Cons. Stato Sez. V, Sent., 30-11-2011, n. 6338 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I.- Con il ricorso in appello che ha assunto il numero di ruolo generale 8747 del 2002 il sig. I. C., che aveva realizzato su un proprio sito una pavimentazione destinata a deposito materiali, ha chiesto l’annullamento della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale era stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento di diffida n. 1347 del 11 aprile 2001, con il quale il Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Bortigali ha ingiunto di demolire le opere ivi indicate.

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Il Giudice di prime cure erroneamente non ha condiviso la tesi del ricorrente che illegittimamente il provvedimento impugnato era basato sul presupposto che le aree su cui era stato realizzato il sanzionato intervento edilizio erano situate sull’alveo del "Rio Cuguttu", di proprietà dello Stato o di altri Enti pubblici, perché, dopo la deviazione del suo corso l’instante era divenuto proprietario dell’area ex art. 946 del c.c. indipendentemente dalla circostanza che il fiume fosse stato dirottato per fatti naturali o a seguito dell’intervento dell’uomo e considerato che la sdemanializzazione di un bene può essere anche tacita.

2.- Il T.A.R. ha effettuato una interpretazione troppo riduttiva dell’art. 13 della l. r. Sardegna n. 23/1985, senza tener conto che lo stoccaggio del materiale da costruzione di rilevante peso può essere effettuato solo con idonea pavimentazione.

3.- Il Giudice di primo grado non ha apprezzato adeguatamente la censura di eccesso e sviamento di potere per aver l’Amministrazione emanato l’impugnato provvedimento al surrettizio scopo di poter più agevolmente espropriare l’area de qua al fine di ivi realizzare uno scarico delle acque e per aver contraddittoriamente consentito l’occupazione dell’alveo da parte di soggetti pubblici e privati.

Con atto depositato l’11.11.2002 si è costituito in giudizio il Comune di Bortigali, che ha eccepito la irricevibilità e la inammissibilità dell’appello (per mancata rituale notifica al Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Bortigali), nonché ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.

Con ordinanza 12 novembre 2002 n. 4884 la Sezione ha respinto la istanza di sospensione della sentenza impugnata.

Con memoria depositata il 14.6.2011 l’Amministrazione resistente ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

II.- Con ricorso in appello che ha assunto il n. 8748 del 2002 il sig. R. C., che aveva realizzato su un proprio sito una pavimentazione destinata a deposito materiali, ha impugnato la sentenza di reiezione della richiesta di annullamento della diffida a demolire di cui trattasi, deducendo i medesimi motivi formulati con il ricorso n. 8747 del 2002 dal sig. I. C..

Con atto depositato l’11.11.2002 si è costituito in giudizio il Comune di Bortigali, che ha eccepito la irricevibilità e la inammissibilità dell’appello (per mancata rituale notifica al Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Bortigali), nonché ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.

Con ordinanza 12 novembre 2002 n. 4885 la Sezione ha respinto la istanza di sospensione della sentenza impugnata.

Con memoria depositata il 14.6.2011 l’Amministrazione resistente ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

III.- Con ricorso che ha assunto il n. 8749 del 2002 il sig. A. M. U., che aveva impugnato la ingiunzione a demolire una casa di civile abitazione realizzata su un proprio sito, ha impugnato la negativa sentenza de qua, deducendo i seguenti motivi:

1..- Il Giudice di prime cure erroneamente non ha condiviso la tesi del ricorrente che illegittimamente il provvedimento impugnato era basato sul presupposto che le aree su cui era stato realizzato il sanzionato intervento edilizio fossero realizzate sull’alveo del "Rio Cuguttu", di proprietà dello Stato o di altri Enti pubblici, perché, a seguito della deviazione del suo corso, l’instante era divenuto proprietario dell’area ex art. 946 del c.c..

A sostegno della censura sono stati dedotti i medesimi argomenti dedotti dai sigg.ri I. C. e R. C..

2.- Il T.A.R. non ha apprezzato adeguatamente la censura di eccesso di potere (peraltro motivando solo con riferimento ai ricorsi proposti dai sigg.ri I. C. e R. C.) e sviamento per aver l’Amministrazione emanato l’impugnato provvedimento al surrettizio scopo di poter più agevolmente espropriare l’area de qua per ivi realizzare uno scarico delle acque e per aver contraddittoriamente consentito l’occupazione dell’alveo da parte di soggetti pubblici e privati.

Con atto depositato l’11.11.2002 si è costituito in giudizio il Comune di Bortigali, che ha eccepito la irricevibilità e la inammissibilità dell’appello (per mancata rituale notifica al Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Bortigali), nonché ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.

Con ordinanza 12 novembre 2002 n. 4886 la Sezione ha respinto la istanza di sospensione della sentenza impugnata.

Con memoria depositata il 14.6.2011 l’Amministrazione resistente ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

IV.- Alla pubblica udienza del 15.7.2011 i ricorsi in appello sono stati trattenuti in decisione alla presenza dell’avvocato della parte resistente, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

Motivi della decisione

1.- Con i tre ricorsi in appello in esame è stato chiesto l’annullamento della sentenza in epigrafe specificata, di reiezione dei ricorsi proposti per l’annullamento del provvedimento di diffida n. 1347 del 11 aprile 2001, con il quale il Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Bortigali ha ingiunto ai sigg.ri I. C. e R. C. di demolire le opere ivi indicate, nonché del provvedimento di diffida n. 1350 del 11 aprile 2001, con il quale detto Responsabile ha ingiunto al sig. A. M. U. di demolire le opere ivi indicate.

2.- Il Collegio, innanzitutto, ritiene di dover riunire gli appelli in esame, per la palese loro connessione oggettiva (trattandosi della stessa sentenza impugnata), per cui i medesimi devono essere esaminati e decisi con un’unica pronuncia.

In secondo luogo considera di poter prescindere dalla disamina della fondatezza delle eccezioni di inammissibilità formulate dal Comune di Bortigali, per mancata rituale notifica del gravame al Responsabile dell’Area Tecnica del Comune, stante la infondatezza del gravame.

3.- Con un primo motivo di appello, comune a tutti i ricorsi in esame, è stato dedotto che il Giudice di prime cure erroneamente non ha condiviso la tesi che illegittimamente i provvedimenti impugnati erano basati sul presupposto che le aree su cui erano stati realizzati i sanzionati interventi edilizi fossero realizzate sull’alveo del "Rio Cuguttu", di proprietà dello Stato o di altri Enti pubblici, perché il suo corso era stato deviato e gli instanti erano divenuti proprietari dell’area ex art. 946 del c.c..

L’assunto del T.A.R., che detto articolo, nella formulazione ante anno 1994, prevedeva l’acquisizione dell’alveo del fiume da parte dei privati solo in caso di abbandono del suo letto per cause naturali, non sarebbe condivisibile perché l’art. 946 del c.c. va invece interpretato alla luce sia della sua prima formulazione che della seconda, e quindi i privati potevano acquisire l’alveo in questione indipendentemente dal fatto che il fiume fosse stato dirottato per fatti naturali o a seguito dell’intervento dell’uomo.

Peraltro la sdemanializzazione di un bene può, secondo gli appellanti, essere anche tacita, purché risulti da atti univoci incompatibili con la volontà dell’Amministrazione di conservare la destinazione ad uso pubblico e non abbia più attitudini ad uso pubblico, sicché nel caso che occupa comunque sarebbe da rilevare che in sentenza non è contenuta alcuna motivazione in ordine alla circostanza che la Regione Sardegna, proprietaria dei beni demaniali relativi agli alvei abbandonati, non ha mai manifestato l’esigenza di tutelare la demanialità di essi beni per ragioni di pubblico interesse, tanto che l’alveo de quo è stato occupato non solo da privati ma anche dall’Amministrazione comunale che vi ha realizzato opere pubbliche.

3.1.- Osserva al riguardo la Sezione che è pacifico tra le parti che la scomparsa del "Riu Cuguttu" è stata determinata dalla realizzazione di un canale di guardia da parte del Genio Civile di Nuoro negli anni 19641965.

L’art. 946 del c.c., prevedeva, nella versione vigente prima della entrata in vigore della l. n. 37/1994, che se un fiume o torrente si fosse formato un nuovo letto abbandonando l’antico, esso spettava ai proprietari confinanti con le due rive; nella versione successiva stabilisce invece che il terreno abbandonato rimane assoggettato al regime proprio del demanio pubblico.

Il seguente art. 947, nella versione originaria, stabiliva che "Le disposizioni degli articoli 941, 942, 945 e 946 non si applicano nel caso in cui le alluvioni e i mutamenti nel letto dei fiumi derivano da regolamento del loro corso, da bonifiche o da altre simili cause"; detto articolo, solo nella versione vigente dopo la entrata in vigore della ridetta l. n. 37/1994, stabilisce che disposizioni degli articoli 942, 945 e 946 si applicano ai terreni comunque abbandonati sia a seguito di eventi naturali che per fatti artificiali indotti dall’attività antropica, ivi comprendendo anche i terreni abbandonati per fenomeni di inalveamento.

In base alla sequenza temporale della citata normativa gli appellanti non potevano quindi comunque aver acquisito la proprietà dell’alveo abbandonato, perché prima della entrata in vigore della l. n. 37/1994 ciò era inibito dalla circostanza che l’evento era conseguito alla realizzazione di un canale di guardia nel quale il "Riu Cuguttu" era stato deviato, mentre dopo la entrata in vigore della legge stessa era impedito dalla circostanza che gli alvei comunque abbandonati divenivano di proprietà demaniale.

Quanto alla prospettata sdemanializzazione tacita delle aree "de quibus", per mancata manifestazione da parte della Regione Sardegna dell’esigenza di tutelare la demanialità di essi beni per ragioni di pubblico interesse, ritiene la Sezione che essa non possa ritenersi nel caso in esame avvenuta.

Infatti la sdemanializzazione tacita deve risultare da comportamenti univoci e concludenti da cui emerga con certezza la rinuncia alla funzione pubblica del bene, che va accertata con rigore, e che siano incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene stesso all’uso pubblico; di conseguenza essa non può desumersi dalla pura e semplice circostanza che il bene non sia adibito, anche da lungo tempo, all’uso pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 06 ottobre 2009, n. 6095).

Non costituiscono quindi elementi sufficienti a provare in maniera non equivoca la cessazione della destinazione del bene all’uso pubblico il prolungato disuso di un bene demaniale da parte dell’ente pubblico proprietario, ovvero la tolleranza osservata da quest’ultimo rispetto a un’occupazione da parte di privati, essendo ulteriormente necessario, al riguardo, che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da non lasciare adito ad altre ipotesi se non a quella che l’amministrazione abbia definitivamente rinunciato al ripristino dell’uso pubblico (nel caso di specie non provati).

La censura in esame non può quindi essere condivisa.

4.- Con un ulteriore motivo, sostanzialmente comune a tutti gli attuali appellanti, è stato dedotto che il T.A.R. non ha apprezzato adeguatamente la censura di eccesso e sviamento di potere per aver l’Amministrazione emanato l’impugnato provvedimento al surrettizio scopo di poter più agevolmente espropriare l’area de qua per ivi realizzare uno scarico delle acque e per aver contraddittoriamente consentito realizzazione di opere edilizie sull’alveo de quo da parte di soggetti pubblici e privati.

4.1.- Osserva la Sezione, quanto alla censura di eccesso di potere per sviamento, che questo è caratterizzato dall’esercizio della potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo giustificano, sicché il relativo vizio, poiché postula la divergenza dell’atto alla sua funzione istituzionale, richiede l’allegazione e la sussistenza di precisi elementi di prova e non di semplici supposizioni; aggiungasi che nell’ipotesi di provvedimento vincolato della P.A. è da escludere la configurabilità dell’eccesso di potere per sviamento in quanto l’Amministrazione, accertata la sussistenza di una situazione di fatto rilevante per il pubblico interesse, deve esercitare il potere che la legge "ad hoc" le conferisce.

Nel caso che occupa non sono stati forniti precisi elementi di prova circa l’intento del Comune intimato di poter più facilmente espropriare le aree dei cui trattasi, e detto Ente era comunque tenuto a sanzionare le avvenute realizzazioni di opere edilizie senza concessione, sicché la censura non è favorevolmente apprezzabile.

Quanto alla censura di contraddittorietà per aver consentito la realizzazione di opere sulle aree dell’alveo in questione a privati ed ad Enti pubblici ritiene il Collegio che essa non possa condividersi, atteso che la contraddittorietà tra gli atti del procedimento, figura sintomatica dell’eccesso di potere, si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi di un medesimo procedimento un contrasto inconciliabile tale da far dubitare su quale sia l’effettiva volontà dell’Amministrazione; non sussiste invece tra atti di distinti ed autonomi procedimenti quando si tratti di provvedimenti che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano stati, come nei casi di specie, adottati all’esito di procedimenti indipendenti ed intervalli di tempo l’uno dall’altro.

5.- Con motivi formulati solo dagli appellanti I. C. e R. C. è stato inoltre dedotto che il T.A.R. – nel respingere (nell’assunto che sul suolo de quo i suddetto avevano realizzato pavimentazioni in calcestruzzo) la censura con la quale era stata dedotta la illegittimità del provvedimento impugnato perché in base all’art. 13 della l. r. Sardegna n. 23/1985 non è necessaria la concessione edilizia, ma solo l’autorizzazione per le occupazioni stabili di suolo a titolo espositivo e di stoccaggio – ha effettuato una interpretazione troppo riduttiva di detto articolo, senza tener conto che lo stoccaggio del materiale da costruzione di rilevante peso poteva essere effettuato solo con idonea pavimentazione.

5.1.- Osserva la Sezione che detta disposizione prevede, al primo comma, che sono soggetti ad autorizzazione comunale, previo parere del solo Ufficio tecnico comunale, tra l’altro, come da lettera o), "le occupazioni stabili di suolo a titolo espositivo di stoccaggio a cielo aperto".

Nel caso di specie non è stata perseguita da parte del Comune la occupazione del suolo, ma la costruzione su detto suolo di piattaforme in calcestruzzo di ampia superficie e rilevante spessore, per la quale sicuramente occorreva, in base alla normativa di settore, il previo rilascio di concessione.

A nulla vale che la pavimentazione realizzata fosse destinata a meglio consentire detto stoccaggio, essendo la normativa in materia di concessione edilizia inderogabile.

6.- Gli appelli in esame, previa loro riunione, devono essere conclusivamente respinti e deve essere confermata la prima decisione.

7.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, previa riunione degli appelli n.8747/2002, 8748/2002 e 8749/2002, li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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