Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-04-2012, n. 6517 Responsabilità precontrattuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Provvedendo su contrapposte domande di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale proposte da B.V. e dalla Palaverta s.p.a., attori, e dalla A.S.A. Aterno Società Agraria s.r.l. (di seguito A.S.A.) convenuta (insieme con altre parti non più in causa), il Tribunale di Roma (per quanto ancora rileva in questa sede) con sentenza non definitiva pubblicata il 3.8.2001 dichiarava la responsabilità precontrattuale della ridetta società, rimettendo la causa sul ruolo per l’ulteriore corso del giudizio relativo all’accertamento del quantum debeatur.

Gravata dalla A.S.A., che ne denunciava il vizio di ultrapetizione, detta sentenza era riformata dalla Corte d’appello di Roma, la quale, pronunciando in confronto di S.R. e B.F. A., quali eredi di B.V., rigettava nel merito la domanda proposta da quest’ultimo e dalla Palaverta s.p.a..

Riteneva la Corte territoriale che, in difetto di apposita istanza di parte, il giudice di prime cure non avesse il potere di separare la pronuncia sull’an da quella sul quantum debeatur; e che, nella specie, le parti attrici avevano concluso chiedendo la condanna della società A.S.A. (e delle altre parti convenute) al risarcimento dei danni nella misura di 300 milioni del vecchio conio o in quella maggiore o minore da liquidarsi comunque in via equitativa, così precisando l’iniziale domanda di condanna al pagamento della somma che sarebbe stata quantificata in corso di causa. Osservava, quindi, che il giudice di primo grado, pur avendo rilevato che non erano stati nè acquisiti al processo gli elementi necessari alla quantificazione del danno, nè forniti i parametri di riferimento indispensabili, non aveva tratto da tale premessa la conseguenza dovuta, ossia che la domanda doveva ritenersi sfornita di prova.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono S.R. e la Palaverta s.p.a., formulando due motivi d’annullamento.

Resiste con controricorso la A.S.A. s.r.l., che ha depositato, altresì, memoria.

E’ stata disposta e ottemperata l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altra erede di B.V., B. F.A., che non ha svolto attività difensiva.

Le parti ricorrenti e quella controricorrente hanno depositato, altresì, memoria.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, articolato in tre censure, è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1337 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 112, 161, 277, 278 c.p.c., art. 339 c.p.c., e segg. e art. 354 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. 1.1.- Con la prima censura le parti ricorrenti (richiamando le pronunce nn. 6471/97 e 6576/80 di questa Corte Suprema) sostengono che il giudice, il quale ritenga che la sollecita definizione di una domanda sia di apprezzabile interesse per le parti, può in applicazione dell’art. 277 c.p.c., limitare la decisione a talune domande soltanto, per le quali non sia necessaria un’ulteriore attività istruttoria, anche senza apposita istanza di parte.

1.2. – Con la seconda censura si lamenta che la Corte d’appello, investita dell’impugnazione di una sentenza non definitiva, avrebbe dovuto limitare la propria cognizione al solo capo oggetto di quest’ultima, senza estendere la decisione anche alle questioni – come, appunto, la quantificazione del danno – per le quali vi era stata riserva di pronuncia.

1.3. – La terza censura deduce che l’inaspettata decisione della Corte d’appello di respingere direttamente ogni domanda, ha impedito alla difesa delle parti attrici di svolgere le attività istruttorie che, anche in grado d’appello e anche secondo la normativa ante novella di cui alla L. n. 353 del 1990, sarebbe stato possibile effettuare, come ad esempio la produzione di documenti.

2. – Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1337 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 61 e 191 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Osservano le ricorrenti, contestando l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le parti attrici non avrebbero nè provato, nè offerto di provare il danno, di aver, invece, fornito tutti gli elementi necessari a quantificare il pregiudizio economico subito, mediante una corposa produzione documentale, sulla cui base, infatti, il giudice di prime cure aveva nominato un c.t.u. al fine di accertare i costi sostenuti dalle parti attrici nella trattativa con la A.S.A.. Nè ha rilievo l’obiezione per cui la c.t.u. non è un mezzo di prova, poichè, ciò non di meno, l’attività del consulente è necessaria affinchè il giudice possa risolvere i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione.

3. – La prima censura del primo motivo è infondata, in quanto richiama una norma – l’art. 277 c.p.c. – e un principio giurisprudenziale non pertinenti alla fattispecie.

La richiesta di condanna specifica al risarcimento del danno, sia essa formulata in maniera determinata (con l’indicazione, cioè, di una precisa somma di denaro) o indeterminata (resa da espressioni tipo "nell’importo ritenuto di giustizia" o "nella misura che risulterà provata all’esito dell’istruzione" ecc), declina una sola e unica domanda giudiziale, e non già due distinti capi di domanda, uno sull’aro e l’altro sul quantum debeatur, suscettibili di decisione separata secondo il disposto dell’art. 277 cpv. c.p.c..

Norma, quest’ultima, che si riferisce alla diversa ipotesi in cui siano state avanzate più domande e soltanto talune di esse possano essere decise senza ulteriore dispendio di attività istruttoria.

La norma di riferimento è costituita, invece, dall’art. 278 c.p.c., comma 1, secondo la quale, nell’interpretazione di questa Corte, la separazione del giudizio sull’an debeatur da quello sul quantum presuppone una specifica ed espressa richiesta della parte, la cui volontà in tal senso non può desumersi dalla formulazione di una generica richiesta di risarcimento di danni non determinati ma determinabili (Cass. nn. 17250/02 e 1736/88).

3.1. – Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata risulta che B.V. e la Palaverta s.p.a. proposero una domanda di condanna al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, nella misura che sarebbe stata quantificata in corso di causa, domanda puntualizzata, in sede di precisazione delle conclusioni, nell’ammontare di L. 300 milioni o nella maggiore o minore somma da liquidarsi comunque in via equitativa, senza formulare, neppure in via subordinata, una richiesta di condanna generica.

Pertanto, deve ritenersi senz’altro errata, come esattamente affermato dalla Corte territoriale, la sentenza di primo grado in punto di separazione della decisione dell’an dal quantum debeatur.

4. – E’ fondata, invece, la seconda censura del primo motivo.

Infatti, il carattere parziale o non definitivo della sentenza di primo grado comporta che il gravame debba riguardare soltanto la questione affrontata da tale sentenza, con la conseguenza che, da un lato, l’appellante non è obbligato a riproporre le altre domande od eccezioni non esaminate in primo grado e, dall’altro, il giudice di secondo grado investito dell’appello avverso tale decisione ha il potere di cognizione limitatamente alla questione decisa dalla sentenza appellata, nè può, riformando tale pronuncia, procedere all’esame di altre questioni, atteso che la sentenza di riforma resa dallo stesso giudice si inserisce immediatamente, con il suo contenuto decisorio parziale, nel processo eventualmente sospeso od ancora pendente davanti al giudice a quo (Cass. nn. 5456/03, 11748/03, 2142/97 e 595/92).

4.1. – Nello specifico, la Corte capitolina non si è limitata a pronunciarsi sulla quaerela nullitatis introdotta col gravame, ma, dopo aver accertato l’error in procedendo, ha illegittimamente esteso la propria cognizione al merito della domanda risarcitoria, che ha rigettato, ritenendola sfornita di prova, ancorchè la stessa fosse ancora oggetto della cognizione del giudice di primo grado.

5. – L’accoglimento della seconda censura del primo motivo assorbe l’esame della terza e del secondo motivo d’impugnazione.

6. – In conclusione, il ricorso va accolto nei limiti anzi detti, e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, in applicazione estensiva dell’art. 382 c.p.c., comma 3 (cfr. Cass. n. 2629/84, secondo cui qualora il giudice di secondo grado, in sede di impugnazione avverso sentenza non definitiva, non rilevi l’inammissibilità del gravame su questione rinviata dal primo giudice alla pronuncia definitiva, e statuisca sulla questione medesima, il relativo capo della sentenza d’appello va cassato senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3).

7. – Le spese del presente giudizio di cassazione vanno rimesse al merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie la seconda censura del primo motivo, respinta la prima ed assorbita la terza nonchè il secondo motivo di ricorso, Scassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. Spese al merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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