Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-04-2012, n. 6581 Testamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 25 ed il 27-1-2003 B.R., in qualità di esercente la potestà sul figlio minore P. L., premesso di aver ottenuto un sequestro giudiziario di quote di diverse società nei confronti di P.N., P. S. e di P.G., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona questi ultimi in proprio e quali soci della Agricola Cà del Lago s.a.s., della Agricola Minerbe s.s. e della Azienda F.lli Perazzolo s.s. nonchè F.M. assumendo:

da una relazione sentimentale dell’esponente con P. D., al tempo coniugato con F.M., era nato il figlio L., riconosciuto da entrambi genitori; nel (OMISSIS) era stata diagnosticata a P.D. una grave neoplasia al cervello, degenerata progressivamente fino alla morte avvenuta il (OMISSIS);

L. era l’unico figlio del P., onde il testamento olografo da questi redatto il (OMISSIS) doveva essere revocato ai sensi dell’art. 687 c.c.;

con distinte scritture private autenticate del (OMISSIS) il P. aveva ceduto al nipote P.N. la sua quota di partecipazione in alcune società, e precisamente l’Agricola Minerbe s.s. di Nicola Perazzolo & c., l’Agricola Cà del Lago di Perazzolo Domenico & c. s.a.s., l’Az. Agricola Stuffione di Perazzolo Sergio & c. s.a.s., poi divenuta Az. Agricola Stuffione s.r.l., l’Agricola Gazzo s.n.c. di Perazzolo Domenico & c., poi denominata Società Agricola Porcellino d’Oro di Cascone Luigi & c., e l’Agricola Ronchetrin s.n.c. di Perazzolo Domenico & c., poi denominata Agricola Ronchetrin s.n.c. di Perazzolo Germano & c.;

con scrittura privata del (OMISSIS) P.D. aveva infine ceduto a P.N. la sua quota di partecipazione nella Azienda Agricola F.lli Perazzolo di Perazzolo Sergio, Nicola e Germano s.s.;

tutti gli atti di cessione erano stati sottoscritti, oltre che da P.D., anche da P.N., S. e G., ed il prezzo complessivo, pari a L. 2.713.149.575, non era mai stato pagato dall’acquirente P.N.;

poco tempo dopo la stipula dei suddetti negozi P.N., S. e G.;

avevano trasferito a terzi l’intero capitale sociale della Agricola Gazzo s.n.c., della Agricola Ronchestrin s.n.c. e della Azienda Agricola Stuffione di Perazzolo Sergio & c. s.a.s..

Tanto premesso, l’attrice chiedeva dichiararsi l’intervenuta revoca del testamento olografo redatto da P.D. il (OMISSIS) per sopravvenienza del figlio naturale riconosciuto P. L., dichiararsi conseguentemente che l’eredità di P. D. veniva devoluta per successione legittima agli eredi P.L. e F.M. nella quota di metà per ciascuno, e dichiararsi che P.L. era stato leso nella legittima a lui spettante sull’intero patrimonio ereditario di P.D. per effetto dei diversi negozi dispositivi posti in essere dai convenuti; chiedeva inoltre dichiararsi l’annullamento o la nullità delle cessioni effettuate il (OMISSIS) in quanto disposte da P.D. in stato di incapacità di intendere e di volere nota all’altro contraente, che nulla aveva versato quale corrispettivo delle cessioni stesse;

l’attrice chiedeva l’emissione di ogni conseguente statuizione in favore di P.L. ex artt. 2322 e 2284 c.c., nonchè la condanna in solido di N., S. e P.G. al risarcimento dei danni subiti da P.L. "iure proprio et ture hereditotis".

Costituendosi in giudizio N., G. e P.S., questi ultimi in proprio ed in qualità di soci della Azienda Agricola F.lli Perazzolo, della Agricola Minerbe s.s. e della Agricola Cà del Lago s.a.s.., eccepivano in via pregiudiziale la nullità dell’atto di citazione per violazione dell’art. 164 c.p.c., chiedevano dichiararsi l’inammissibilità di tutte le domande attrici o il loro rigetto nel merito, ad eccezione di quella relativa alla revoca del testamento olografo per sopravvenienza del figlio;

proponevano inoltre in via riconvenzionale la condanna di P. L. al rimborso dei prestiti alle società delle quali faceva parte P.D..

Si costituiva in giudizio P.S. in proprio e quale socio della Azienda Agricola F.lli Perazzolo s.a.s. proponendo le stesse eccezioni e la stessa domanda riconvenzionale formulate dagli altri convenuti.

Si costituiva in giudizio anche la F. chiedendo darsi atto della revoca di diritto del testamento olografo suddetto e quindi dichiararsi che l’esponente era erede del "de cuius" nella misura del 50%.

Con sentenza del 12-12-2007 il Tribunale adito confermava il sequestro giudiziario emesso "ante causam", revocava il testamento olografo redatto da P.D. il (OMISSIS) ed accertava il diritto del figlio P.L. alla metà del patrimonio relitto di P.D. unitamente al pari diritto della F., annullava le cessioni a P.N. della quote di partecipazione di P.D. nelle sopra menzionate società tutte concluse il (OMISSIS), dichiarava la nullità della cessione di cui alla scrittura privata del (OMISSIS), condannava l’Azienda Agricola Cà del Lago s.a.s. unitamente ai soci G. e P.N., l’Azienda Agricola Minerbe s.s. unitamente ai soci N., G. e P.S. e l’Azienda Agricola F.lli Perazzolo unitamente ai soci N., G. e P. S. a corrispondere a B.R. in nome e per conto di P.L. la liquidazione della quota di P.D. secondo il valore al momento del decesso di questi, pari ad Euro 1.873.409,00, in accoglimento della domanda attrice condannava P.N. al risarcimento dei danni nella misura di Euro 1.428.102,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, e respingeva le domande riconvenzionali.

Proposta impugnazione da parte di P.S., G. e N., in proprio e quali legali rappresentanti della Agricola F.lli Perazzolo s.s. cui resisteva la B. quale esercente la potestà sul figlio minore P.L. che proponeva altresì appello incidentale, la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 2-2-2010 ha condannato al pagamento in favore di P.L. l’Azienda Agricola Minerbe s.s. della somma di Euro 726.639,00, l’Azienda Agricola Cà del Lago s.a.s. della somma di Euro 1.131.320,00, e l’Azienda Agricola F.lli Perazzolo, unitamente ai soci illimitatamente responsabili G. e P.S., della somma di Euro 15.450,00, ha condannato Nicola Perazzolo al pagamento in favore di P.L. della somma di Euro 1.428.102,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, ed ha condannato in solido gli appellanti al rimborso di 3/4 delle spese di lite.

Avverso tale sentenza P.S., in proprio e quale legale rappresentante della Società Agricola Cà del Lago di Perazzolo Sergio e C. s.a.s. e della Società Agricola Minerbe di Perazzolo Sergio & C. società semplice, P.G., in proprio e quale rappresentante della Società Agricola Fratelli Perazzolo di Perazzolo Sergio e Germano s.s. e P.N. hanno proposto un ricorso articolato in sei motivi cui B.R. quale esercente la potestà sul figlio minore P.L. ha resistito con controricorso; la F. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e art. 164 c.p.c., nullità della sentenza per lesione del diritto di difesa ed omessa e/o insufficiente motivazione, sostengono che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che con l’espressione "con ogni conseguente statuizione in favore di P.L. ex artt. 2322 e 2284 c.c." contenuta nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado la B. aveva proposto due domande in via alternativa e non cumulativa; invero la congiunzione "e" al posto dell’avverbio "oppure" deponeva chiaramente per il cumulo delle due domande, l’una incompatibile con l’altra, posto che l’art. 2322 c.c. prevede la successione nel rapporto sociale, mentre l’art. 2284 c.c. disciplina, in assenza di patto contrario, la liquidazione della quota in favore degli eredi; correttamente quindi i convenuti, dopo aver eccepito nella comparsa di costituzione la nullità dell’atto di citazione per l’indeterminatezza del "petitum", avevano dichiarato di non accettare il contraddittorio sulla domanda di liquidazione della quota sociale formulata dall’attrice con la memoria del 5-12-2003; vi era stata quindi una gravissima lesione del diritto di difesa degli esponenti.

Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2284 c.c. e artt. 99 e 112 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto insussistente il vizio di ultrapetizione lamentato dagli appellanti, atteso che il richiamo all’art. 2284 c.c. deponeva inequivocabilmente per la formulazione di una domanda di condanna delle società al controvalore della quota;

invero non è stato considerato che l’art. 12 dello statuto dell’Az.

Agr. Cà del Lago s.a.s. riportato nell’atto di appello, derogando alla disciplina dettata dall’art. 2284 c.c., attribuiva agli eredi del socio, sia accomandante che accomandatario, il diritto di optare o per la prosecuzione nel rapporto sociale o per la liquidazione della quota stessa.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione sulla sollevata eccezione di ultrapetizione nella parte in cui la Corte territoriale ha rilevato l’avvenuta formulazione della domanda di condanna delle società esponenti alla liquidazione della quota dalla immediata operatività dello scioglimento del rapporto sociale per gli eredi del socio defunto, a prescindere dallo scioglimento o meno della società; non è stato così esaminato l’assunto degli appellanti secondo cui, a tutto voler concedere, con le conclusioni dell’atto di citazione sopra riportate l’attrice aveva chiesto una pronuncia dichiarativa e non una sentenza di condanna, condanna che d’altra parte presupponeva un inadempimento delle società passivamente legittimate alla liquidazione della quota, ovvero il mancato rispetto del termine loro concesso per la liquidazione della quota all’erede del socio defunto che, ai sensi dell’art. 12 dello statuto dell’Az. Agr. Cà del Lago s.a.s., era previsto in due anni dal giorno del decesso del socio stesso; pertanto tale inadempimento era insussistente all’atto della instaurazione del giudizio di primo grado.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

Il giudice di appello ha escluso la dedotta nullità dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, atteso che l’espressione ivi utilizzata "con ogni conseguente statuizione in favore di P.L. ex artt. 2322 e 2284 c.c." appariva sufficientemente determinata e specifica; la Corte territoriale, quindi, condividendo il convincimento in proposito espresso dal Tribunale di Verona, ha affermato che con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado erano state formulate due domande in via alternativa, pacificamente ammissibili, con successiva specificazione nella successiva memoria depositata ex art. 183 c.p.c., comma 5 della domanda relativa alla liquidazione della quota ex art. 2284 c.c., ed ha aggiunto che il richiamo al disposto di detto articolo era univoco e implicava la richiesta di liquidazione della quota, attesa l’immediata operatività dello scioglimento del rapporto sociale nei confronti degli eredi del socio defunto.

Tale convincimento è condivisibile e quindi immune dalle censure sollevate dai ricorrenti.

Anzitutto è evidente che le domande introdotte nel suddetto atto di citazione con la locuzione sopra richiamata erano poste in via alternativa tra loro, posto che l’art. 2322 c.c. prevede la trasmissibilità per causa di morte della quota di partecipazione del socio accomandante, mentre l’art. 2284 c.c. stabilisce nella società semplice, in caso di morte di uno dei soci, la liquidazione della quota agli eredi; pertanto legittimamente parte attrice ha poi proceduto con la successiva memoria depositata ex art. 183 c.p.c., comma 5 (nel testo allora vigente) alla scelta, tra le due domande suddette, di quella avente ad oggetto la liquidazione della quota ex art. 2284 c.c.; il rilievo quindi dei ricorrenti secondo cui l’art. 12 dello statuto dell’Az. Cà del Lago s.a.s. attribuiva agli eredi del socio defunto di optare o per la prosecuzione nel rapporto sociale o per la liquidazione della quota è ininfluente, posto che anzi tale previsione statutaria conferma la legittimità della scelta operata da parte attrice richiedendo la liquidazione della quota stessa.

Si deve poi osservare che, una volta correttamente interpretata la domanda attrice come liquidazione della quota del socio defunto, logicamente in essa era insita la richiesta di condanna delle controparti alla corresponsione del valore della quota stessa.

Infine, con riferimento al profilo di censura con il quale si deduce che non sussisteva inadempimento delle società passivamente legittimate alla liquidazione della quota, non essendo ancora decorso il termine loro concesso dall’art. 12 del sopra citato statuto sociale al momento dell’introduzione del giudizio di primo grado, si rileva che tale questione, non trattata nella sentenza impugnata, non risulta riproposta nelle conclusioni formulate dagli appellanti nell’epigrafe della sentenza impugnata.

Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 300 e 305 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver escluso la perdita della capacità processuale delle società appellanti a seguito della nomina del custode giudiziario, e quindi per aver altresì negato che fosse intervenuta l’interruzione del processo;

non è stato invero considerato che, a seguito di un nuovo ricorso d’urgenza proposto dalla B. dopo la concessione del sequestro giudiziario e la nomina del custode giudiziario, il Tribunale di Verona con ordinanza del 25-3-2004 aveva attribuito al solo custode giudiziario tutti i poteri di rappresentanza sostanziale delle società già spettanti ai soci; pertanto dalla data della menzionata ordinanza il processo si era interrotto ai sensi dell’art. 300 c.p.c. e non era stato riassunto entro il termine di sei mesi previsto dall’art. 305 c.p.c. nei confronti delle società non più rappresentate dai soci convenuti, e pertanto il processo si era estinto.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha escluso che la nomina del custode giudiziario a seguito della concessione del sequestro giudiziario avesse determinato la perdita delle capacità processuale delle appellanti con conseguente automatica interruzione del processo, ritenendo che il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto rappresentante d’ufficio nella sua qualità di ausiliario del giudice, risponde direttamente degli atti compiuti in tale veste, e che pertanto la legittimazione processuale del custode giudiziario è correlata unicamente a situazioni sorte nel corso della sua amministrazione e ricollegabili ad atti da lui posti in essere in tale qualità.

L’assunto è corretto, posto che il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario ha una funzione limitata alla conservazione ed all’amministrazione di tali beni, e può stare quindi in giudizio soltanto a tali fini onde garantire la funzione strumentale del provvedimento cautelare, mentre resta estraneo ad altri rapporti processuali, come quelli inerenti alla presente controversia.

Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., comma 2 e art. 214 c.p.c. e art. 2702 c.c., assumono che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto tardive tutte le domande di condanna della controparte alla restituzione di somme relative a debiti del defunto e di compensazione dei debiti degli appellanti con debiti del "de cuius" nei confronti delle società perchè successive al febbraio 2005;

invero, una volta ritenuta l’integrità del contraddittorio anche nei confronti delle società per effetto della citazione in giudizio di tutti i soci, il giudice di appello avrebbe dovuto ricondurre a dette società anche la domanda di cui alla comparsa di costituzione dei convenuti del 3-4-2003, subordinata all’accoglimento delle domande avversarie e tesa alla compensazione di ogni eventuale debito nei confronti di P.L. con i crediti accertati nei confronti di P.D..

I ricorrenti inoltre rilevano, quanto alla presunta insussistenza della prova di debiti di P.D. nei confronti delle società, che la Corte territoriale ha omesso l’esame del documento allegato alla predetta comparsa di costituzione costituito dall’espresso ed autografo riconoscimento da parte del "de cuius" di essere debitore nei confronti della Agricola F.lli Perazzolo s.s. della somma di Euro 227.241,04 ricevuta in prestito nel corso degli anni.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha anzitutto ritenuto tardiva la suddetta domanda riconvenzionale relativa all’esistenza di crediti delle società nei confronti di P.D. in quanto proposta solo in data successiva al febbraio 2005; orbene il contrario assunto dei ricorrenti non appare fondato, perchè, secondo quanto da essi stesso trascritto nel ricorso, nella comparsa di costituzione dei convenuti del (OMISSIS) era contenuto soltanto un generico riferimento ad una compensazione eventuale dei "debiti ed i crediti che dovessero essere accertati tra le parti", senza alcun richiamo specifico alle suddette società.

La Corte territoriale ha comunque esaminato nel merito tale domanda escludendo, sulla base della CTU di natura contabile espletata, la prova sia dell’effettiva esistenza del debito e del relativo pagamento sia degli stessi elementi costitutivi dell’asserito accollo di debiti del "de cuius" da parte degli appellanti, attesa la situazione di carenza amministrativa e di confusione contabile comune a tutte le società, cosicchè non risultavano ricostruibili i movimenti finanziari intercorse tra le varie società e tra di esse ed i soci; nè tali conclusioni, frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, possono essere infirmate dal documento trascritto nel ricorso e richiamato dai ricorrenti, che invero nella sua genericità (non essendo ivi indicate le causali del presunto debito riconosciuto da P.D. nei confronti dell’Azienda Agricola Perazzolo), non può superare gli esiti della richiamata CTU contabile e di quella integrativa, non risultando del resto che siano stati sollevati specifici rilievi al CTU in ordine alla mancata valutazione del predetto documento.

Con il sesto motivo i ricorrenti, deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione, assumono che erroneamente la sentenza impugnata ha condannato gli esponenti al pagamento dei 3/4 delle spese di giudizio, senza considerare che gli appellanti P. S. e P.G. sono risultati vittoriosi su tutti i motivi di appello che li riguardavano personalmente, e che i capi della sentenza contenenti statuizioni nei loro personali confronti sono stati tutti riformati.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, tenuto conto da un lato del parziale accoglimento dell’appello e dall’altro dell’esito del giudizio, dal quale emergeva comunque una prevalente soccombenza degli appellanti, ha compensato per 1/4 le spese di lite ed ha condannato questi ultimi al rimborso dei residui 3/4 di esse in virtù appunto del principio della soccombenza che riguarda anche P.G. e P.S., che invero sono stati condannati, unitamente all’Az. Agricola F.lli Perazzolo, al pagamento della somma di Euro 15.450,00 in favore di P.L..

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 5.000,00 per onorari di avvocato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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