Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-04-2012, n. 6577 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24-11-1993 L.B.G. quale procuratore generale del proprio fratello L.B.S. A. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Palermo il 14-10-1993 su istanza di L.B.A. e L.B.N. (rispettivamente zio e cugina dell’opponente) riguardante la condanna dell’opponente alla consegna di una serie di oggetti di antiquariato indicati in una scrittura privata del 3-2-1985 costituente una divisione negoziale per lotti sorteggiati ed accettati dell’eredità dei propri nonni paterni (rispettivamente genitori e nonni degli opposti).

L’opponente deduceva l’erroneità della suddetta scrittura privata di cui assumeva la natura di mero progetto non definitivo; in via riconvenzionale azionava uno "jus ritentionis" avente causa nel debito degli opposti verso la comunione ereditaria derivante dalla sottrazione di beni ereditari; negava inoltre la conformità agli originali della fotocopia della scrittura di divisione del 3-2-1985 e delle fotocopie contenenti l’individuazione dei beni rientranti nei lotti sorteggiati ed attribuiti in proprietà piena agli opposti.

Questi ultimi costituendosi in giudizio contestavano il fondamento dell’opposizione di cui chiedevano il rigetto.

Il Tribunale adito con sentenza del 22-11-2005 accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo opposto ed affermava il diritto dell’opponente di integrare la propria quota con i beni di cui al provvedimento monitorio.

Proposto gravame da parte di L.B.N. e di P.L. e Pi.Lu. quali eredi di L.B.A. cui resisteva L.B.G. quale procuratore generale di L.B.S. A. formulando altresì un appello incidentale la Corte di Appello di Palermo con sentenza del 17-5-2010 ha rigettato l’opposizione proposta da quest’ultimo contro il sopra menzionato decreto ingiuntivo, ha rigettato la domanda riconvenzionale introdotta dall’opponente ed ha condannato l’appellato al pagamento delle spese del giudizio di primo e di secondo grado.

Per la cassazione di tale sentenza L.B.G. quale procuratore generale di L.B.S.A. ha proposto un ricorso affidato a quattro motivi cui L.B.N., P. L. e Pi.Lu., le ultime quali eredi di L.B.A., hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., assume che la Corte territoriale non si è pronunciata sulla richiesta di disconoscimento della scrittura di divisione del 3-2-1985 proposta alle udienze del 10-2-1994, del 5-4-1994 e del 10-1-1995 sul rilievo che non risultava intellegibile il criterio di collegamento tra la documentazione prodotta in sede monitoria (ovvero la scrittura del 3-2-1985 e la precedente scrittura del 4-10-1977) e l’analitica individuazione compiuta nella medesima sede degli oggetti di antiquariato dei quali gli opposti chiedevano la consegna.

La censura è inammissibile.

Premesso infatti che lo stesso ricorrente ha dedotto di aver sollevato l’enunciata questione alle menzionate udienze, tutte relative al giudizio di primo grado, si deve rilevare che non risulta che la questione stessa sia stata riproposta nel giudizio di appello secondo le modalità di cui all’art. 346 c.p.c.; è pur vero poi che L.B.G., come già esposto, aveva formulato un appello incidentale, ma occorre chiarire che la Corte territoriale lo ha rigettato in quanto privo di specifiche censure, e che tale ultima statuizione non è stata impugnata in questa sede; pertanto l’affermazione del Tribunale di Palermo (riportata dal giudice di appello) circa il carattere definitivo e vincolante della scrittura di divisione del 3-2-1985 è passata in giudicato.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e artt. 2697 e 2907 c.c. sotto diversi profili.

Anzitutto L.B.G. fa presente che il giudice di appello ha omesso la valutazione delle deposizioni rilasciate dai testi T.M., A.E.C. e L.B. in ordine alla formazione dei lotti in ragione delle previsioni di cui alla scrittura di divisione del 4-10-1977, con la quale L.B.A., L.B.G. e L.B.C. avevano stabilito che "i beni dovevano essere costituiti da lotti di eguale valore e da realizzare possibilmente nell’ambito di intere collezioni" (vedi pag. 3 del ricorso).

Inoltre il ricorrente assume che erroneamente la Corte territoriale ha valutato l’incidenza di due sentenze penali della Corte di Appello di Palermo nei confronti rispettivamente di L.B.N. e di L.B.A. e sempre di L.B.N., e richiama in proposito l’orientamento giurisprudenziale in ordine al principio che le sentenze istruttorie di proscioglimento non hanno autorità di cosa giudicata nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno; aggiunge che il giudice di appello, avendo escluso la sussistenza della prova che l’opponente fosse titolare di un diritto di credito nei confronti delle controparti corrispondente alla sua quota dei beni comuni tuttora mancanti, non ha tenuto conto delle risultanze emerse dalla sentenza penale della Corte di Appello di Palermo pur richiamata dalla Corte territoriale, laddove era stato accertato che L.B.A. e L.B.N. avevano il possesso dei beni sottratti, in ordine ai quali contraddittoriamente la sentenza impugnata ha affermato che essi erano stati acquisiti alla massa ereditaria pur avendo ritenuto che fossero "mancanti".

Infine il ricorrente sostiene che erroneamente gli oggetti trafugati potessero essere oggetto di un supplemento di divisione ex art. 762 c.c., in quanto nella fattispecie non si discuteva di omissione di beni dell’eredità, ma della loro mancanza.

La censura è in parte inammissibile ed in parte infondata.

Sotto un primo profilo si osserva che il ricorrente, facendo riferimento ad una scrittura di divisione intervenuta tra le parti il 4-10-1977, antecedente quindi alla scrittura del 3-2-1985, prospetta una questione di fatto non trattata nella sentenza impugnata;

pertanto il ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Con riferimento poi agli altri punti sollevati nel motivo in esame, si rileva che il giudice di appello ha premesso che la Corte di Appello di Palermo con sentenza del 13-6-1991 passata in giudicato aveva prosciolto L.B.N. dal reato di furto continuato ascrittole in relazione a fatti anteriori al 2-2-1983 per non aver commesso il fatto e dal reato di sottrazione di cose comuni successivo a tale data, contestato fino al dicembre dello stesso anno, perchè l’azione penale non avrebbe potuto essere iniziata per mancanza di querela, ed ha aggiunto che analoga pronuncia era stata emessa nei confronti di L.B.A. e di L.B.N. in ordine ai reati di appropriazione indebita di oggetti di cui il primo aveva il possesso in quanto collocati nella sua abitazione o in locali nella sua disponibilità; la Corte territoriale poi, pur dando atto che dalla motivazione della menzionata sentenza emergeva che il possesso da parte dei suddetti imputati degli oggetti di antiquariato sequestrati nelle loro abitazioni o rinvenuti presso terzi loro aventi causa assumeva la valenza di una vera prova, non potendosi considerare giustificato, ha ritenuto che tale valutazione tuttavia non poteva certamente estendersi agli oggetti mancanti diversi da quelli sequestrati ed ormai recuperati alla massa ereditaria, che ben avrebbero potuto costituire oggetto di un supplemento di divisione;

tale rilievo deve essere coordinato con la precedente affermazione del giudice di appello (non oggetto di censure in questa sede) secondo cui la volontà espressa dai contraenti con l’atto di divisione del 3-2-1985 era quella di dividere soltanto gli oggetti esistenti nell’appartamento sito al primo piano dell’edificio di (OMISSIS) valutati dai periti To. e G., e che i furti e le sottrazioni di beni ereditari si erano verifreati in epoca precedente, ossia fino al dicembre 1983; pertanto la sentenza impugnata all’esito di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione ha ritenuto che le vicende di rilevanza penale sopra richiamate, pur attestanti la prova del possesso da parte degli imputati di determinati oggetti di antiquariato, attenessero a beni oggetto di comunione tra le parti del tutto diversi da quelli relativi alla divisione di cui alla scrittura di divisione del 3-2- 1985 posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo proposto da L. B.A. e da L.B.N. al Presidente del Tribunale di Palermo; di qui la corretta conclusione che non sussisteva la prova di un diritto di credito dell’appellato nei confronti delle controparti corrispondente alla sua quota dei beni comuni tuttora mancanti (e suscettibili di un supplemento di divisione ex art. 762 ex. una volta che fossero stati recuperati) ma estranei ai suddetti accertamenti in sede penale.

Con il terzo motivo L.B.G., deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 35 c.p.c. e art. 1241 e segg. c.c., sostiene di aver fatto valere lo "jus ritentionis" di beni suddivisi a compensazione del maggior danno per la mancata soddisfazione della propria quota ereditaria.

La censura è inammissibile.

Invero il ricorrente, pur avendo denunciato dei vizi di motivazione, non ha minimante enunciato le ragioni delle ritenute carenze dell’"iter" argomentativo seguito dalla sentenza impugnata, facendo anzi subito dopo contraddittoriamente riferimento agli articoli di legge sopra indicati, attinenti al diverso vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., rileva che erroneamente il giudice di appello ha condannato l’esponente al pagamento delle spese di giudizio, laddove la totale soccombenza delle controparti avrebbe dovuto comportare la loro condanna al rimborso delle spese stesse.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha correttamente condannato L.B.G. al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in puntuale applicazione del richiamato criterio della soccombenza.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 5.000,00 per onorari di avvocato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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