Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-09-2011) 27-10-2011, n. 38838

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma dichiarava la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione avanzata dal Governo della Romania nei confronti di V.G. per l’esecuzione della pena di anni due di detenzione per millantato credito, in forza della sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello di Cluj, divenuta esecutiva il 16 dicembre 2004. 2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione la persona interessata, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 10 della Convenzione Europea di estradizione e al Secondo Protocollo addizionale. Si deduce la prescrizione sia del reato, risalente al 2001, sia della relativa pena, divenuta definitiva nel 2004, tenuto conto del periodo prescrizionale previsto dall’ordinamento italiano (nella specie, quattro anni). Si denuncia inoltre che, essendo il titolo estradizionale una sentenza emessa in absentia, non vi sarebbe alcuna garanzia che, una volta estradato, il ricorrente possa ottenere un nuovo procedimento che tuteli i diritti di difesa, essendo oramai decorsi i termini per proporre in patria l’impugnazione. Si lamenta altresì che l’estradando si ritroverebbe a scontare in Romania anche altre pene non previste dalla sentenza impugnata.

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in quanto non è stato disposto il riconoscimento della sentenza straniera ai fini della sua esecuzione nello Stato italiano, nel quale il ricorrente vive da anni lavorando onestamente.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Del tutto infondata è la doglianza relativa alla prescrizione del reato e della pena.

Deve ribadirsi che, nei rapporti di estradizione regolati dalla Convenzione Europea del 13 dicembre 1957, l’avvenuta prescrizione del reato è causa ostativa all’accoglimento della domanda, secondo la legislazione della parte richiedente o della parte richiesta (ex art. 10), unicamente nell’ambito delle estradizioni cd. "processuali", relative cioè ad un procedimento ancora in corso di svolgimento, dovendosi escludere l’applicabilità di tale motivo di rifiuto nell’ambito delle estradizioni avviate per finalità di esecuzione penale (cosiddette "esecutive") in presenza di una sentenza definitiva (Sez. 6, n. 45051 del 20/12/2010, Mandachi, Rv. 249218).

Esaminato pertanto soltanto il motivo riguardante la prescrizione della pena, deve constatarsi che, contrariamente all’assunto del ricorrente, non è ancora decorso il periodo minimo prescrizionale previsto dall’art. 172 c.p. italiano (dieci anni) e dall’art. 147 c.p. rumeno, comma 1, lett. b), (sette anni).

2. Quanto alla violazione dei diritti minimi di difesa, risulta dalla sentenza impugnata che l’estradando – che è stato assistito nel corso del procedimento in Romania da un difensore di fiducia e da un difensore d’ufficio con delega – ha già attivato in patria la prevista procedura per ottenere la rinnovazione del giudizio celebrato in absentia. Tale procedura garantisce, secondo i principi sanciti dalla Corte C.e.d.u., la "equità" del processo contumaciale, consentendo quindi l’estradabilità della persona giudicata e condannata in contumacia. L’art. 522 c.p. rumeno, comma 1, prevede infatti che "Nel caso in cui si richieda l’estradizione di una persona giudicata e condannata in contumacia, la causa potrà essere giudicata di nuovo dall’Autorità giudiziaria che ha giudicato in primo grado, su richiesta del condannato".

Tale disciplina è in linea con i principi stabiliti dall’art. 111 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea di estradizione, in base al quale l’estradizione esecutiva può essere rifiutata se "la procedura del giudizio non ha soddisfatto i diritti minimi della difesa riconosciuti ad ogni persona accusata di reato", ma "sarà concessa se la Parte richiedente darà assicurazioni ritenute sufficienti per garantire alla persona la cui estradizione è chiesta il diritto ad un nuovo procedimento di giudizio che tuteli i diritti della difesa". 3. Manifestamente infondata è la censura relativa alla possibilità che l’estradando venga sottoposto a pene detentive diverse da quelle oggetto della decisione della Corte di appello, ostandovi il principio di specialità sancito dall’art. 14 della Convenzione Europea di estradizione, che fa divieto allo Stato richiedente di sottoporre la persona estradata a pene o misure di sicurezza restrittive della libertà personale, per fatti diversi ed anteriori alla consegna.

4. Inammissibile è anche l’ultima censura. Questa Corte ha ritenuto non manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3 e art. 117 Cost., comma 1, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 705 c.p.p., nella parte in cui non prevede il rifiuto della consegna e la conseguente possibilità di scontare la pena in Italia, in favore del condannato, cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea, residente o dimorante nel nostro territorio ed ivi stabilmente radicato, per il quale sia stata attivata l’ordinaria procedura di estradizione, e non quella della consegna sulla base di un mandato d’arresto Europeo, in ragione dell’epoca del commesso reato, antecedente alla data del 7 agosto 2002 (sì da escludere l’operatività della condizione ostativa alla consegna prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r)) (Sez. 6, n. 5580 del 26/01/2011, Stepanescu, Rv. 249231).

Peraltro, il presupposto per la rilevanza della suddetta questione resta pur sempre la allegazione da parte dell’estradando dell’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo nello Stato, dimostrando di aver ivi istituito, con continuità temporale e sufficiente stabilità territoriale, la sede principale, anche se non esclusiva, dei propri interessi affettivi, professionali od economici.

Sul punto, il ricorrente, che ha tra l’altro sollevato la questione solo in questa sede, si è limitato a prospettare la sua condizione di residente, senza tuttavia allegare i necessari elementi dimostrativi. Il motivo, per la sua genericità deve ritenersi quindi inammissibile.

5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 500. La cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 alla cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per agli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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