Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-06-2011) 27-10-2011, n. 39090 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 25.6.2010 la Corte di appello di Lecce confermava la decisione con la quale C.G. veniva ritenuto colpevole del reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 2 e di quello di cui all’art. 697 c.p., così diversamente qualificato il fatto originariamente contestato al capo b) dell’imputazione, per aver detenuto all’interno di un garage nella sua disponibilità una bomba a mano da esercitazione tipo SRCM, priva della carica di scoppio, nonchè n. 85 cartucce cal. 9 M34 e n. 36 cartucce cal. 375 magnum, munizioni per arma comune da sparo, condannando il predetto alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi otto di reclusione ed Euro 200 di multa, nonchè a quella di Euro 200 di ammenda.

In specie, la Corte territoriale affermava che, alla luce della perizia doveva ritenersi che l’oggetto sequestrato non poteva qualificarsi, come dedotto dall’appellante, un semplice guscio non funzionante utilizzato come oggetto ornamentale e di arredo; ed invero, pur essendo priva della camera di scoppio e del donatore, opportunamente caricato poteva svolgere la sua propria funzione. Sì trattava, quindi, di una granata da esercitazione mancante soltanto di alcuni componenti; non v’era dubbio, pertanto, in ordine alla configurabilità del reato contestato alla luce dei criteri ermeneutici indicanti dalla Corte di legittimità. Peraltro, evidenziava il giudice di merito, al momento del sequestro la granata non era affatto adibita a portapenne, ma era custodita nel garage dell’abitazione dell’Imputato unitamente alle cartucce.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C., personalmente, denunciando la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di detenzione di arma da guerra.

In particolare, il ricorrente contesta la qualificazione del fatto, tenuto conto che l’oggetto sequestrato era costituito da un mero involucro privo del detonatore, impossibile da reperire, e dell’esplosivo; quindi, si trattava di un oggetto del tutto inefficiente come arma.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato e muove censure di mero fatto non sindacabili in questa sede, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Deve essere ricordato che "la detenzione di parti di armi non va esclusa dall’obbligo di denuncia allorquando esse, nel loro insieme, non riescano a comporre un’arma, dato che le norme contenute nelle L. 2 ottobre 1967, n. 895, L. 14 ottobre 1974, n. 497, e L. 18 aprile 1975, n. 110 non pongono alcun problema di assemblaggio, ma fanno divieto di detenzione illegale anche delle parti di armi, in qualunque misura, pur se esse non siano sufficienti alla ricomposizione di un’arma intera" (Sez. 1, n. 9817, 23/04/1990, Giuliani rv 184801)". 2. Nella specie – come è stato rilevato nella motivazione della sentenza spugnata, nonchè, in quella di primo grado – dalla relazione di consulenza tecnica emergeva che si trattava di bomba a mano, ossia di un ordigno di tipo offensivo a funzionamento universale, inquadrabile nella categoria delle armi da guerra.

Benchè, le condizioni in cui era stato rinvenuto all’atto del sequestro non consentissero all’ordigno di arrecare offesa, in quanto privo di carica di scoppio e del detonatore, ciò non di meno, lo stesso doveva ritenersi perfettamente efficiente e suscettive di funzionamento con l’inserimento della parte mancante i giudici di merito hanno altresì, evidenziato come la circostanza che l’imputato ritenesse la bomba a mano da molti anni e che ne fosse venuto in possesso in ragione delle funzioni precedentemente espletate, non consentiva di escludere la configurabilità del reato contestato.

A fronte di tale compiuta motivazione, le ulteriori doglianze del ricorrente si risolvono in censure in fatto, volte ad una mera rilettura degli elementi posti a fondamento della decisione, che resta preclusa al giudice di legittimità in sede di controllo sulla motivazione.

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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