevano inteso richiamare l’art. 840 c.c., depone la circostanza che la promessa aveva ad oggetto anche la loggetta e il terrazzino sovrastanti, precisazione, questa, di cui non vi sarebbe stata necessità alcuna se le parti avessero inteso richiamarsi all’art. 840 c.c.. Inoltre, la Corte territoriale non ha seguito alcuno dei citati canoni di ermeneutica contrattuale, non essendovi nella motivazione traccia dell’indagine sulla comune intenzione delle parti e sulla interpretazione del contratto secondo buona fede.

7. – Con il terzo motivo del ricorso incidentale è dedotta la violazione dell’art. 1385 c.c. e/o dell’art. 1453 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), poichè, sostengono le controricorrenti, una volta ritenuto l’inadempimento della promissaria acquirente, la Corte territoriale avrebbe dovuto o pronunciare la risoluzione per inadempimento di quest’ultima, o dichiarare legittimo il recesso e l’incameramento della caparra.

8. – Con il quarto motivo del ricorso incidentale è dedotta la violazione degli artt. 91 e 96 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), perchè la D.M. in primo grado agì sostenendo che una consistente porzione dell’immobile apparteneva a terzi, ciò in chiara malafede dal momento che ella deteneva il bene e non aveva subito molestie da parte di terzi. In appello, poi, ella corresse il tiro, limitando la sua doglianza al sottosuolo.

9. – Il quinto motivo, infine, denuncia la violazione degli artt. 820, 821 e 1149 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver la Corte territoriale rigettato anche la domanda di risarcimento dei danni da ritardata riconsegna del bene, che invece avrebbe dovuto accogliere una volta pronunciata, ancorchè per un’errata ragione, la risoluzione del contratto.

10. – In via preliminare va esaminata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso incidentale, formulata da D.M.C., nel proprio controricorso, in considerazione del fatto che detta impugnazione riguarda capi della sentenza diversi da quelli investiti dal ricorso principale e non connessi a (nè dipendenti da) quest’ultimo, sicchè il ricorso incidentale configura un’impugnazione autonoma tardiva, come tale inammissibile perchè proposta decorso il termine di cui all’art. 327 c.p.c..

10.1 – L’eccezione è manifestamente infondata, perchè disattende, senza apparente consapevolezza e assenti argomentazioni oggettivamente di contrasto, il costante orientamento di questa Corte espresso a partire da Cass. S.U. n. 4640/89 e da allora non più modificato. Detta pronuncia, innovando rispetto al più risalente indirizzo di segno contrario, ebbe ad affermare che l’art. 334 c.p.c., che consente alla parte, contro cui è stata proposta impugnazione (o chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c.), di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorchè autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale (cfr. e pluribus e tra le più recenti, Cass. nn. 2126/06 e 3717/03).

11. – I primi due motivi del ricorso incidentale, che vanno esaminati con priorità per la loro inerenza al punto decisivo della controversia così come dedotto dalle parti – cioè se il contratto preliminare di vendita includesse o non, quale oggetto di cessione, anche il vano sottostante all’immobile pacificamente promesso – sono fondati nei termini che seguono.

11.1. – La Corte etnea ha omesso di scrutinare il regolamento autonomo del contratto in base alle regole di ermeneutica negoziale, operandone, invece, una (sorta di) eterointegrazione incentrata sulla norma dell’art. 840 c.c., che essendo affatto estranea allo statuto del contratto e della sua interpretazione, è stata falsamente applicata alla fattispecie.

11.2. – La possibilità, ammessa dall’ordinamento, di suddividere la proprietà fondiaria per piani orizzontali, riguardanti il suolo, il sottosuolo ed il soprassuolo, comporta che l’estensione del diritto al sottosuolo, previsto dall’art. 840 c.c., si arresta non solo di fronte ad interessi pubblici che la legge riconosce meritevoli di particolare tutela, come lo sfruttamento delle miniere, la tutela del patrimonio artistico ed archeologico, delle acque e delle opere ad esse relative, ma anche per effetto della libera autonomia delle parti, cioè in virtù di contratto, quando chi potendo disporre della proprietà del suolo e del sottosuolo, quale proprietario, manifesti la volontà di disporre separatamente del bene trasferendo dello stesso soltanto una parte concettualmente e giuridicamente separabile (Cass. n. 56/72).

Proprio perchè le parti hanno il potere di negoziare liberamente l’uno, l’altro o l’altro ancora dei suddetti beni in cui può scomporsi la proprietà fondiaria, l’art. 840 c.c. svolge la funzione normativa di risolvere il conflitto fra soggetti terzi, non legati cioè da inerente vincolo contrattuale, attribuendo la proprietà del sottosuolo, salvo i limiti d’ordine pubblico previsti dal comma 1 dello stesso articolo, al soggetto titolare del suolo.

Conseguentemente – ed è questo il caso di specie – il venditore di un fabbricato elevato fuori terra non risponde dell’altruità dei vani interrati, se il contratto, interpretato ai sensi dell’art. 1362 c.c., e segg., non faccia espressamente o implicitamente riferimento anche ad essi come oggetto di cessione.

12. – L’accoglimento dei suddetti motivi assorbe l’esame sia di ogni altra censura dell’impugnazione incidentale, sia del ricorso principale.

13. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai suddetti motivi, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania, la quale nel decidere la controversia si atterrà al seguente principio di diritto: "La disposizione dell’art. 840 c.c., è estranea allo statuto del contratto e della relativa ermeneutica, in quanto svolge la funzione normativa di risolvere il conflitto fra soggetti terzi, non legati cioè da inerente vincolo contrattuale, attribuendo la proprietà del sottosuolo, salvo i limiti d’ordine pubblico previsti dal primo comma dello stesso articolo, al soggetto titolare del suolo. Conseguentemente, il venditore di un fabbricato elevato fuori terra non risponde dell’altruità dei vani interrati, se il contratto, interpretato ai sensi dell’art. 1362 c.c., e segg., non faccia espressamente o implicitamente riferimento anche ad essi come oggetto di cessione.

14. – Il giudice di rinvio provvederà, altresì, sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi e il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2012

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