Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-07-2011) 27-10-2011, n. 38851

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Torino con sentenza resa il 4/10/2010 ha confermato la sentenza del Tribunale di Alessandria che aveva assolto il dott. P.A.N. (e la Dott. N.G. la cui assoluzione non era stata impugnata) dal delitto di lesioni colpose addebitate.

A.A.A., parte civile, ha proposto ricorso per cassazione, per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato ai fini della sola responsabilità civile, ai sensi dell’art. 576 c.p.p..

La ricorrente A. denunzia:

1) violazione delle previsioni di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e); mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha omesso di esaminare nella sua interezza e complessità il primo motivo di appello; violazione di legge con riguardo all’art. 220 c.p.p..

La sentenza impugnata avrebbe esaminato solo il primo motivo di appello erroneamente ritenendo decisivo e assorbente tale esame; non avrebbe colto la necessità di verificare le conclusioni di perizia con le risultanze della istruttoria effettuata; non avrebbe giustificato la adesione alle conclusioni della perizia in atti e, dunque, avrebbe violato l’art. 220 c.p.p..

2) violazione delle previsioni di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di Appello ha omesso di esaminare gli ulteriori motivi di appello.

La motivazione della sentenza impugnata non avrebbe dedicato attenzione alcuna alle questioni devolute in punto di erroneità delle scelte terapeutiche e diagnostiche del Dott. P., in punto di violazione dei doveri di perizia diligenza e prudenza e in punto di nesso eziologico tra profili di colpa denunziati e danni patiti dalla persona offesa con particolare riguardo al rapporto tra omessa informazione, assenza di orientamento della autonomia decisionale della paziente e sottrazione della possibilità di scegliere terapie alternative alla scelta conservativa anche di demolizione radicale.

All’udienza pubblica del 12/7/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

L’imputato era stato chiamato a rispondere del delitto di cui all’art. 590 c.p., in relazione all’art. 583 c.p. per avere, per colpa professionale dovuta a imperizia e negligenza consistente nel non aver posto in essere gli accertamenti che avrebbero consentito una tempestiva diagnosi della ripresa della malattia di base (endometriosi) nonchè nel non aver adottato le conseguenti necessarie misure terapeutiche, cagionato ad A.A.A. l’indebolimento permanente dell’apparato digerente nonchè la perdita della capacità di procreare.

La sentenza di appello esclude che le questioni sollevate in punto di omessa informazione possano avere rilevanza in una condizione processuale nella quale tale omissione (peraltro negata dalla stessa Corte) non è stata oggetto di contestazione rivolta contro l’imputato. La sentenza di appello compie una analisi critica delle conclusioni peritali già assunte a fondamento della sentenza di primo grado, svolge una comparazione tra le tesi della parte appellante e le risultanze probatorie acquisite al processo e conclude per la totale infondatezza delle censure mosse.

Ogni censura relativa ad asserite omissioni di motivazione o vizi della stessa in punto di omessa informazione della paziente oggi ricorrente, è infondata perchè ripropone questioni alle quali la sentenza di appello ha dato motivata e niente affatto apparente risposta. Una tale censura non si fa ancora una volta carico della pur sottolineata estraneità delle questioni relative alla informazione della paziente rispetto alle contestazioni mosse all’imputato e agli stessi confini che delimitano il processo per il quale è ricorso. L’espediente secondo il quale la mancanza di informazione si risolverebbe in una condotta omissiva che ha dato causa alle lesioni per le quali è processo, propone una inammissibile alterazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 c.p.p., e domanda al giudice di legittimità di pronunziare su circostanze di fatto, eccentriche rispetto a quelle scrutinate nel contraddittorio delle parti e, certamente, non ricomprese, neppure in virtù di una relazione di continenza, nella contestazione mossa al medico. La prima censura è infondata perchè la decisione censurata, diversamente da quanto afferma la ricorrente, non si produce in una passiva recezione delle conclusioni dell’elaborato peritale già fatte proprie dalla sentenza di primo grado ma, giustapponendo le tesi di parte appellante alle indicazioni peritali e alle risultanze probatorie che le riscontrano, svolge esattamente quella complessa analisi critica che il ricorso nega sia stata svolta e la svolge in specifica considerazione delle tesi di appello. Peraltro la motivazione censurata segue una propria linea dimostrativa e giustificativa logica e coerente che non deve necessariamente ricalcare i percorsi argomentativi del gravame.

L’approdo di sentenza a motivate conclusioni che non coincidono con quelle auspicate dall’allora parte appellante non significa errata lettura dei motivi di appello ma solo rigetto di quei motivi.

La specifica motivazione dedicata alla evoluzione nel tempo delle conoscenze scientifiche in tema di endometriosi e al rapporto tra quella evoluzione e il tempo quasi decennale di cura e terapia della ricorrente presso il dott. P., oggi imputato, in una alla valutazione delle condotte del medico all’interno dello specifico rapporto terapeutico costituisce risposta senza omissione alcuna alle doglianze circa le errate scelte terapeutiche e diagnostiche del medico e circa la colpa sotto i profili della imperizia, negligenza e imprudenza nonchè circa il nesso eziologico tra colpa addebitata e danni patiti dalla persona offesa. In conclusione il ricorso è errato in ogni sua parte e deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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