Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-04-2012, n. 6496 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 18/10/06 – 8/1/07 la Corte d’appello di Milano – sezione lavoro ha rigettato l’impugnazione proposta dalla s.p.a.

Poste Italiane avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo lombardo, con la quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto al primo contratto stipulato con C.S. nel dicembre del 1998 sulla base delle esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione societaria di cui all’art. 8 del CCNL di settore del 26/11/94, con trasformazione dello stesso in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Nel confermare la sentenza impugnata la Corte territoriale ha spiegato che anche a voler ritenere legittima la possibilità di assumere a termine senza alcun limite temporale, pur individuato, questo, negli accordi che prevedono il ricorso alla causale di cui all’art 8, comma 2, del ccnl del 1994, non può prescindersi dalla dimostrazione che l’assunzione a termine in esame doveva essere, comunque, in relazione causale effettiva con la fattispecie individuata dagli accordi.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la s.p.a. Poste Italiane che affida l’impugnazione a sei motivi di censura.

Resiste con controricorso C.S..

Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo si deduce la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Ci si riferisce, in particolare, alla contraddizione nascente dal fatto che, da un lato, il giudice d’appello ha ammesso l’ampiezza della delega riconosciuta alla contrattazione collettiva nella individuazione delle ipotesi di assunzione a termine, e, dall’altro, l’ha negata, richiedendo l’osservanza di un rigido limite temporale di validità per una fattispecie che riguarda problemi strutturali della società che non potranno trovare soluzione in tempi brevi.

2. Col secondo motivo è segnalata la violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2, nonchè della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto si sostiene che i potere dei contraenti collettivi di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, stabilito dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, può essere esercitato senza limiti di tempo, tenuto conto che la stessa legge non prevede alcun limite temporale al riguardo.

3. Col terzo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione delle seguenti norme: della L. n. 56 del 1987, art. 23, art. 8 del ccnl 26/11/94, gli accordi sindacali del 25/9/97, del 18/1/98, del 27/4/98, del 2/7/98 e del 18/1/01, in connessione con l’art. 1362 c.c., e segg. ( art. 360 c.p.c., n. 3). Viene, quindi, posto il seguente quesito di diritto: "Se gli accordi c.d. attuativi, successivi alla stipulazione dell’Accordo sindacale del 25 settembre 1997 e, in particolare, gli accordi del 18 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998 e del 18 gennaio 2001 debbano interpretarsi, anche a norma dell’art. 1362 cod. civ., e segg., nel senso che le parti stipulanti si sono date reciprocamente atto del perdurare della particolare situazione in cui si trovava l’impresa e che legittimava le assunzioni a termine e non nel senso di porre nuovi limiti temporali alla facoltà di effettuare assunzioni con l’apposizione di un termine alla durata del contratto". 4. Oggetto del quarto motivo di censura è la denunzia di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5). Si contesta, in sintesi, l’approccio ermeneutico seguito dalla Corte territoriale in quanto si ritiene che la stessa ha preteso di desumere l’esistenza del limite temporale del 30/4/1998, non previsto nè dal contratto collettivo, nè dall’Accordo sindacale del 25/9/97, soltanto dai cosiddetti accordi attuativi e che una tale pretesa è erronea dal momento che presuppone necessariamente il convincimento che tali accordi debbano prevalere sul CCNL di settore, introducendo in esso elementi non stabiliti. In definitiva, secondo la ricorrente l’unico limite è rappresentato dalla determinazione della percentuale dei lavoratori che possono essere assunti a termine rispetto all’organico stabile.

Osserva la Corte che questi primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto investono sotto diversi aspetti la stessa questione della legittimità dell’apposizione del termine di cui trattasi e del limite temporale di cui all’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, ed ai successivi accordi attuativi.

Si osserva che il motivo non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1-2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19/11/2008 n. 27470).

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23/8/2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1/10/2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo (tale considerazione, del resto, pur richiamata nella sentenza impugnata, è stata considerata assorbita dalla Corte di Milano in ragione della ritenuta necessità della prova del collegamento concreto della assunzione de qua con la ristrutturazione in atto).

In tal senso, quindi, va rigettato il motivo.

5. Col quinto motivo si segnala la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5) in quanto si ritiene che la Corte, pur avendo correttamente affermato il principio per il quale il pagamento delle retribuzioni può decorrere solo dalla data di messa in mora della società, ha disposto la corresponsione delle medesime dalla data di ricezione del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c., anche se tale ricorso non conteneva alcuna offerta della prestazione e, quindi, era inidoneo alla costituzione in mora.

Il motivo è inammissibile La censura risulta, infatti, del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, ma non indica se e in che modo il punto stesso (per nulla trattato nell’impugnata sentenza) fosse stato oggetto di specifico motivo di appello da parte della società (cfr. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336). Peraltro la ricorrente neppure riporta il contenuto della comunicazione (dell’istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione, cfr. Cass. Cass. 28-7-2005 n. 15900, Cass. 30-8-2006 n. 18710) che secondo il suo assunto non avrebbe integrato la messa in mora.

6. Con l’ultimo motivo ci si duole della violazione e della falsa applicazione degli artt. 1218, 1219, 1223,1227, 2099 e 2697 cod. civ. ( art. 360 c.p.c., n. 3). Si sostiene che "l’aliunde perceptum" relativo ai redditi percepiti dalla controparte in conseguenza dei rapporti di lavoro intrattenuti con altri datori e la sua volontaria inerzia nella ricerca di una nuova occupazione non potevano essere provati che attraverso l’interrogatorio del lavoratore e l’ordine di esibizione documentale, per cui il rigetto delle relative istanze istruttorie e delle eccezioni in merito comportava un vizio di omessa motivazione sul punto. Si chiede, quindi, di accertare se nel caso di accertata illegittimità di apposizione del termine al contratto di assunzione il risarcimento del preteso danno derivante dalla perdita della retribuzione debba essere in ogni caso quantificato considerando "l’aliunde perceptum", ovvero il concorso colposo del lavoratore che abbia omesso di ricercare una diversa occupazione.

Il motivo è inammissibile, in quanto del tutto generico e privo di autosufficienza, sia con riguardo all’aliunde perceptum che al presunto concorso colposo del lavoratore nella mancata ricerca di una nuova occupazione, temi, questi, rispetto ai quali la ricorrente si limita a segnalare l’avvenuta proposizione di istanze istruttorie di tipo meramente esplorativo.

Invero, la ricorrente non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un "aliunde perceptum" (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10/8/2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099) ed una concorrente asserita mancata attivazione nella ricerca di una occupazione da parte del lavoratore. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo con attribuzione all’avv. Luigi Zezza, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese dei presente giudizio nella misura di Euro 3500,00 per onorario ed Euro 40,00, per esborsi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali con attribuzione all’avv. Luigi Zezza per dichiarata anticipazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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