Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-04-2012, n. 6459 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che A.V., con ricorso dell’11 dicembre 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Catanzaro depositato in data 31 agosto 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dell’ A. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 7.500,00, a titolo di equa riparazione;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia, il quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su due motivi;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 14 gennaio 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) l’ A., debitore di varie somme a diverso titolo nei confronti di più creditori, era stato sottoposto ad esecuzione forzata immobiliare, iniziata con pignoramento immobiliare nel circondario di Potenza in data 30 giugno 1997; b) il procedimento esecutivo era ancora pendente dinanzi al giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Potenza alla data del 14 gennaio 2008, di presentazione della domanda di equa riparazione;

che la Corte d’Appello di Catanzaro, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver riconosciuto anche al debitore esecutato il diritto di chiedere l’indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo e determinato in tre anni la durata ragionevole del processo penale presupposto -, ha fissato in sette anni e sei mesi la durata irragionevole di tale processo ed ha liquidato a titolo di equa riparazione la somma di Euro 7.500,00, sulla base di un parametro annuo di Euro 1.000,00.

Motivi della decisione

preliminarmente, che il ricorso principale e quello incidentale, in quanto proposti contro lo stesso decreto, debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.;

che il ricorrente principale, con i motivi di censura, denuncia come illegittimi, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione: a) in primo luogo, la determinazione della durata complessiva del processo presupposto che, a suo avviso, doveva considerarsi iniziato "già con il deposito del ricorso introduttivo", con la conseguenza che tale durata ammontava a tredici anni e sette mesi; b) in secondo luogo, la determinazione dell’indennizzo in riferimento alla sola durata irragionevole del processo presupposto, anzichè alla durata complessiva dello stesso;

che, a sua volta, il ricorrente incidentale denuncia come illegittimi, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione: a) in primo luogo, l’affermata ed incondizionatamente riconosciuta qualità di "parte del processo esecutivo" del debitore esecutato; b) in secondo luogo, la carenza di motivazione in ordine al punto decisivo del nocumento concretamente derivato al debitore esecutato dalla irragionevole protrazione del processo esecutivo;

che entrambi i ricorsi non meritano accoglimento;

che la censura sub a) del ricorso incidentale – la quale deve essere esaminata per prima, avuto riguardo alla sua priorità logico- giuridica – è infondata, in quanto anche il debitore esecutato, sebbene in stato di soggezione rispetto all’azione esecutiva promossa dal creditore, è parte del processo esecutivo, in quanto il diritto del debitore di promuovere giudizi di opposizione nelle varie fasi e gradi del processo esecutivo presuppone la sua generale qualità di parte di tale processo, ciò che del resto è confermato dal consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui nel processo di esecuzione il diritto del cittadino al giusto processo (come delineato dalla nuova formulazione dell’art. 111 Cost.) deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 12122 del 2003, 10334 del 2005, 5431, 21682, 24532 del 2009);

che le censure sub a) e sub b) del ricorso principale sono palesemente infondate, essendo noto che, ai sensi dell’art. 491 cod. proc. civ., l’espropriazione forzata si inizia con il pignoramento;

che conseguentemente – poichè nella specie il pignoramento immobiliare è stato eseguito in data 30 giugno 1997 ed il processo esecutivo era ancora pendente alla data del 14 gennaio 2008, di deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio di equa riparazione – la durata irragionevole del processo presupposto, detratti tre anni di ragionevole durata, è pari, come esattamente affermato dai Giudici a quibus, a sette anni e sei mesi;

che, secondo il costante orientamento di questa Corte, tale durata irragionevole avrebbe comportato l’indennizzo di Euro 6.750,00 (Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni ed Euro 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi, oltre Euro 500,00 per i residui sei mesi), mentre i Giudici a quibus hanno liquidato la maggior somma di Euro 7.500,00, onde la manifesta carenza di interesse all’impugnazione del ricorrente principale;

che, quanto alla censura sub b) del ricorso incidentale, la stessa è manifestamente infondata, essendo sufficiente al riguardo ribadire il costante orientamento di questa Corte, secondo il quale, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005; cfr., altresì, le sentenze nn. 18780 del 2010 e 10500 del 2 011);

che la soccombenza reciproca giustifica la compensazione integrale delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

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