Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-04-2012, n. 6575 Confini

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Servizi Tecnici Applicati s.n.c., proprietaria del lotto H63 della lottizzazione (OMISSIS), agiva in regolamento di confini ed apposizione dei termini, innanzi al Tribunale di Brindisi, nei confronti di G.R. e C.A., proprietari di lotti confinanti.

Nel resistere in giudizio G.R. proponeva domanda riconvenzionale di usucapione del lotto della società attrice, vantando al riguardo il possesso proprio e, comunque, quello del suo dante causa, L.K.E., mentre C.A. eccepiva la carenza della propria legittimazione passiva. Interrotto per morte di G.R., il processo era riassunto nei confronti degli eredi di lei, V.P.L. e V. W..

Il Tribunale rigettava la domanda riconvenzionale e regolava il confine, condannando i convenuti a rilasciare la porzione del fondo di parte attrice che avevano rispettivamente occupato.

Con sentenza pubblicata il 21.9.2009 la Corte d’appello di Lecce rigettava l’impugnazione proposta dai V. (mentre accoglieva quella introdotta da C.A.). Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte salentina rilevava che il cespite costituito dal lotto H63 non era contemplato nell’atto 27.7.1983 con il quale il L. aveva venduto il proprio terreno a G.R., sicchè nei confronti di lei, e quindi dei suoi eredi, non poteva operare l’accessio possessionis.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono V.P.L. e V.W., formulando due motivi d’impugnazione.

Resiste con controricorso la Servizi Tecnici Applicati s.n.c..

C.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Attivata la procedura camerale ai sensi dell’art. 375 c.p.c. e depositata la relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., cui ha fatto seguito il deposito di memoria da parte ricorrente, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1146 cpv. c.c., sostenendo che L.K.E. trasferì a G.R. il bene nelle condizioni di fatto in cui lo possedeva, e in tale situazione il lotto è pervenuto agli odierni ricorrenti che lo hanno usucapito.

Pertanto la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare non l’art. 146 c.c., ma l’art. 1158 c.c., dichiarando in favore degli eredi G. il dedotto acquisto della proprietà per usucapione.

1.1. – Il motivo è (ammissibile, non essendo più richiesta, contrariamente a quanto eccepito dalla parte controricorrente, la formulazione del quesito ex art. 366 bis c.p.c., trattandosi d’impugnazione di sentenza pubblicata dopo il 4.7.2009, data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, ma) infondato.

Come condivisibilmente osservato nella relazione, la Corte territoriale si è attenuta a principi già espressi da questo S.C. (v. Cass. n. 12034/00, preceduta dalle sentenze nn. 6382/99, 6489/98 e 9884/96, e di recente ribadita dalla pronuncia n. 22348/11), secondo cui chi intende avvalersi dell’accessione del possesso di cui all’art. 1146 cod. civ., comma 2, per unire il proprio possesso a quello del dante causa ai fini dell’usucapione, deve fornire la prova di aver acquisito un titolo astrattamente idoneo (ancorchè invalido o proveniente a non domino) a giustificare la traditio del bene oggetto del possesso; ne consegue che il convenuto in azione di regolamento di confini che eccepisca l’intervenuta usucapione invocando l’accessione del possesso, deve fornire la prova dell’avvenuta traditio in virtù di un contratto comunque volto a trasferire la proprietà del bene in questione.

1.1.1. – Nella fattispecie, la Corte salentina ha ritenuto – sulla base di un accertamento di fatto il cui substrato motivazionale non forma oggetto di censura – che l’atto di vendita del 1983 da L.K.E. a G.R. non contemplava il lotto in questione, per cui è da escludere che potesse operare l’accessione del possesso ai sensi della precitata norma dell’art. 1146 c.c..

Del pari destituito di fondamento è l’assunto per cui la Corte di merito avrebbe dovuto applicare l’art. 1158 c.c., atteso che, in difetto tanto dell’accessio possessionis, quanto dell’offerta di provare un autonomo possesso ante 1983 da parte di G.R., dante causa dei ricorrenti, non può essere decorso il termine di prescrizione ordinaria, essendo stata notificata la citazione introduttiva del giudizio il 14.11.1994. 2. – Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 278 c.p.c., nonchè il difetto motivazionale, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, in quanto la Corte d’appello non ha esaminato il motivo di gravame con il quale gli odierni ricorrenti avevano dedotto che l’azione esercitata non poteva essere qualificata come regolamento di confini, ma come rivendica, e che l’irreversibile trasformazione del suolo in strada, ovvero la sua destinazione a verde, avendo determinato l’ablazione del bene per effetto di "accessione invertita", comportava il difetto di legittimazione attiva della società Servizi Tecnici Applicati.

2.1. – Il motivo è infondato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. nn. 10636/07, 4972/03, 4317/00 e 10813/99).

2.1.1. – Nello specifico, la Corte territoriale nella narrativa della sentenza ha ricostruito la domanda principale come azione diretta all’esatta delimitazione del "confine fondiario", con richiesta accessoria di "apposizione dei termini lapidei", avendo la società attrice dedotto "l’avvenuto sconfinamento di ambo i convenuti" a danno del lotto H63 di proprietà attorca (v. pag. 7 sentenza impugnata). Quindi, nei motivi della decisione, ha giustificato l’accoglimento dell’appello incidentale proposto da C. A. in considerazione del fatto che questi, non essendo proprietario del lotto H62 confinante con quello della società attrice, non era legittimato passivo all’actio finium regundorum, la quale ha natura reale (v. pagg. 26-27). Le due circostanze, correlate fra loro, non lasciano adito a dubbio di sorta sul fatto che la Corte d’appello abbia (neppure implicitamente, ma addirittura) espressamente ritenuto di condividere la qualificazione della domanda principale operata dalla parte attrice, sicchè non è configurabile alcuna omessa pronuncia sul punto, non essendo tenuto il giudice di merito a motivare ex professo sulle problematiche di diritto dedotte dalle parti o comunque rilevabili d’ufficio.

2.1.2. – Quanto all’omessa pronuncia sull’ulteriore questione, pure dedotta nell’atto d’appello, per cui la società Servizi Tecnici Applicati non sarebbe stata legittimata attivamente, avendo perso la proprietà del lotto H63 per essere quest’ultimo attraversato da una strada facente parte del reticolo viario del consorzio (OMISSIS), e riportato nella planimetria della lottizzazione come zona verde, va osservato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume che la denuncia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorchè nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (v. Cass. nn. 18635/11, 3024/11, 4340/10, 16630/07, 13662/04, 12594/02 e 5837/97). Tale principio, applicato all’omessa pronuncia su di un motivo d’appello (che costituisce una fattispecie di error in procedendo, denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4: cfr. per tutte, Cass. n. 24856/06), comporta che detto vizio possiede un’attitudine rescindente solo se ed in quanto abbia ad oggetto circostanze di fatto che possano essere accertate in conformità all’allegazione operatane dalla parte appellante, con la conseguenza che la loro infondatezza in diritto, al pari dell’irrilevanza, rende vano in sede di rinvio il compimento dell’attività di giudizio omessa.

Non va sottaciuto che detta tesi converge in un ambito omogeneo a quello dell’omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, norma che pure, come affermato in svariate decisioni di questa Corte, non governa l’allegazione del vizio di omessa pronuncia su di un motivo d’impugnazione (cfr. ex pluribus, Cass. nn. 26598/09, 25825/09 e 12952/07). Tuttavia tale risultato non solo è coerente al parametro costituzionale di riferimento ( l’art. 111 Cost.), che orientando verso un processo di giusta durata che non indulga a vane iterazioni di attività processuali segna il discrimine tra il garantismo delle forme e il formalismo delle garanzie, ma trova riscontro anche in altri precedenti di questa Corte, che hanno negato rilievo a violazioni della legge processuale che, pur direttamente correlate alla difesa e al contraddittorio, non possedevano una concreta idoneità a modificare l’esito della lite per come prospettate dalla parte deducente (cfr., ad esempio, Cass. n. 4340/10, la quale ha ritenuto che la parte che proponga ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza impugnata per non aver avuto la possibilità di replicare, con apposita memoria, alla comparsa conclusionale dell’avversario, a causa della morte del proprio procuratore, ha l’onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre per contrastare quelle della controparte ovvero le istanze, le modifiche o le deduzioni che si sarebbero volute presentare, nonchè il pregiudizio derivato da siffatta carenza di attività processuale).

2.1.2.1. – Nel caso in esame le due circostanze di fatto che, secondo parte ricorrente, dimostrerebbero che la società attrice avrebbe perso la proprietà del lotto H63 per "accessione invertita" (v. pag.

11 del ricorso), e che dunque essa sarebbe carente di legittimazione attiva, sono di per sè, così come dedotte, insuscettibili di determinare la perdita della proprietà o incidere comunque sulla legitimatio ad causarti. Infatti, una strada consortile è come tale di proprietà comune e consente l’esercizio, da parte del singolo comproprietario, di tutte le azioni petitorie (senza necessità d’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri: cfr. ex multis, Cass. n. 19460/05); e la destinazione di un’area a verde pubblico costituisce soltanto un vincolo (peraltro ordinariamente di tipo conformativo: cfr. Cass., n. 2612/06) e non una vicenda ablativa della proprietà. Con la conseguenza che l’una e l’altra circostanza, ove accertate positivamente in fatto, non produrrebbero gli effetti giuridici indicati nel motivo.

3. – In conclusione il ricorso è infondato e va respinto.

4. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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