Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-05-2011) 27-10-2011, n. 38877

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del l/6/2010 la Corte di Appello di Roma, rigettava l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da B. S..

Questi, arrestato il 27/2/2006 per lesioni e violenza sessuale in esecuzione di ordinanza cautelare del G.I.P. di Roma, era stato liberato in data 28/7/2006 (dopo un periodo di arresti domiciliari) e successivamente assolto con formula piena, perchè il fatto non sussiste, dal Tribunale di Roma con sentenza del 19/2/2009 (irrevocabile il 16/5/2009).

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione l’interessato, a mezzo del difensore deducendo la erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione. Invero dalla certificazione medica acquisita agli atti delle indagini emergevano esclusivamente le lesioni al capo e non anche la lamentata violenza sessuale, poi ritrattata dalla O.. Per cui in assenza di riscontri della subita violenza, il giudice non poteva essere stato tratto in errore dalle altre circostanze di fatto acquisite. Anche la lacerazione degli slip ben poteva essere stata opera della donna, piuttosto che del B..

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

3.1. Va premesso che, come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.

In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice.

3.2. Nella specie, è quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla condotta del B. ed alla sua idoneità ad ingenerare nel giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un suo probabile coinvolgimento nell’attività di spaccio di droga.

Ebbene, la Corte territoriale, facendo buon governo dell’applicazione delle norme in materia e con logica motivazione, ha evidenziando le ragioni che hanno indotto al rigetto della richiesta. Ha osservato la Corte di merito che dalla sentenza di assoluzione erano emersi dei fatti che palesavano la colpa grave del B., idonea a concorrere a determinare l’errore del giudice.

In particolare:

– la O.S., persona offesa, era stata ferita al capo dal B., riportando lesioni che avevano richiesto l’intervento di sanitari e la saturazione della ferita (fatto ammesso in interrogatorio dal B. e riscontrato dal rinvenimento di macchie ematiche sui cuscini e sulle lenzuola);

– sul letto erano stati rinvenuti indumenti di biancheria intima della donna (slip lacerati);

– la donna aveva avuto con il B. un violento rapporto anale (tanto che la frase urlata dal B. e sentita anche fuori dalla stanza, "Non voglio la fica, voglio il culo" è stata parimenti ammessa dal B.), rapporto non voluto dalla O. in quanto per lei doloroso, anche perchè effettuato con un voluminoso attrezzo ginnico, che, successivamente estratto, era servito allo stesso B. per colpire in testa la donna come reazione ad una sua aggressione (ha riferito in interrogatorio il B. "ho visto che l’avevo ferita, che gli avevo dato un colpo troppo violento");

– nella camera da letto era stato rinvenuto dell’hashish per uso personale del B.;

– i precedenti penali del ricorrente deponevano per un indole aggressiva e violenta del B. come testimoniato dalle condanne per maltrattamenti e lesioni, anche nei confronti della madre.

Ne ha dedotto la Corte distrettuale, con ragionamento coerente e privo di manifesta illogicità, che le circostanze di fatto acquisite (tra cui lesioni effettivamente patite), sebbene non ritenute sufficienti per l’affermazione della penale responsabilità, denotavano il mantenimento di una condotta gravemente colposa, idonea ad indurre il ragionevole convincimento della sua responsabilità (per entrambi i delitti contestati : lesioni e violenza sessuale), ostativa la riconoscimento dell’equo indennizzo. Alla declaratoria di infondatezza del ricorso segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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