Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-04-2012, n. 6507 Assegni di accompagnamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.M. proponeva appello avverso la sentenza pronunziata il 18 dicembre 2003 dal Tribunale di Napoli, con cui era stata rigettata la domanda da lei proposta diretta ad ottenere l’indennità di accompagnamento a carico degli enti convenuti.

Deduceva che erroneamente il primo giudice aveva recepito le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. medico legale, posto che questi non aveva correttamente valutato il grave quadro patologico da cui essa appellante era affetta e non lo aveva considerato unitariamente, nè aveva esattamente individuato l’incidenza delle patologie sulla capacità di compiere gli atti quotidiani della vita.

Deduceva inoltre che il quadro patologico si era aggravato nelle more del giudizio. Chiedeva pertanto che, previa nomina di nuovo c.t.u. anche ai sensi dell’art. 149 disp. att. c.p.c., fosse riformata la impugnata sentenza e dichiarato il suo diritto alla indennità di accompagnamento o quanto meno all’assegno di invalidità civile.

L’Istituto resisteva al gravame.

La Corte d’appello di Napoli, rinnovata la c.t.u. medico legale, con sentenza depositata il 6 agosto 2009, respingeva il gravame per non avere la B. documentato il requisito reddituale.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la B., affidato a due motivi.

Resiste l’I.N.P.S. con controricorso, mentre il Ministero dell’Economia e Finanze, nonchè la Regione Campania restavano intimati.

Motivi della decisione

1. Deve pregiudizialmente respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dall’I.N.P.S., per non contenere lo stesso i quesiti di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c.. Tale norma, infatti, risulta applicabile, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, solo alle sentenze impugnate depositate dal 2 marzo 2006 al 3 luglio 2009. 2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per difetto di valutazione dell’allegata documentazione del requisito reddituale.

Lamenta di aver prodotto sin dal primo grado dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, idonea a dimostrare la sua (non ostativa) condizione reddituale, non contestata dall’I.N.P.S., sicchè la circostanza doveva ritenersi pacifica.

Il motivo è infondato.

Come esattamente affermato dalla corte territoriale, il principio di non contestazione può operare solo in presenza di dati fattuali esplicatati in modo esaustivo negli atti introducivi del giudizio, sicchè non è configurabile una "non contestazione" – con gli effetti da essa scaturenti – a fronte di dati fattuali non allegati e precisati da controparte, indicando, con particolare riferimento alla questione in esame, i redditi percepiti e precisando la loro natura (Cass. 14 aprile 2005 n. 7746; Cass. 11 luglio 2007 n. 15486; Cass. 17 giugno 2008 n. 16395).

Nella specie è evidente che la mera autocertificazione ove, come incontestatamente accertato dalla corte di merito, sia semplicemente indicato il possesso "delle condizioni reddituali previste dalla legge per la liquidazione delle provvidenze per la categoria invalidi civili" (pag. 5 sentenza impugnata), per la sua genericità è inidonea ad attribuire rilievo alla non contestazione da parte dell’I.N.P.S..

Va infine chiarito che anche nel giudizio avente ad oggetto la contestazione di un provvedimento di revoca del beneficio assistenziale basato esclusivamente sulla sopravvenuta insussistenza del requisito sanitario, deve essere verificata la permanenza di tutti i requisiti "ex lege" richiesti, e dunque anche quello reddituale (Cass. 20 febbraio 2009 n. 4254; Cass. ord. 7 maggio 2010 n. 11075).

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 437 c.p.c., nonchè dell’art. 149 disp. att. c.p.c.. Lamenta che il giudice di appello, anche a voler escludere l’efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, avrebbe dovuto consentire alla parte di fornire la prova del requisito reddituale in parola, se del caso facendo uso dei poteri ufficiosi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Deve innanzitutto rilevarsi, come più volte affermato da questa S.C. (Cass. sez. un. n. 10153 del 1998 e successiva giurisprudenza, tra cui, ex plurimis, Cass. 28 luglio 2000 n. 9976; Cass. 16 aprile 2004 n. 7299; Cass. 26 maggio 2009 n. 12131; Cass. 28 aprile 2010 n. 10191), che nessun valore probatorio, neanche indiziario, può essere attribuito alla dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale, nel giudizio civile caratterizzato dal principio dell’onere della prova, atteso che la parte non può derivare elementi di prova a proprio favore, ai fini del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 cod. civ., da proprie dichiarazioni.

Considerato che la ricorrente neppure deduce, e comunque non risulta dalla sentenza impugnata, di aver chiesto di provare idoneamente la propria situazione reddituale, la censura inerente il mancato ingresso della prova da parte del giudice di merito risulta infondata.

Quanto all’esercizio dei poteri ufficiosi, rileva la Corte che esso, nel giudizio di appello, presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali; l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti; l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (cfr. per tutte Cass. 11 marzo 2011 n. 5878).

Nella specie non risulta una incolpevole inerzia della parte interessata, posto che sin dalla pronuncia resa a sezioni unite da questa Corte (sent. n. 10153 del 1998) è stato affermato il principio dell’assoluta irrilevanza, anche indiziaria, deU’autocertificazione reddituale nei giudizi in questione.

Ciò preclude l’esercizio dei poteri ufficiosi, non sussistendo alcun quadro probatorio delineato dalla parte, ma piuttosto una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda.

A ciò aggiungasi che il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 cod. proc. civ., non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (Cass. 12 marzo 2009 n. 6023), circostanze queste neppure dedotte dalla ricorrente.

4. Il ricorso va dunque rigettato.

Nulla sulle spese, non essendo applicabile ratione temporis il D.L. n. 269 del 2003, art. 42.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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