Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-04-2012, n. 6457 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che B.C. – nella qualità di tutrice di B. F., della quale è stata dichiarata l’interdizione con sentenza del Tribunale di Perugia del 28 giugno 2007 -, con ricorso del 18 novembre 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Firenze depositato in data 11 agosto 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso di B.C. nella predetta qualità – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso, ha respinto la domanda;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 10.500,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 3 gennaio 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) in data 18 aprile 2001, M.F. era stata iscritta nel registro delle notizie di reato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia per i reati di ingiuria e danneggiamento; b) il Tribunale di Perugia, in data 26 agosto 2002, aveva emesso, nei confronti della M., decreto penale di condanna, notificatole il 15 ottobre 2002; c) a seguito di opposizione, il Tribunale adito, con sentenza del 30 novembre 2005-30 gennaio 2006, aveva pronunciato, nei confronti della stessa, sentenza di condanna; d) a seguito di appello dell’imputata, la Corte d’Appello di Perugia, con sentenza dell’8 aprile 2008, aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere per non imputabilità della M.;

che la Corte d’Appello di Firenze, con il suddetto decreto impugnato, nel respingere la domanda di equa riparazione, ha affermato che: a) il periodo del procedimento penale rilevante ai fini dell’equa riparazione inizia a decorrere dal momento in cui la persona ha conoscenza di tale procedimento; b) poichè il periodo di iscrizione nel registro delle notizie di reato è, di regola, irrilevante ai fini del computo della ragionevole durata del processo, e poichè nella specie non risulta neppure allegata la data della notificazione del decreto penale di condanna, la prima data utile ai fini della domanda di equa riparazione è quella dell’emissione della sentenza di primo grado, cioè il 30 novembre 2005; d) considerando tale data e quella della pronuncia della sentenza di appello – 8 aprile 2008 – non risulta provato che la durata del processo presupposto abbia superato la sua durata ragionevole; e) a tale ragione deve aggiungersi che M.F., al momento della sentenza d’appello, risultava già da tempo interdetta, con la conseguenza che può presumersi che la stessa non abbia sofferto per la durata del processo, per tutta la durata del quale rimase contumace.

Motivi della decisione

che, con i motivi di censura, vengono denunciate dal ricorrente come illegittime, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione: in primo luogo, l’affermata mancata allegazione della data di notificazione del decreto penale di condanna, nonostante che la ricorrente avesse espressamente richiesto l’acquisizione del fascicolo d’ufficio del processo presupposto, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5; in secondo luogo, l’affermata insussistenza del patema d’animo per la dichiarata interdizione della stessa ricorrente, senza considerare che questa è stata dichiarata interdetta soltanto il 28 giugno 2007, in epoca molto prossima alla sentenza d’appello dell’8 aprile 2008 e che l’interdizione è stata dichiarata esclusivamente per l’uso eccessivo di anoressanti da parte della ricorrente medesima;

che il ricorso non merita accoglimento;

che, al riguardo, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, attribuisce l’accertamento in concreto della violazione al giudice:

se la parte ha indubbiamente un onere di allegazione e dimostrazione, riguardante la sua posizione nel processo presupposto, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, spetta poi al giudice – sulla base dei dati suddetti e di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente – verificare in concreto e con riguardo alle singole fattispecie se vi sia stata una violazione del termine ragionevole, avvalendosi anche – secondo il modello processuale di cui all’art. 737 cod. proc. civ., e segg., adottato dalla legge (art. 3, comma 4, della legge) – di poteri di iniziativa, i quali si estrinsecano attraverso l’assunzione di informazioni che, espressamente prevista dall’art. 738 cod. proc. civ., non resta subordinata all’istanza di parte, con la conseguenza che il giudice – pur non essendo obbligato ad esercitare tali poteri, potendo attingere aliunde le fonti del proprio convincimento – non può addebitare alla parte una asserita carenza probatoria superabile con l’esercizio dei poteri di iniziativa d’ufficio, nè, tanto meno, può ignorare la richiesta della parte ricorrente di acquisire, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, gli atti del processo presupposto e fondare il proprio convincimento su mere ipotesi in ordine alle cause della durata dello stesso (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 17249 del 2006 – richiamata dagli stessi Giudici a quibus -, 2207 e 16836 del 2010, nonchè l’ordinanza n. 16367 del 2011);

che, inoltre, questa Corte ha affermato che, in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo penale, il dies a quo in relazione al quale valutare la durata del processo deve essere individuato nel momento in cui l’indagato ha conoscenza legale dello svolgimento di indagini nei suoi confronti, con la conseguenza che qualora l’azione penale sia stata esercitata con l’emissione di decreto penale di condanna e l’indagato non abbia avuto precedente conoscenza della pendenza delle indagini, è dalla notifica del citato decreto che comincia a decorrere il termine per valutare se il procedimento sia stato definito entro termini ragionevoli (cfr. l’ordinanza n. 18038 del 2010);

che, nella specie, la ricorrente, pur menzionando il principio di diritto enunciato dalla su richiamata sentenza n. 17249 del 2006, non contesta la circostanza a fondamento della decisione, cioè di non aver indicato – come, invece, era suo precìso onere proprio sulla base di detto principio – la data della notificazione del decreto penale di condanna, limitandosi a censurare soltanto la mancata acquisizione del fascicolo d’ufficio del processo presupposto, che non può certo supplire al radicale difetto di allegazione di una circostanza assolutamente necessaria per determinare il dies a quo del processo di cui si lamenta l’irragionevole durata;

che, inoltre, la stessa ricorrente non censura specificamente l’affermata insussistenza del suo patema d’animo per la protrazione del processo penale, in ragione sia della sua dichiarata interdizione sia della sua persistente contumacia nei giudizi di primo grado e di appello, limitandosi ad affermare apoditticamente le "vere" ragioni in base alle quali tale interdizione sarebbe stata dichiarata;

che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 300,00, oltre alle spese prenotate a debito.

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