T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 30-11-2011, n. 1680

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con atto notificato il 24 ottobre 2010 e depositato il 6 novembre 2010 i ricorrenti Consorzio dell’Isola, B.V. spa e C.D. srl (che coltivano un giacimento di sabbia e ghiaia nei Comuni di Calusco d’Adda, Medolago e Solza) hanno impugnato il nuovo piano cave della Provincia di Bergamo approvato dal consiglio regionale con deliberazione n. VIII/619 del 14 maggio 2008. L’impugnazione riguarda l’ambito estrattivo dove operano i ricorrenti, ossia l’ATEg31, e si concentra in particolare sulle prescrizioni imposte dalla Regione.

2. La scheda dell’ATEg31, con le modifiche introdotte dal consiglio regionale, prevede l’estrazione di 4.000.000 mc di sabbia e ghiaia in un decennio. Contemporaneamente ai ricorrenti, che sono anche i proprietari delle aree di scavo, sono però imposti numerosi vincoli, tra cui i seguenti: (a) la produzione non è riferita esclusivamente alla futura attività di escavazione ma tiene conto delle autorizzazioni provinciali rilasciate nella fase transitoria dopo la scadenza del vecchio piano cave, approvato nel 1990; (b) più in dettaglio, 500.000 mc sono imputati all’autorizzazione del 31 dicembre 2002, 1.225.000 mc sono imputati all’autorizzazione del 6 aprile 2004, e dunque residua un quantitativo pari a 2.275.000 mc che sarà oggetto di una futura autorizzazione all’escavazione; (c) rimane efficace l’atto unilaterale d’obbligo sottoscritto dai ricorrenti il 5 dicembre 2003, in base al quale gli stessi si impegnano a cedere gratuitamente ai Comuni la nuda proprietà delle aree di scavo contestualmente al rilascio dell’autorizzazione all’escavazione (è prevista però una diversa disciplina per le aree dove sono collocati gli impianti); (d) il termine per il completamento dell’escavazione è fissato in sei anni dal rilascio dell’autorizzazione provinciale, con ulteriori due anni per il recupero ambientale e lo smantellamento degli impianti.

3. I ricorrenti censurano (i) il termine di sei anni stabilito per il completamento dell’escavazione, (ii) l’ultrattività garantita all’atto unilaterale d’obbligo del 5 dicembre 2003, e dunque la persistenza dell’impegno a cedere gratuitamente ai Comuni le aree di scavo interrompendo lo sfruttamento del territorio al raggiungimento della soglia di 4.000.000 mc di materiale estratto. Secondo i ricorrenti la fissazione di un termine diverso da quello decennale sarebbe in contrasto con la previsione di legge (art. 5 della LR 8 agosto 1998 n. 14) che finalizza l’elaborazione dei piani cave al pieno sfruttamento dei giacimenti. Quanto alle obbligazioni assunte con l’atto unilaterale, la sopravvenienza di un nuovo piano cave determinerebbe ex lege uno scenario completamente diverso, ricaricando gli ambiti estrattivi di nuovi diritti di estrazione a favore dei cavatori, con la conseguenza che gli accordi limitativi raggiunti in precedenza e rimasti ineseguiti risulterebbero ormai inefficaci. Il nuovo piano cave non potrebbe sottrarsi a questo schema normativo con disposizioni penalizzanti per i cavatori e sostitutive degli accordi che dovranno essere raggiunti in futuro tra i cavatori stessi e i comuni in cui si trovano le aree di scavo.

4. La Regione si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.

5. Sulle questioni sollevate dai ricorrenti si possono formulare le seguenti considerazioni:

(a) la controversia in esame costituisce il prolungamento, da un diverso punto di vista, del ricorso definito dal TAR Brescia Sez. I con la sentenza n. 1132 del 26 settembre 2008;

(b) mediante tale ricorso i Comuni di Calusco d’Adda, Medolago e Solza avevano chiesto (e ottenuto) l’accertamento del loro diritto a conseguire la proprietà delle aree dei ricorrenti in esecuzione dell’atto unilaterale d’obbligo del 5 dicembre 2003. All’epoca non era ancora intervenuto il nuovo piano cave e l’attività di escavazione era autorizzata come prelievo anticipato sui quantitativi di materiale che sarebbero stati inclusi dalla Regione nel nuovo piano cave. In tale contesto i Comuni difendevano l’interesse pubblico alla conservazione del territorio, i ricorrenti facevano leva sull’interesse economico al razionale sfruttamento delle risorse naturali, la Provincia svolgeva un ruolo di mediazione e di regia. Dopo una lunga serie di contatti variamente formalizzati (atto unilaterale d’obbligo dei ricorrenti di data 29 luglio 1998, integrato il 9 dicembre 1998 e il 16 marzo 1999; accordo di programma del 17 marzo 1999 tra Provincia, Regione, Consorzio del Parco Adda Nord e Comuni di Calusco d’Adda, Medolago e Solza) le parti hanno raggiunto un bilanciamento complessivo dei rispettivi interessi mediante l’atto unilaterale d’obbligo del 5 dicembre 2003. Il contenuto di quest’ultimo è stato poi recepito dai Comuni attraverso le successive convenzioni (1516 dicembre 2003) stipulate con i ricorrenti ai sensi dell’art. 15 della LR 14/1998;

(c) l’atto unilaterale d’obbligo del 5 dicembre 2003 aveva il seguente contenuto: (1) ai ricorrenti era concessa l’escavazione complessiva di 3.000.000 mc, in due tronconi rispettivamente di 1.225.000 mc e di 1.775.000 mc, da completare entro il 31 dicembre 2008; (2) i ricorrenti si impegnavano a cedere gratuitamente ai Comuni tutte le aree di loro proprietà inserite nell’ambito estrattivo (all’epoca denominato BP8g); (3) tutte le aree dovevano essere cedute entro 15 giorni dal rilascio dell’autorizzazione all’escavazione di 1.225.000 mc, tuttavia per una parte (aree elencate al paragrafo 2.1) la cessione era a titolo definitivo mentre per la restante parte (aree elencate al paragrafo 2.2) era sottoposta a condizione risolutiva; (4) tale condizione era costituita dal rilascio dell’autorizzazione all’escavazione di 1.775.000 mc entro il 31 dicembre 2006; (5) se la condizione non si fosse realizzata ai Comuni era riservata la scelta tra la retrocessione e l’acquisizione definitiva al prezzo di espropriazione; (6) i ricorrenti conservavano il diritto di usufrutto su tutte le aree fino al 31 dicembre 2008 per l’attività estrattiva e fino al 31 dicembre 2010 per gli interventi di ripristino ambientale;

(d) la Provincia ha autorizzato l’escavazione della tranche di 1.225.000 mc con determinazione dirigenziale del 6 aprile 2004, realizzando così il presupposto per il trasferimento della proprietà delle aree di scavo;

(e) questo TAR Sez. I con la sentenza n. 1132/2008 ha ritenuto legittimo lo scambio tra volume di materiale scavabile e cessione gratuita delle aree di scavo. La soglia minima (e sufficiente) per garantire l’equilibrio economico è stata fissata dalle parti in 3.000.000 mc da imputare al nuovo piano cave (quantitativo che si somma a quello di 1.700.000 mc scavato in base al vecchio piano cave). Dunque il nuovo piano cave non poteva essere considerato come causa di risoluzione degli impegni presi ma al contrario come la condizione che rendendo effettiva la provvista di materiale su cui le parti avevano fatto affidamento sanciva il consolidamento dello scambio di utilità concordato. In proposito la sentenza n. 1132/2008 precisa che l’obbligo di cedere gratuitamente le aree sarebbe venuto meno (parzialmente) solo se il nuovo piano cave avesse consentito l’escavazione di un quantitativo di materiale inferiore a 3.000.000 mc. Nel caso invece di una provvista pari o superiore alla suddetta soglia il quadro delle obbligazioni sarebbe rimasto invariato ed efficace;

(f) nella sentenza n. 1132/2008 è definita anche la questione relativa alla tempistica del trasferimento della proprietà. In particolare il mancato rilascio dell’autorizzazione all’escavazione di 1.775.000 mc è stato ritenuto ininfluente rispetto alla persistenza dell’obbligo di cedere le aree di scavo. L’unica conseguenza consiste nella necessità di spostare in avanti (ossia a partire dall’effettivo rilascio dell’autorizzazione) la data di conclusione dell’attività estrattiva e del recupero ambientale, per dare modo ai cavatori di ottenere il quantitativo di materiale previsto;

(g) parimenti la sentenza n. 1132/2008 ha escluso che la richiesta da parte dei Comuni e della Provincia di un atto unilaterale d’obbligo configuri una causa di invalidità per violenza ai sensi dell’art. 1434 c.c. o per minaccia ex art. 1438 c.c. (nella prospettazione dei cavatori vi sarebbe un danno ingiusto consistente nel rischio di cessazione immediata dell’attività estrattiva, e solo per evitare tale danno sarebbe stato assunto l’obbligo di cessione delle aree di scavo). In realtà entrambi gli interessi in gioco, tanto quello economico collegato all’escavazione quanto quello pubblico proteso alla conservazione del territorio, sono legittimamente perseguibili dai rispettivi titolari e richiedono alla fine un bilanciamento fondato su ragionevoli concessioni reciproche. In questo quadro la fissazione di una soglia minima di materiale scavabile e la richiesta di un impegno alla cessione delle aree sono forme legittime di limitazione delle aspettative dei cavatori;

(h) il nuovo piano cave ha ampiamente garantito l’equilibrio economico raggiunto dalle parti: sarebbe stata sufficiente a tale scopo una quantità di materiale scavabile pari a 3.000.000 mc ed è stata invece riconosciuta una provvista pari a 4.000.000 mc. Sottraendo i quantitativi già autorizzati nella fase di transizione dal vecchio al nuovo piano cave rimangono a disposizione dei ricorrenti 2.275.000 mc;

(i) è quindi ragionevole che il nuovo piano cave abbia richiamato gli impegni assunti con l’atto unilaterale d’obbligo del 5 dicembre 2003, perché quello era un riferimento ovvio e non eludibile per stabilire il limite di ammissibilità dello sfruttamento del territorio. Tale limite non può essere dato dalle sole potenzialità estrattive del giacimento, che potrebbero anche essere vastissime (come nel caso in esame, dove la perizia del 28 ottobre 1996 commissionata dai ricorrenti indica in 70.000.000 mc la riserva di ghiaia contenuta nell’area tra il fronte di cava, il cementificio di Calusco d’Adda e la ferrovia). Il territorio inteso in senso unitario, ossia prescindendo dalla ripartizione dei vari fondi tra proprietari diversi, costituisce un bene pubblico di cui è titolare la comunità locale. L’uso degli immobili da parte dei proprietari deve essere condotto in modo da non cancellare il bene pubblico, il che giustifica il ruolo dell’autorità amministrativa nella fissazione di un limite all’iniziativa economica;

(j) in concreto il nuovo piano cave nello stabilire un limite all’escavazione non si è limitato a riprodurre il contenuto dell’atto unilaterale d’obbligo ma ha inserito due innovazioni, entrambe favorevoli ai ricorrenti: un maggiore quantitativo estraibile rispetto a quello fissato originariamente dalle parti e lo spostamento del termine di cessione delle aree, che ora coincide con il rilascio della nuova autorizzazione all’escavazione. I cavatori cederanno quindi la nuda proprietà (rimanendo usufruttuari) solo quando avranno la certezza giuridica di poter scavare interamente i 2.275.000 mc residui. L’oggetto dell’usufrutto cambierà poi, come previsto nell’atto unilaterale d’obbligo, nel momento in cui scatterà l’obbligo di ripristino ambientale (sei anni dopo il rilascio dell’autorizzazione all’escavazione) e si estinguerà definitivamente due anni dopo, una volta completato il recupero ambientale e lo smantellamento degli impianti. Per l’area dove sono collocati gli impianti il nuovo piano cave ha introdotto un’ulteriore variante minore rispetto alla disciplina dell’atto unilaterale d’obbligo, in quanto ha esonerato i relativi mappali dal trasferimento immediato della nuda proprietà. Se ne deduce che il trasferimento di questi mappali avverrà al termine dell’escavazione, con decorrenza dalla data di cessazione dell’usufrutto sulle aree già cedute;

(k) i sei anni stabiliti per il completamento dell’escavazione sono ragionevoli se si considera che l’estrazione dei 3.000.000 mc originariamente previsti dall’atto unilaterale d’obbligo avrebbe dovuto terminare entro il 31 dicembre 2008. Essendo stato elevato a 4.000.000 mc il quantitativo finale esiste una ragionevole proporzione nella distribuzione dei tempi. Del resto non vi è motivo di rinviare più a lungo di quanto strettamente necessario la consegna delle aree per l’utilizzazione pubblica (la destinazione finale dell’ATEg31 è "agricola e naturalistica con fruizione pubblica"). Certamente potranno essere prese in considerazione delle proroghe se i ricorrenti dovessero subire ritardi nel programma di scavo non dipendenti dalla loro volontà o da negligenza nell’organizzazione dell’attività.

6. Il ricorso deve quindi essere respinto. Trattandosi di un segmento di una vicenda che ha avuto uno sviluppo complesso, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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