Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-04-2012, n. 6499 Licenziamento per causa di malattia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 839/09, depositata il 13 luglio 2009, rigettava l’appello proposto da D. R.F. nei confronti della società AMIAT spa, in ordine alla sentenza del Tribunale emessa dal Torino il 7 novembre 2008. 2. Il D.R. aveva impugnato dinanzi al suddetto Tribunale il licenziamento intimatogli dall’AMIAT in data 20 marzo 2008 per il superamento del periodo di comporto per malattia.

Il giudice di primo grado rigettava la domanda.

3. La Corte d’Appello confermava la decisione del Tribunale in quanto: riteneva pacifico (non essendo stato contestato dal D. R.) il superamento da parte del lavoratore del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro definito dall’art. 39, lettera B, punto 1, del CCNL di settore vigente;

il licenziamento era avvenuto espressamente per superamento del periodo "breve" di comporto, con la conseguenza che era irrilevante l’indicazione nella lettera di licenziamento delle assenze per malattia;

correttamente l’AMIAT, in assenza di contestazioni del lavoratore, aveva conteggiato nel periodo di assenza per malattia, anche i giorni di ferie o di permessi maturati durante le assenze per malattia;

alla luce della ratto della disposizione di cui all’art. 39, punto 8, CCNL, l’incompletezza delle comunicazioni effettuate dall’AMIAT nel 2007 e nel 2008 non determinava, di per sè, l’illegittimità del licenziamento, fondato sul pacifico superamento del periodo di comporto breve, nè erano violati gli obblighi di correttezza e buona fede;

la tardività del recesso poteva verificarsi solo nel caso in cui il superamento del periodo di comporto non esisteva più al momento in cui si esercitava il potere, non quando il superamento, pur avvenuto mesi prima, permane nel presente.

4. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre il D.R. prospettando tre motivi di impugnazione.

5. Resiste con controricorso la società AMIAT.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettato il vizio di contraddittoria motivazione su circostanze di fatto determinanti al fine del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La motivazione sarebbe contraddittoria in quanto richiama l’applicabilità dell’art. 39, punto 8, del CCNL, al fine di valutare la completezza o meno delle comunicazioni, ma ritiene che la non esaustività di queste ultime, in ragione di quanto previsto dalla suddetta norma convenzionale, sia non conferente ai fini dell’illegittimità del licenziamento.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omessa motivazione su circostanze di fatto determinanti ai fini del giudizio.

La sentenza non avrebbe chiarito sia le ragioni per le quali si è ritenuto applicabile il comporto breve in luogo del comporto prolungato, sia se il lavoratore fosse stato informato di non poter beneficiare del periodo di comporto prolungato.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione di legge, in riferimento all’art. 39, punto 8, del CCNL Servizi Ambientali e Territoriali, che regola la determinazione del periodo di conservazione del posto di lavoro, nonchè degli artt. 1175 e 1375 c.c., in ordine all’obbligo generale di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

La citata disposizione contrattuale, infatti, richiedeva non una banale informativa, ma una specifica e puntuale comunicazione volta alla conservazione del posto di lavoro. Le comunicazioni per come effettuate inducevano in errore il ricorrente in violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.

4. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, in quanto tutti implicano la verifica, sotto diversi profili, di alcuni punti della disciplina dettata dal CCNL di settore, in particolare art. 39, sia con riguardo al vizio di motivazione che a quello di violazione di legge.

5. Il ricorso è improcedibile.

5.1. Questa Corte ha affermato a Sezioni Unite che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Ove, poi, la Corte ritenga di porre a fondamento della sua decisione una disposizione dell’accordo o contratto collettivo nazionale depositato dal ricorrente diversa da quelle indicate dalla parte, procedendo d’ufficio ad una interpretazione complessiva ex art. 1363 c.c., non riconducibile a quanto già dibattuto, trova applicazione, a garanzia dell’effettività del contraddittorio, l’art. 384 c.p.c., comma 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12), per cui la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al P.M. e alle parti un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione (Cass., Sezioni Unite, n. 20075 del 2010).

Facendo seguito all’affermazione dei suddetti principi, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (ex multis, Cass., ord., n. 21366 del 2010).

Il ricorrente ha prodotto in allegato al ricorso solo i fascicoli di parte, l’originale del ricorso notificato e la copia della sentenza impugnata, così non adempiendo al suddetto obbligo di legge.

Il Collegio, dunque, ove pure rilevasse la presenza del contratto collettivo nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al suo esame, non essendo esso depositato ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass., ord., n. 11614 del 2010).

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro quaranta per esborsi, Euro duemila per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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