Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-04-2012, n. 6578 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 12-11-1992 P.E., comproprietario di un immobile sito in (OMISSIS) composto di due alloggi ed altre pertinenze, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Treviso il fratello P.B. chiedendo accertarsi, sulla base della scrittura privata del 14-9-1982, la sua proprietà dell’alloggio sito al piano terra con cantina, garage e servizi nonchè dell’area scoperta con quanto sopra eretto.

Si costituiva in giudizio il convenuto chiedendo il rigetto della domanda attrice in quanto la richiamata scrittura privata era affetta da nullità per non essere stata sottoscritta da tutti i comproprietari; eccepiva inoltre la prescrizione dell’azione ex art. 2932 c.c., ed aggiungeva che lo stato dei luoghi era talmente modificato da non poter più rispecchiare l’assetto divisorio delineato nell’atto del 14-9-1982.

Disposta la cancellazione della causa dal ruolo, l’attore provvedeva alla riassunzione con comparsa notificata il 20-12-1995; P. B. si costituiva in giudizio richiamando le proprie difese inizialmente svolte, e chiedendo in via riconvenzionale che venisse accertato lo svolgimento di una attività industriale da parte dell’attore in violazione dell’art. 1102 c.c. che provocava immissioni rumorose insalubri, e che il fratello P.E. venisse condannato per tale ragione a risarcimento dei danni.

Con atto di citazione notificato il 28-3-1995 P.B., Z. M., P.G. ed P.A. convenivano in giudizio dinanzi allo stesso Tribunale P.E. chiedendone la condanna alla cessazione dell’attività rumorosa ed insalubre svolta nella proprietà comune anche in danno del diritto degli occupanti e del comproprietario nonchè al risarcimento del danno.

Si costituiva in giudizio il convenuto chiedendo il rigetto delle domande attrici nonchè, in via riconvenzionale, la condanna degli attori a risarcimento dei danni per avere P.B. ostacolato l’esponente nell’utilizzo del cortile comune.

Riuniti i procedimenti il Tribunale adito con sentenza del 10-9-2003, ritenuto che con la convenzione di divisione del 14-9-1982 le parti avevano inteso disporre l’assegnazione immediata a ciascuna di esse dei beni ivi suddivisi, attribuiva in proprietà esclusiva a ciascun condividente detti beni secondo quanto ivi previsto, compensava interamente tra le parti le spese di giudizio, e rimetteva la causa in istruttoria in ordine alle ulteriori domande di natura risarcitoria.

Proposta impugnazione da parte di P.B. cui resisteva P.E. che formulava altresì un appello incidentale, la Corte di Appello di Venezia con sentenza dell’8-3-2010 ha rigettato l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, ha condannato P.B. al rimborso in favore di P.E. delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso tale sentenza P.B. ha proposto un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi seguito successivamente da una memoria cui P.E. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver affermato che le parti con la convenzione del 14-9-1982 si sarebbero impegnate non ad una stipula futura, ma a dare immediata efficacia a quell’accordo che prevedeva l’assegnazione "di beni esattamente individuati all’uno e all’altro dei condividenti, statim".

Il ricorrente sostiene anzitutto che il giudice di appello ha fatto riferimento al documento del 27-6-1986 sottoscritto da entrambe le parti, individuando in esso in diverso colore le aree assegnate in proprietà esclusiva e quelle che rimanevano comuni, mentre in realtà si trattava di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà indirizzata all’Ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS) con la quale i P. avevano presentato documentazione integrativa della precedente domanda di sanatoria presentata il 31-1-1986, ed avente un diverso contenuto rispetto a quello evidenziato nella sentenza impugnata, essendo stato ivi affermato che la proprietà tra le parti risultava ancora indivisa.

Il ricorrente inoltre assume che la Corte territoriale ha dato rilievo a circostanze insussistenti; infatti l’asserita successiva esecuzione della convenzione ad opera delle parti non si era verificata, avendo esse semmai operato un frazionamento che presentava una linea divisionale diversa rispetto a quella prevista nella convenzione; del pari, contrariamente all’assunto del giudice di appello, non vi era stata una allegazione alla convenzione delle schede planimetriche, che inoltre non erano state tutte sottoscritte dai condividenti.

P.B. rileva che per converso la sentenza impugnata non ha valorizzato il tenore letterale della convenzione, dal quale emergeva che le parti intendevano solo sottolineare la volontà reciproca di procedere alla divisione, nè il comportamento successivo delle parti stesse che, successivamente alla sottoscrizione della convenzione, si erano qualificate comproprietarie ed avevano attuato un frazionamento diverso rispetto a quello individuato nella convenzione.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha affermato che dal tenore della convenzione del 14-9-1982 si evinceva che i fratelli P. si erano impegnati non già ad una stipula futura (laddove infatti il rogito era rimandato ad un tempo indefinito, quando le parti lo avessero "ritenuto opportuno"), ma a dare immediata efficacia a quell’accordo con l’assegnazione all’uno ed all’altro dei condividenti di beni esattamente individuati; ha poi aggiunto che l’efficacia reale del contratto di divisione di desumeva dal fatto che i P. vi avevano dato esecuzione, incaricando un tecnico del frazionamento e dell’accatastamento, individuando nel documento del 27-8-1986 da loro sottoscritto con diversa coloritura le aree assegnate in proprietà esclusiva e quelle che rimanevano comuni; nello stesso senso il giudice di appello ha valorizzato l’allegazione al negozio divisorio delle mappe descrittive del terreno frazionato e delle schede planimetriche, tutte sottoscritte dai condividenti e richiamate come parte integrante della convenzione del 14-9-1982; infine ha escluso rilevanza in senso contrario alla presentazione in sede amministrativa di documenti con intestazione congiunta in proprietà indivisa dei beni oggetto del suddetto accordo, attesa la mancata formalizzazione della divisione con efficacia "erga omnes".

Orbene alla luce degli evidenziati elementi si deve ritenere che, avendo la Corte territoriale correttamente proceduto alla interpretazione della scrittura del 14-9-2002 facendo riferimento anzitutto al criterio ermeneutico letterale e poi anche al comportamento delle parti successivo alla conclusione del negozio divisorio, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da logica e congrua motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove del resto il ricorrente non ha denunciato alcuna violazione delle regole di interpretazione dei contratti, ma ha dedotto vizi di motivazione che si sostanziano inammissibilmente in una ricostruzione della volontà dei contraenti ad esso più favorevole, trascurando di considerare che l’interpretazione data dal giudice di merito al contratto è sottratta al sindacato di legittimità non soltanto quando sia l’unica possibile, ma anche tutte le volte che risulti una delle possibili e plausibili interpretazioni; pertanto la prospettazione da parte di P.B. di una realtà di fatto diversa da quella accertata dalla sentenza impugnata è inammissibile; in particolare quindi si deve rilevare, con riferimento al documento del 27-8-1986 sottoscritto dalle parti e richiamato dal giudice di appello, come già esposto, a conferma del proprio convincimento, che il suo contenuto come enunciato dal ricorrente non vale ed elidere il rilievo della sentenza impugnata che in esso erano individuate con diversa coloritura le aree assegnate in proprietà esclusiva ai condividenti e quelle che rimanevano comuni.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, afferma che, mentre P.E. con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado aveva chiesto di essere dichiarato proprietario dell’alloggio al piano terra, dell’area scoperta con quanto sopra eretto e comproprietario di una quota indivisa della metà dell’area su cui insisteva il fabbricato e di altra area "tenendo luogo l’emananda sentenza ad ogni effetto pubblico del contratto di divisione e assegnazione della quota", e quindi formulando una domanda ex art. 2932 c.c., il giudice di appello, nel confermare la sentenza di primo grado che aveva assegnato all’attore i beni indicati nella convenzione del 14-9-1982, era incorso in un vizio di extrapetizione o di ultrapetizione.

La censura è inammissibile.

Deve premettersi che il giudice di primo grado, come più sopra esposto, aveva ritenuto che con la convenzione del 14-9-1982 i contraenti avevano voluto disporre l’assegnazione immediata a ciascuna di essi dei beni ivi suddivisi, e non aveva quindi emesso alcuna sentenza ex art. 2932 c.c.; pertanto P.B., qualora avesse ritenuto che tale statuizione violasse il disposto dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza con la domanda proposta da P.E., avrebbe dovuto impugnarla dinanzi al giudice di appello sotto tale profilo per evitare sul punto la formazione del giudicato; orbene, considerato che tale questione non risulta essere stata trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nei merito la questione stessa.

Con il terzo motivo P.B., denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1219 e 2943 c.c. e vizio di motivazione, sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che "qualsiasi termine prescrizionale era stato interrotto stante l’intervenuta intimazione per iscritto da parte di E. al fratello B. di dare corso alla stipula notarile con missiva del 10/2/92 prodotta quale documento n. 6) dall’allora attore"; invero tale documento non aveva i caratteri di un atto di costituzione in mora, come tale idoneo ad interrompere la prescrizione, trattandosi di una lettera dell’avvocato Taffarello con la quale il legale comunicava all’esponente di attenderlo in studio per concordare la data dei rogito da fissare insieme al notaio, senza la chiara esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento.

La censura è inammissibile.

Premesso che il giudice di appello, come più volte esposto, ha confermato la statuizione del Tribunale di Treviso in ordine alla natura reale della convenzione del 14-9-1982, è evidente che l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto in riferimento all’azione ex art. 2932 c.c. era superata, cosicchè l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine al fatto che qualsiasi termine prescrizionale risultava interrotto si configura come un "obiter dictum", come tale estraneo alla "ratio decidendi".

Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. nella sua formulazione antecedente al testo introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, censura la sentenza impugnata per aver accolto l’appello incidentale condannando l’esponente al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio e di quelle occorse per la CTU, non considerando che il giudizio tra le parti aveva ad oggetto una domanda ex art. 2932 c.c., che le parti, dopo la stipula della suddetta convenzione, avevano tenuto un comportamento contrario all’esecuzione della convenzione stessa, che il CTU aveva riscontrato che la situazione di fatto non corrispondeva a quella prevista nella convenzione, e che era emerso che le parti potessero trovare un accordo, poi non raggiunto, su una delle ipotesi divisionali individuate dal CTU, elementi tutti che avevano indotto il giudice di primo grado a compensare le spese del giudizio.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, ritenuto che nella fattispecie, non ricorrendo un giudizio propriamente divisorio, ma una divisione negoziale già intervenuta con scrittura privata non autenticata che quindi aveva comportato al riguardo un accertamento giudiziale, e che P. B. si era opposto a tale domanda sollevando questioni rivelatesi infondate, ha condannato quest’ultimo al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in base al principio della soccombenza.

Tale convincimento è pienamente condivisibile, considerato che le argomentazioni sollevate con il motivo in esame dal ricorrente si sono rivelate del tutto infondate all’esito del giudizio di merito, e che pertanto la statuizione impugnata risulta pienamente conforme al principio della ripartizione dell’onere delle spese di giudizio in applicazione del criterio della soccombenza.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 5.000,00 per onorari di avvocato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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